Cinquanta giorni dopo le elezioni legislative, complice anche la lunga tregua olimpica, la Francia non ha ancora un governo. Fatto senza precedenti nella V Repubblica, esito di una duplice volontà: la resistenza di Emmanuel Macron a dare l’incarico a un premier espressione del Nuovo fronte popolare, formazione di maggioranza relativa dopo l’infuocato luglio; la decisione dello stesso inquilino dell’Eliseo di provare a spezzare quella stessa maggioranza e dare vita a un esecutivo, politico o tecnico, senza la France insoumise, principale forza di quello schieramento.

La “convocazione” di Bernard Cazeneuve, ex premier durante la presidenza Hollande, nel corso delle consultazioni avviate finalmente da Macron al termine dei Giochi e delle vacanze, va in questa direzione. Cazeneuve – che non ha condiviso né la nascita della Nupes, l’alleanza nata nel 2022 in aperta discontinuità con l’hollandismo, e durata meno di un anno e mezzo, che aveva, inutilmente, provato a riunire le forze ora confluite nel Nfp, divise, allora come oggi, da forti differenze programmatiche, né quella del nuovo Fronte – avrebbe probabilmente il sostegno degli hollandiani oltre che dei macroniani e dei loro alleati centristi.

Prospettiva che suscita molte riserve tra i socialisti, formalmente allineati sulle posizioni del segretario Faure, che reclama l’incarico per un’esponente della coalizione di sinistra che ha ottenuto il risultato migliore alle legislative.

Il Nuovo fronte popolare, che come già il suo mitico predecessore degli anni Trenta guidato da Leon Blum, ha caratteri eminentemente difensivi – oggi come ieri nei confronti di una destra estrema ritenuta incompatibile con i valori repubblicani – chiede che a Matignon vada Lucie Castets. Richiesta respinta da Macron con la motivazione che la giovane, sconosciuta ma competente funzionaria pubblica della municipalità di Parigi, non avrebbe il sostegno parlamentare necessario.

In realtà, Macron, fa molto di più che “prendere atto”. Il capo della “ macronia”, la galassia centrista composta dal partito del presidente e dai suoi alleati, ha infatti sollecitato il suo universo politico, sopravvissuto nelle urne grazie alla provvidenziale desistenza repubblicana della sinistra, a dichiararsi, come già la destra postgollista, ostile a un governo del Nuovo fronte popolare che vorrebbe cercare, di volta in volta, su questo o quell’aspetto programmatico, una maggioranza in parlamento.

L’evidente intento di Macron è spaccare il Fronte, contando sui non pochi dubbiosi che, nel Partito socialista, ritengono impensabile governare con l’ex scissionista e populista Mélenchon. I socialisti, infatti, sono divisi tra chi, come Faure, vorrebbe salvaguardare la ritrovata unità a sinistra e chi, come l’astro nascente Glucksmann o l’ex presidente Hollande, tornato alla politica attiva come parlamentare dopo la non troppo gloriosa esperienza all’Eliseo – dove sarà ricevuto nelle stessa giornata di consultazione di altre “personalità istituzionali” come il predecessore Sarkozy e lo stesso Cazeneuve – preferirebbero la coabitazione con i macroniani all’insegna di un governo di centrosinistra prudente in materia economica e saldamente europeista. Di fronte alla concreta possibilità che, in ragione della presenza di ministri della France insoumise, Castets non ottenesse la fiducia, Mélenchon ha provato a sparigliare il gioco, dicendosi pronto a restare fuori dal governo ma non dalla maggioranza.

Mossa non andata a buon fine e rimandata al mittente dalla galassia politica presidenziale, che ha reso chiaro ciò che a tutti era limpido: lo strumentale obiettivo di Macron non era, solo, escludere l’irruento tribuno dall’esecutivo, quanto affondare il Nuovo fronte popolare. Così, l’abile sortita tattica del leader dei “non sottomessi” non ha modificato il quadro, e l’ingresso in campo, dopo molte voci, di Cazeneuve, rende ormai esplicite le intenzioni presidenziali.

Macron cerca, dunque, di volgere a proprio favore la doppia crisi, politica e istituzionale, seguita allo scossone delle europee e al miracoloso contenimento del Rassemblement national di Le Pen alle legislative. Sfruttando l’opportunità offerta da un sistema semipresidenziale imballato da una situazione inedita: la possibile coabitazione con un premier a sua volta senza maggioranza. Situazione che rafforza chi, come il presidente della Repubblica, ha provocato a sorpresa la crisi, sciogliendo senza l’accordo delle forze politiche il Parlamento, e tornato ora a essere, ancora una volta, il dominus riaffermando quella centralità che tutti davano per perduta solo qualche mese fa.

Nemmeno la mozione di sfiducia costituzionale che la France insoumise ha depositato, nel poco sotterraneo mugugno degli alleati, «contro il presidente della Repubblica, accusato» di non rispettare la volontà popolare, può cambiare il panorama. E non solo perché non ha la possibilità di essere approvata. In realtà, in punta di diritto, Macron non è sindacabile.

Il sistema istituzionale voluto da De Gaulle, che trasforma il presidente in Re Sole repubblicano, tace su una simile, imprevedibile, situazione. Non sorregge nemmeno un’inesistente consuetudine. Da qui la sensazione che la politica francese si muova su un terreno inesplorato, producendo instabilità e nuove lacerazioni politiche, almeno per un anno: quando Macron, dopo aver cercato di tagliare le estreme, potrà nuovamente sciogliere le camere.

Passaggio ardito, che potrebbe spalancare le porte della contesa presidenziale del 2027 agli estremi tagliati, che reclamerebbero l’unzione popolare contro i magheggi dell’elitario enarca. Ma il tempo, fattore decisivo in politica, appartiene al dio Kronos, mentre, anche per i collaboratori, Macron è Giove, dio del potere regale e dell’ordine.

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