Il tour lampo della premier danese a Parigi, Berlino e Bruxelles serve a dire in pubblico agli Usa: «Non avrete l’isola». Ma chissà che a Trump non basti avere l’isola dalla sua parte? La leader scommette sull’aumento delle spese militari, di cui è sostenitrice da tempo e che può permetterle di disinnescare lo scontro groenlandese salvando a tutti la faccia
«Donald Trump non avrà la Groenlandia», non fa che ripetere il governo danese, la cui prima ministra Mette Frederiksen ha appena concluso uno sbalorditivo tour lampo, visitando in poco più di mezza giornata il cancelliere tedesco a Berlino, Emmanuel Macron all’Eliseo e Mark Rutte a Bruxelles, nel quartier generale della Nato. La scorsa settimana ha anche avuto tre quarti d’ora di confronto telefonico con Donald Trump.
Un canale cercato affannosamente, se è vero quel che scrivono i cronisti dagli Usa, cioè che prima dell’inaugurazione trumpiana l’ambasciata danese a Washington era andata a caccia di un lobbista per aprire un’interlocuzione con la nuova amministrazione.
Il messaggio che Frederiksen vuole dare in pubblico è chiaro: «Abbiamo pieno sostegno», Copenaghen non è isolata, anche i leader europei e l’alleanza atlantica proteggono frontiere e «sovranità» (la Francia non esclude «l’invio di truppe»); e nel mezzo, tra la telefonata e il tour, la Danimarca ha pure annunciato un nuovo stanziamento per la difesa della tanto contesa isola ghiacciata.
Ma la sostanza è un’altra: le mosse apparentemente battagliere di Frederiksen fanno parte di una strategia di negoziazione con gli Usa («ancora il nostro principale alleato», lo ha ribadito questo martedì). Si basa sulla convinzione che dalla lite groenlandese possano uscire tutti salvando la faccia. Come? Con più spese per la difesa.
La strategia danese
La premier danese – assieme al leader groenlandese Múte Bourup Egede – scommette su un punto: che invece di avere la Groenlandia, Trump possa accontentarsi di averla dalla sua parte. L’isola più grande ma meno popolata al mondo (ha circa la metà degli abitanti di Pesaro) stimola gli appetiti del magnate per due ragioni assai concrete: risorse e geopolitica.
Il capo di governo groenlandese si dice disposto ad accordi sulle ricchezze minerarie. L’economia della transizione rende particolarmente ambite le cosiddette materie rare delle quali la Groenlandia è ben fornita: qui si trovano almeno 25 dei 34 critical raw materials elencati come tali dalla Commissione Ue. Non c’è bisogno di invadere la Groenlandia se si può attingere alle risorse per via pacifica, è il ragionamento. Ma va completato col versante geopolitico: Trump parla di «sicurezza nazionale» perché – anche se gli Usa hanno avamposti sull’isola – la Cina si fa largo.
«Pensavano che mettere due cani da slitta in più fosse proteggere l’isola!», ha colpito (per ora col sarcasmo) Trump. Il governo danese ha da poco annunciato nuove spese (un paio di miliardi) per la difesa della Groenlandia, mentre Frederiksen ha incontrato Rutte per segnalare che la Nato deve puntare sul versante artico. A questo punto della vicenda va ricordato che la premier danese (socialista ma partner di Meloni sul dossier migranti) da tempo sostiene che l’Ue debba spendere di più in difesa, e già prima della vittoria di Trump sosteneva ci si dovesse preparare a sacrificare la spesa sociale in nome di quella militare.
Lunedì i leader europei si incontrano in un summit incentrato su come aumentare i finanziamenti per la difesa (perché è vero che Trump invoca che gli europei spendano di più, ma gli europei, Macron in testa, erano già d’accordo) e pare che Frederiksen questo martedì da Scholz abbia provato a perorare l’ipotesi degli eurobond (indebitamento comune), finora indigesta al cancelliere. Spendere di più in difesa, con in più l’argomento groenlandese: ecco la strategia di Frederiksen. Che non a caso ha detto nel giorno del suo tour europeo: «Mi occupo degli interessi della Danimarca, duramente in questo momento, e degli interessi dell'Europa. La cosa buona è che ora sono connessi».
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