Weber ha inaugurato la kermesse dei popolari europei sminuendo i suoi alleati in Ue. Il manifesto riecheggia la premier italiana su clima e migranti. Una piccola fronda è contro il bis di von der Leyen
Va detto che a Bucarest, dove è in corso il congresso dei Popolari europei, una piccola ribellione interna contro il bis di Ursula von der Leyen alla Commissione europea – su cui questo giovedì il suo partito europeo di appartenenza vota – c’è stata.
Hanno cominciato i francesi: già due settimane fa, nella riunione interna del gruppo, la destra dei Républicains ha manifestato la sua contrarietà a fare di von der Leyen la Spitzenkandidat (cioè la candidata presidente) del Ppe.
Poi questo mercoledì pure gli austriaci hanno rimbrottato: «Alcune linee rosse sono state superate», ha detto Christian Stocker, il segretario generale dell’Övp, riferendosi ad alcuni passaggi del manifesto comune oltre che alla nomina di von der Leyen.
Per ora una frondina non fa primavera: non sarà il partito di governo in Austria, né la sempre più debole destra tradizionale francese, a incrinare la strategia di Manfred Weber. O perlomeno, lui fa come se nulla fosse, e tira dritto con stile sempre più aggressivo.
Weber all’attacco
Weber, che dei popolari è il plenipotenziario, visto che dirige sia il partito europeo che il gruppo all’Europarlamento, ha inaugurato la kermesse con un attacco pesante ai socialisti, che in teoria sarebbero i suoi principali alleati di governo in Ue. In un passato non lontano, aveva tirato colpi pure a von der Leyen stessa, sua compagna di famiglia politica.
Il piano di Weber ha un obiettivo politico su tutti: contare ancora qualcosa. Il resto viene di conseguenza: attaccare gli amici per costringerli al compromesso, venire a patti coi nemici di una volta per acquisire peso.
Il flirt con l’estrema destra di Giorgia Meloni, che emerge evidente anche tra le novecento righe di manifesto politico presentato questo mercoledì dai popolari, va letto in quest’ottica. Il Ppe sa che alle europee di giugno le destre estreme saranno in forma, e non vuole né subirne la direzione, né restare a infragilirsi con gli alleati storici.
Weber semplicemente va di qua e di là in base alla convenienza: per ora, la sponda meloniana gli è servita a impedire che fosse la destra estrema a guidare il processo di cambiamento. Il Ppe, anche se dimagrito in seggi, ambisce a restare il perno.
L’estrema destrizzazione
«Abbiamo circa la metà dei leader in Consiglio europeo! Abbiamo la presidente dell’Europarlamento e quella della Commissione europea! Siamo il principale partito, siamo forti, e possiamo esserne orgogliosi!». È con una esibizione di forza che Weber ha avviato i lavori.
Non contento, ha tirato colpi ai socialisti: «Sabato hanno fatto il loro congresso a Roma, da noi la sala è così piena che la gente non riesce a entrare, loro non hanno neppure fatto notizia fuori dalla bolla di Bruxelles!»
A gennaio 2022, il gruppo socialdemocratico all’Europarlamento non si era limitato a digerire che la presidenza andasse a una popolare, Roberta Metsola, ma aveva assimilato pure l’accordo di Weber coi Conservatori, che aveva garantito a questo gruppo di estrema destra, per la prima volta, una vicepresidenza.
Fino all’ultimo, senza una contro strategia aggressiva, la capogruppo di S&D, Iratxe García Pérez, si è limitata a sperare che Weber non continuasse i suoi giochi con Giorgia Meloni. Di tutta questa morbidezza, Weber ha colto solo l’essenza politica: che il competitor si mostra debole. E questa rappresenta per lui solo una conferma che la propria strategia funziona.
«Loro sono ideologici», ha detto questo mercoledì, usando peraltro la parola preferita dai Fratelli d’Italia quando si tratta di attaccare il centrosinistra. «La loro non è transizione ecologica, ma ideologica», ha detto di recente Meloni da Pescara.
Migrazioni meloniane
Anche in questo, il manifesto presentato dai popolari a Bucarest fa eco all’estrema destra: «Il Green Deal per noi non è una nuova ideologia, come sostengono invece verdi e socialisti», dice il testo. Ma il trait d’union si vede particolarmente bene nei passaggi sull’immigrazione.
Non c’è da stupirsi che si invochi un patto con l’Africa e che il memorandum con la Tunisia sia citato come modello da replicare: su quel versante von der Leyen aveva già spalleggiato Meloni. Anche i riferimenti alla lotta ai trafficanti sono il richiamo a parole d’ordine condivise ormai coi meloniani.
Fa tuttavia scandalo persino a Londra – il Guardian spara la notizia in cima all’agenda – che da Bucarest il centrodestra europeo intenda replicare il controverso “schema ruandese” lanciato dai conservatori britannici. Il manifesto recita che «chi fa richiesta di asilo nell’Ue dovrebbe poter essere trasferito a un paese terzo, così che le procedure di asilo si svolgano lì, e che in caso di esito positivo la protezione sia offerta in quel paese».
L’idea riecheggia anche i primi tentativi albanesi di Meloni, mentre stride con il diritto europeo e internazionale. Ma Weber e von der Leyen hanno in mente anzitutto la campagna elettorale.
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