Tutte le strade del premier albanese portano a Roma. Non è vero, come lui dice, che Edi Rama non vuole nulla in cambio da Meloni. Vuole anzitutto che chiuda gli occhi sullo stato di diritto
È il suo stile di sempre. Il premier albanese, Edi Rama, fa piccole, chirurgiche incursioni nelle convulsioni della politica italiana. Mostra solidarietà per onorare il debito di riconoscenza verso quegli italiani brava gente che accolsero migliaia di albanesi in fuga dalle macerie della dittatura comunista. E così, gonfiando il petto d’orgoglio dei due paesi sulle due sponde dell’Adriatico, continua a governare l’Albania in spregio delle regole democratiche. L’intesa sulla migrazione siglata con Giorgia Meloni a inizio settimana segue un copione già collaudato con i tanti fratelli e sorelle d’Italia che si sono succeduti al governo del paese.
Per tutte le stagioni
Da Massimo D’Alema, amico di lunga data del primo ministro albanese, a Giorgia Meloni, «donna con una abilità mostruosa nel comunicare da grande europeista, senza sbagliarne una». Passando per Matteo Renzi, che grazie alla sua «energia e coraggio straordinario» avrebbe cambiato l’Italia «presto e in meglio». Tirana era accorsa in aiuto anche del primo governo Conte e dell’allora vice premier, Matteo Salvini, quando continuava a negare lo sbarco dei migranti a bordo della Diciotti. Anche in quella occasione, quando Roma aveva chiamato, Tirana aveva risposto. Con l’annuncio di accogliere venti richiedenti asilo.
Il copione è lo stesso: la piccola Albania che non dimentica il cuore grande dell’Italia. Ma stando a quanto ricostruito dall’Osservatorio Balcani e Caucaso, di quei migranti nessuno è mai arrivato a destinazione.
Da una parte, non potrebbe essere diversamente, considerate le solide relazioni politiche, commerciali, culturali tra i due paesi. Dall’altra, Rama si è servito di queste relazioni speciali e dell’attrazione che l’Italia esercita ancora nell’immaginario collettivo dell’Albania, soprattutto per mettere a tacere il dissenso interno.
Un potere blindato
Basti pensare alle proteste che nel 2019 hanno attraversato il paese: in risposta, il premier albanese Rama è volato in Italia, saltando da un salotto televisivo all’altro e da un giornale all’altro, spesso con la complicità di un giornalismo poco attento alle cronache balcaniche.
L’intesa con Meloni, però, cade in una fase diversa, caratterizzata dall’accelerazione impressa dall’Ue nel processo di adesione dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Il nodo dell’adesione
L’Albania, rimasta in sala d’attesa dal 2009, anno in cui ha presentato la candidatura ad entrare nel club europeo, è entrata nel pieno delle trattative solo nel luglio dello scorso anno.
Dallo scoppio della guerra, quando l’allargamento è salito in cima alle priorità dell’Ue, il premier artista si è dato un gran daffare per spingere sull’acceleratore dell’integrazione europea, promuovendo ad esempio incontri di alto livello a Tirana, da ultimo la riunione del processo di Berlino, iniziativa voluta dall’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, nel 2014 per tenere agganciati i Balcani occidentali alla locomotiva europea. E la partita dell’adesione Edi Rama l’ha giocata anche in un altro campo, quello dell’annosa disputa tra Belgrado e Pristina.
Strade che portano a Roma
Il leader socialista è stato molto abile nell’accreditarsi agli occhi di Bruxelles e Washington come il mediatore tra le due parti, facendo leva sugli ottimi rapporti con la Serbia di Aleksandar Vucic e sul legame “etnico” tra Kosovo e Albania.
Su questo sfondo, si colloca l’accordo con Roma per la gestione dei flussi migratori. Tirana ha bisogno di alleati in Ue non solo che spingano, ma soprattutto che chiudano un occhio sul dossier albanese e sulle tante criticità che ancora permangono nello stato di diritto, oltre che nella libertà dei media, nel sistema giudiziario e nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Tasti dolenti per l’Albania, come confermato dal rapporto, incluso nel pacchetto dell’allargamento, presentato questo mercoledì dalla Commissione europea.
Scambi politici
Non è uno scoglio di poco conto, se si considera l’enfasi posta da Bruxelles sullo stato di diritto dopo i flop di Ungheria e Polonia, entrate nella più grande fase di allargamento dell’Ue nel 2004. Tanto più ambizioso l’obiettivo, tanto più ambiziosa l’esca a cui far abboccare l’Europa. Cosa meglio dell’immigrazione, quindi? È il punto su cui si giocheranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo il prossimo giugno. E soprattutto, è il punto debole dell’Italia di Meloni che sulla gestione della migrazione ha puntato tutto, scontrandosi però con una realtà più complessa di quella narrata.
E nella tela disegnata da Edi Rama, questa convergenza di debolezze tra Roma e Bruxelles è il punto di forza per Tirana nell’Ue. Qualche migliaio di migranti val bene l’Europa.
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