«Non hanno la maggioranza, ma dispongono già di due diversi candidati cancellieri». Il commento più sferzante è quello di Christian Lindner, il capo dei liberali e principale responsabile della caduta del governo Scholz certificata mercoledì scorso. La politica tedesca si trova ancora in balia delle conseguenze della fine traumatica dell’alleanza Semaforo messa nero su bianco dalla dichiarazione del cancelliere di fronte alla stampa, in cui dichiarava che è venuta meno la «base fiduciaria» per continuare a governare con la Fdp. Ieri il quadro si è arricchito di un nuovo elemento che nei prossimi mesi potrebbe crescere velocemente in termini di importanza: la candidatura alla cancelleria di Robert Habeck.

Il ministro dell’Economia era tornato sui social già giovedì sera annunciando di non volerli lasciare ai populisti. A seguire, un misterioso video in cui si vede il cancelliere scrivere su un foglio: in due frangenti, una ripresa ravvicinata del bracciale indossato, che con le perline tipiche dei gioielli autoprodotti dai fan di Taylor Swift recita “Kanzler era”. Ieri l’annuncio ufficiale: «Mi candido, ma la decisione di rendermi cancelliere è vostra» dice Habeck, ritratto seduto «nella cucina di alcuni amici».

Con il suo stile sobrio ai limiti del dimesso spiega di volersi prendere cura di chi è rimasto colpito dalla vittoria di Trump o dall’invasione dell’Ucraina e promette di ridare ai tedeschi «sicurezza, fiducia in sé stessi e nel futuro». Vaste programme, in un mondo in cui «in tanti sono finiti per urlarsi soltanto addosso». Habeck spiega di aver imparato da ministro a superare le crisi, a prendere decisioni che hanno conseguenze difficili. Vuole costruire il suo programma ascoltando i problemi della gente, ma annuncia che il tempo in cui l’Unione europea poteva permettersi l’indecisione in termini geopolitici è definitivamente finito.

E allora, continua il ministro «sono stati anni duri, e non è detto che non ne seguano altri», ma è ora di mettere mano ai ritardi accumulati dai governi precedenti. Anche a quelli guidati dalla Spd, spiega Habeck: arriva in chiusura della sua candidatura la prima frecciata agli ex alleati socialdemocratici, diventati nell’arco di 48 ore avversari da battere alle elezioni.

Il profilo

La corsa di Habeck – nell’aria da tempo ormai, dopo che nel 2021 aveva lasciato campo libero ad Annalena Baerbock – parte in salita. I sondaggi stimano i consensi per i Verdi tra il 9 e l’11 per cento: piuttosto poco, per ambire alla cancelleria. La risposta che i dirigenti danno a questa obiezione – sollevata anche dal capo della Cdu Friedrich Merz, che dopo l’annuncio ha parlato di «elemento umoristico» – è sempre la stessa: la distanza in termini di voti dalla Spd è piuttosto contenuta, e chissà che di qui al giorno del voto non si riduca ulteriormente. La speranza di Habeck è che possa capovolgere il sentimento negativo che sta abbattendo economia e fiducia nel paese e i tedeschi tornino ad apprezzare il loro benessere e a confidare in una ripresa.

Classe ‘69, il figlio di farmacisti con un dottorato in lettere apostrofato con disprezzo «autore di libri per bambini» dai suoi detrattori ha dalla sua un buon talento comunicativo che potrebbe fare la differenza anche nella campagna elettorale che sta per cominciare. In tante occasioni negli ultimi tre anni il ministro è sembrato la controparte empatica allo “Scholzomat”, com’era soprannominato il cancelliere ancora prima del suo arrivo a Berlino per la sua tendenza a produrre risposte al limite dell’automatismo.

Ora spera che il suo approccio diretto e amichevole possa convincere soprattutto gli elettori del centro, suo principale bacino da vero “realo”, esponente dell’ala maggioritaria e pragmatica contrapposta agli idealisti di sinistra che ancora sono ben rappresentati nel partito. All’ala minoritaria negli ultimi anni Habeck ha rifilato diversi rospi da mandare giù, come la linea dura sui migranti che il governo Scholz ha adottato soprattutto in tempi recenti o la scelta di scendere a patti con governi problematici in termini di rispetto dei diritti umani come quelli dei paesi del Golfo durante la crisi energetica seguita all’invasione dell’Ucraina.

Ma è riuscito anche a portare a casa la legge sulle pompe di calore, fortemente avversata dalla destra ma pietra angolare del programma ecologista. Ora ha bisogno della benedizione del suo partito, che dovrebbe incaricarlo al prossimo congresso a fine mese, ma soprattutto deve convincere i suoi detrattori interni al partito, ancor prima del resto del paese. La rincorsa è ripida, ma non impossibile, è convinto Habeck. E quindi non c’è tempo da perdere per cominciare la campagna elettorale.

La data del voto

Anche perché rischia di rivelarsi cortissima: ieri Scholz ha infatti aperto a trattative «tranquille» sulla data in cui porre la questione di fiducia al Bundestag, che inizialmente aveva fissato per inizio gennaio, in modo che il paese andasse poi al voto entro marzo. Si tratta di un passaggio obbligato dalla legge tedesca, che prevede che il governo possa essere rimpiazzato da un’eventuale sfiducia costruttiva: impossibile, in questo caso, perché Cdu e Fdp insieme non hanno i voti necessari né è prevedibile che qualcuno corra in soccorso dell’attuale governo rossoverde di minoranza. Dal momento della sfiducia, il presidente federale ha 21 giorni per sciogliere le camere: a quel punto, le elezioni vanno fissate entro i sessanta giorni successivi.

Ma Scholz dovrebbe accelerare i tempi rivolgendosi al parlamento già la prossima settimana, è il ragionamento sostenuto dalle opposizioni, ma anche da due terzi dei tedeschi interpellati da Infratest, in modo da permettere di fissare il voto già a gennaio. Effettivamente a essere soddisfatti del lavoro del Semaforo alla fine era soltanto il 14 per cento degli elettori, e anche se la maggioranza (il 40 per cento) attribuisce la ragione della rottura alla Fdp, restare in carica ancora per diverse settimane rischia di complicare la vita anche a Verdi e al cancelliere, che in parallelo dovrebbe portare avanti la campagna elettorale. Scholz ha deciso di correre ancora, nonostante la sua popolarità sia tutt’altro che solida: il 47 per cento degli elettori socialdemocratici non lo ritiene un buon candidato. Più di quanti lo sostengono.

© Riproduzione riservata