- «Cari colleghi, vorrei portare la vostra attenzione su ciò che sta capitando in Italia». I «colleghi» sono gli eurodeputati che stanno lavorando al tema del pluralismo dei media. Quello che «sta capitando in Italia» è la occupazione della Rai da parte dell’estrema destra. Il caso Rai finisce all’attenzione dell’Europarlamento, dopo l’allerta della Federazione europea dei giornalisti.
- Se già prima l’Italia avrebbe dovuto fare più sforzi per garantire il pluralismo, ora con il governo Meloni la Rai si allontana sempre più dalla direzione che invece sta prendendo l’Unione europea, impegnata come non mai per garantire la libertà dei media.
- Mentre la Commissione Ue porta avanti lo European Media Freedom Act, palazzo Chigi attacca i giornalisti e vuole imporre «una nuova narrazione». Piovono lettere di allerta sul caso Rai, come quella della spagnola Riba, e arriveranno interrogazioni dal campo progressista.
«Cari colleghi, vorrei portare la vostra attenzione su ciò che sta capitando in Italia».
I «colleghi» sono gli eurodeputati che stanno lavorando al tema del pluralismo dei media. Quello che «sta capitando in Italia» è la occupazione della Rai da parte dell’estrema destra. Viene anche allegato un link: è una allerta della European Federation of Journalists (Efj) il cui titolo non potrebbe essere più nitido, In Italia l’esecutivo di estrema destra prende il controllo dell’emittente pubblica Rai.
La lettera che la spagnola Diana Riba – a nome del gruppo Verdi e Ale – fa circolare tra i colleghi della commissione Cultura il 24 marzo è l’ennesimo segnale di un progressivo allontanamento dell’Italia di Meloni dai valori e dai diritti europei. Durante il governo meloniano va così: prima gli attacchi ai media indipendenti, poi la presa della tv pubblica; a Bruxelles l’Italia finisce sempre più spesso appaiata a Polonia e Ungheria, mentre le organizzazioni per la libertà dei media hanno i polpastrelli consumati a furia di vergare denunce al Consiglio d’Europa. Il caso Rai non è solo l’ennesimo caso. È una svolta nell’allontanamento dai principi fondativi dell’Ue.
L’Ue, la Rai e il pluralismo
Roma e Bruxelles vanno sempre più in direzioni opposte. Dall’estate 2020 della pandemia e dei negoziati su Next Generation Eu, è apparso sempre più chiaro quanto costi non agire di fronte alle derive indemocratiche come quelle in Ungheria e Polonia. Perciò è in vigore oggi un meccanismo che condiziona la erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto, e da qualche anno la Commissione europea produce dei report sullo stato di diritto nei vari paesi.
Anche il pluralismo dei nostri media viene fotografato da Bruxelles: la Commissione si basa sul media pluralism monitor del centro sul pluralismo Cmpf. Già prima di Meloni al governo, gli esperti avevano avvertito che il pluralismo era a rischio e che bisognava fare qualcosa. «Quanto a indipendenza dalla politica, l’Italia è nella fascia di medio rischio, il 53 per cento», dice il monitor 2022. «Lo stato deve riformare sia la governance che i sistemi di finanziamento, per garantire una piena indipendenza dalle interferenze della politica, e deve riformare la disciplina sul conflitto di interessi».
Sono passati i mesi, Meloni è arrivata al governo, e la distanza tra Bruxelles e Roma è aumentata vertiginosamente: mentre la Commissione europea lavorava per il pluralismo con lo European Media Freedom Act, palazzo Chigi invece di fare le riforme per il pluralismo faceva una sorta di controriforma per controllare ancor più la sfera pubblica.
Il Media Freedom Act
L’estate scorsa la Commissione Ue ha proposto una bozza di Media Freedom Act europeo, che passa ora dalla discussione fra governi ed eurodeputati. Per il caso Rai è cruciale l’articolo 5 della bozza: quello che Bruxelles mette nero su bianco è che servono garanzie per l’indipendenza del servizio pubblico.
Le nomine dei vertici, ad esempio, richiedono «una procedura trasparente, aperta e non discriminatoria», «le decisioni di licenziamento vanno motivate con trasparenza», gli stati membri devono «garantire risorse finanziarie adeguate e stabili», e così via. Se si pensa alle pressioni politiche che hanno portato alla cacciata di Fuortes, o all’incertezza sulle adeguate risorse per la Rai, già è chiara l’incongruenza.
La solleva in Rai la consigliera di amministrazione Francesca Bria: «Secondo il Media Freedom Act, il board dovrà essere indipendente come quello di una banca centrale. Se il regolamento Ue verrà approvato, l’Italia – la cui governance Rai va attualmente nella direzione opposta – non potrà più sfuggire a questi obblighi europei: il servizio pubblico deve garantire il pluralismo».
Qualcosa si muove
Mentre Matteo Salvini twittava «Belli ciao!» dall’Italia, intanto in Ue gli eurodeputati leghisti se la sono subito presa con l’iniziativa di Diana Riba: «I Verdi spagnoli propongono un dibattito per discutere della nomina di Roberto Sergio nel cda Rai? Siamo all’assurdo». Poi si sono aggiunti «i media italiani di destra». «Mi stanno attaccando», racconta Riba stessa. L’eurodeputata si dice «molto preoccupata da quel che riferisce la Federazione europea dei giornalisti: abbiamo visto sviluppi simili in altri stati membri, e si sono conclusi con il controllo politico dei media pubblici».
Riba mette in fila gli attacchi del governo Meloni ai giornalisti – e a Domani – con il caso Rai, e il quadro le evoca l’Ungheria. Intanto la Federazione europea dei giornalisti (Efj) ha spedito una denuncia sul caso Rai al Consiglio d’Europa: è l’ennesima; mai, in tempi recenti, aveva steso così tante allerte in pochi mesi, quanto con Meloni. La lettera di Riba ai colleghi della commissione Cultura ha smosso qualcuno?
Interpellato, il coordinatore dei socialdemocratici Massimiliano Smeriglio dice che «quel che sta avvenendo in Italia è in contrasto col protocollo di Amsterdam oltre che con la base giuridica del Freedom Act, dunque produrremo un’interrogazione ai commissari europei competenti, e cercheremo di farlo insieme, con verdi, sinistra...».
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