Dopo che Emmanuel Macron ha ammesso in un comunicato che intende escludere il Fronte popolare dal governo, altrettanto esplicite sono arrivate le reazioni. Non è solo il Front populaire a parlare di «déni de démocratie» e a denunciare le derive antidemocratiche del presidente. L’indignazione arriva dalle copertine dei giornali («Le Mépris, il disprezzo», di Libération), dagli editoriali – «Pur di mantenere il controllo Macron getta la Francia in una situazione pericolosa» per le Monde – e da chi, come gli studenti e gli insoumis, si prepara a protestare in piazza il 7 settembre.

In queste settimane il campo di sinistra ha già schivato molte trappole di Macron, ma ne restano due insidiose.

Le trappole

La prima è il tentativo di disancorare i socialisti dal Fronte, possibilmente riportandoli indietro nel tempo, a quell’èra Hollande che aveva determinato il collasso del partito e l’ascesa di Macron stesso.

Al momento la tenuta dell’unione è ambigua, tanto che da una parte il fronte è compatto nell’indignazione, dall’altra è diviso sulla reazione: la France Insoumise vuole la piazza e l’iter di destituzione del presidente, i socialisti no. Intanto i macroniani continuano ad ammiccare al Parti socialiste sfoderando la carta di un premier socialista (scegliendo loro, però, che debba trattarsi di un hollandiano). I centristi del partito socialista – pur in minoranza – lo strattonano perché dialoghi con il campo presidenziale.

La seconda trappola è la temperatura dell’indignazione: impedendo che le istanze di cambiamento si esprimano tramite canali istituzionali, proprio come ha già fatto ai tempi di una riforma delle pensioni imposta scavalcando l’aula parlamentare, il presidente costringe il dissenso in direzione della piazza, e se il Fronte non sarà in grado di mantenere le proteste in forma pacifica la cosa gli si ritorcerà contro, dando all’Eliseo un nuovo alibi per imporre ordine (il suo).

Socialisti al bivio

Dopo il primo ciclo di consultazioni, un secondo più opaco – con personalità «che vogliano operare nell’interesse supremo del paese» e senza un calendario ufficiale – è in corso da questo martedì.

Il piano è stato esplicitato dal ministro macroniano Gérald Darmanin, che alla desistenza del Fronte deve la propria elezione a luglio ma ne parla come di un nemico inconciliabile; ma dice: «Si può discutere di una coalizione con un socialista come Bernard Cazeneuve», l’ex premier hollandiano. Macron si dice pronto a una coabitazione, ma vuol decidere lui quale e con chi; ne auspica in particolare una che frantumi il Fronte.

Dopo la presidenza Hollande, nel 2017 il Partito socialista aveva raggiunto un punto basso elettorale, ed è allora che aveva preso la volata Mélenchon; all’Eliseo era finito Macron, spinto in politica da Hollande stesso. L’attuale segretario socialista Olivier Faure ha sostenuto l’unione a sinistra nel 2022, quando ancora i rapporti di forza erano a favore di Mélenchon, e l’investimento ha funzionato; infatti ora c’è un riequilibrio. I macroniani puntano a trascinare i socialisti all’indietro.

«I socialisti non faranno da supplenti a un macronismo agonizzante», ha detto questo martedì Faure, che con gli altri partiti del Fronte non ha partecipato al secondo giro di consultazioni (ridotte a una «parodia della democrazia»). Ma i suoi oppositori interni – che scalpitano da tempo – vanno dicendo che «bisogna dialogare col presidente».

Nel 2022 François Hollande si era opposto all’unione di sinistra ma a luglio si è fatto eleggere tra le sue file, e Raphaël Glucksmann da tempo si distanzia da Mélenchon. Il tradimento dell’unione, come il fantasma di Hollande, è un rischio dietro l’angolo.

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