Dal gruppo euroscettico con Farage ai mille tentativi di ingresso falliti, fino agli sforzi con Wagenknecht di formare un gruppo «pacifista» rossobruno rimasti incompiuti: dopo anni di tanto vagabondare i 5 Stelle trovano casa in Ue. Perlomeno in affitto: sei mesi con lo status di «osservatori». Conte assume l’impegno di «votare contro von der Leyen»
Dopo anni di tanto vagabondare i 5 Stelle trovano casa in Ue. Perlomeno in affitto: nel gruppo della Sinistra europea resteranno per sei mesi con lo status di «osservatori». Dentro sì quindi, ma con interlocuzioni. Intanto Giuseppe Conte, che sul voto «cruciale» per von der Leyen aveva fondato il suo secondo governo, ha assunto questo giovedì l’impegno pubblico di «votare contro von der Leyen».
Più rossi che bruni?
Nato sotto la stella di Beppe Grillo e del suo «né di destra né di sinistra», negli ultimi dieci anni il Movimento ha peregrinato lungo tutto il firmamento dei gruppi europei, o quasi. Prima l’esordio nell’inferno degli euroscettici, poi il purgatorio: un ingresso fallito nei liberali, uno coi i socialdemocratici, un altro nei verdi.
L’ultima legislatura è passata da orfani nei non iscritti. Poi con queste europee c’è stato pure un fallimento non da gregari ma da protagonisti: un gruppo rossobruno che non ha raggiunto i numeri per partire. «Assieme ai 5S abbiamo lavorato intensamente per un nuovo gruppo e ci siamo arrivati vicini», a detta di Fabio De Masi, l’avamposto in Ue della rossobruna tedesca Sahra Wagenknecht che tentava la formazione «pacifista».
Così a ridosso della scadenza per la formazione dei gruppi Conte si è garantito asilo nella Sinistra, che con l’operazione Wagenknecht avrebbe rischiato di perder pezzi. Sinistra che aveva dovuto rinviare a questo mercoledì la propria costituzione per divergenze interne; portoghesi e scandinavi – in primis Li Andersson, l’astro nascente della sinistra finlandese alle ultime europee – chiedevano intransigenza verso i membri ambigui sul sostegno a Kiev.
Scongiurato il gruppo «pacifista» rossobruno, ora c’è un riequilibrio interno alla Sinistra stessa, viste le posizioni sulla guerra del Movimento, che diventa la delegazione più ampia dopo la France Insoumise. Anche per questi faticosi riassetti, la riunione di questo giovedì per decidere sul nuovo ingresso è stata lunga e si è conclusa sub conditione: dentro sì, ma con un periodo di prova («interlocutorio»).
Una storia movimentata
L’avventura europea del Movimento comincia nel 2014: Grillo combina il matrimonio con il brexitaro Nigel Farage nel gruppo Europe of Freedom and Direct Democracy.
Nel 2017 Guy Verhofstadt, federalista europeo che all’epoca guida il gruppo liberale Alde, «dopo averne discusso con Casaleggio» (come rivela lui a Domani nel 2021) offre al M5S la redenzione dall’euroscetticismo. Ma sono gli stessi liberali a indurlo alla marcia indietro: «Guy ha capito che se fossimo arrivati al voto sarebbe stato sconfessato», come ha raccontato Nils Torvalds, capofila dei rivoltosi.
A luglio del 2019 gli eletti stellati rivendicano come indispensabili i propri voti a favore di von der Leyen; si apre la fase che porta non solo al governo giallorosso Pd-5S ma pure al dialogo coi socialdemocratici (il gruppo del Pd in Ue). L’ingresso sembra imminente ma si infrange prima delle elezioni di metà mandato dell’Europarlamento: l’allora segretario dem Enrico Letta fa i conti con la fronda contraria e con le ambizioni non corrisposte di Massimo Castaldo per una vicepresidenza.
Nel 2023 si tenta coi Verdi e Conte indossa la giacca ambientalista. «Se c’è un momento è questo», dice l’allora capogruppo green Philippe Lamberts pensando alle europee. Ma il momento è perso: i negoziati si arenano per eccessive distanze. Specialmente per la componente tedesca è indigeribile il posizionamento di Conte su Kiev.
Prima delle europee parte allora l’operazione rossobruna: come scritto su Domani a metà maggio, i 5S diventano i possibili partner per Wagenknecht, che ha già fatto deflagrare la sinistra in Germania e pregusta di fare altrettanto in Ue sotto l’ombrello «pacifista». A metà giugno il suo uomo in Ue, l’eurodeputato De Masi, è a Bruxelles a negoziare.
Ma a luglio diventa evidente che non ci sono i numeri. Come lui stesso dice, «nelle scorse settimane coi 5S abbiamo lavorato intensamente per un nuovo gruppo e ci siamo arrivati vicini, avendo raccolto l’interesse di 20 eurodeputati da sei paesi». Niente: ora il suo partito BSW si concentra sulle sfide elettorali tedesche e resta nei non iscritti piuttosto che appaiarsi alla Linke. Non vale per i 5 Stelle: c’è un’età per tutto, e dopo tanti anni di vagabondare serviva accasarsi. Anche solo con un contratto d’affitto per i primi sei mesi.
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