Per Giorgia Meloni la nomina del commissario è un travaglio. Prima di concordare sul nome di Raffaele Fitto, la premier ha dovuto assicurarsi che a lui fossero associate le giuste deleghe, tant’è che nella fase iniziale in cui erano indefinite ha sondato pure altri nomi, come Roberto Cingolani per l’energia. Oggi che Fitto ha la valigia fatta, alla premier toccano i negoziati in masseria con Matteo Salvini: chi gestirà il corposo portafoglio del ministro in partenza?

Basterà spacchettarlo o servirà un nuovo riferimento? Per Cingolani, il cui nome è tornato ieri nel dibattito, quel ruolo da ministro sembra sconveniente: spostarsi da Leonardo implicherebbe accuse di conflitti d’interesse e l’addio al lauto stipendio milionario da ad. Dopo la fatica per blindare Fitto a Bruxelles, a Meloni tocca insomma quella per gestirne l’assenza a Roma. Un risiko che porta ritardi nell’annuncio finale: l’Italia è tra i pochissimi paesi che devono ancora spedire i nomi a von der Leyen. Intanto però la Commissione prende forma.

Valdis Dombrovskis: l’inossidabile

EPA

Indicato dal governo lettone già all’indomani delle europee, l’ex premier Valdis Dombrovskis sarà un perno centrale della nuova commissione. Anche perché conosce quelle vecchie: è arrivato a palazzo Berlaymont già nel 2014 ai tempi di Jean-Claude Juncker. Nello scorso mandato ha gestito il commercio, che è competenza esclusiva della Commissione, e ha affiancato (come “falco”) Gentiloni per la riforma del patto di stabilità.

Avrà deleghe di rilievo, come già in precedenza ne ha avute in ambito economico. Nella commissione von der Leyen I, assieme alla liberale Margrethe Vestager e al socialista Frans Timmermans, era stato indicato come vicepresidente esecutivo: era previsto che i tre “supercommissari” sovrintendessero ad altri commissari.

C’è da scommettere che la presidente farà affidamento sul falco lettone, tanto più che di quei capisaldi resta solo lui, a parte Maroš Šefčovič: dopo l’addio di Timmermans ha preso la vicepresidenza esecutiva al clima. Lo slovacco sarà riconfermato, ed è un veterano di Bruxelles, ma esser designato dall’illiberale Fico non lo aiuta.

Thierry Breton: il rampante

(Thierry Breton, foto Epa/Ansa)

Anche il bis di Thierry Breton è stato confermato con grande anticipo, un mese fa, da Emmanuel Macron. Gli spintoni primaverili dell’Eliseo nei confronti di Ursula von der Leyen (rumor su Draghi compresi) servivano anzitutto a questo: a garantirsi peso decisionale nonostante la débâcle alle europee.

L’Eliseo intendeva blindare le spese per la difesa e presidiare il versante industriale, che Breton ha già seguito in passato: oltre a essere un ex manager, nello scorso mandato ha avuto la delega al Mercato interno. Si è già fatto notare anche per le polemiche con Elon Musk (e con von der Leyen) e sarà al centro della scena.

Piotr Serafin: l’apparato

(Piotr Serafin, foto Ansa)

A metà agosto, quando ha designato Piotr Serafin per la Commissione, Donald Tusk ha detto di aspettarsi per lui una delega al bilancio europeo, la stessa cioè che qui viene data tra le papabili per Chigi, e che Serafin conosce bene, avendo lavorato in passato proprio per un commissario al Bilancio (Lewandowski).

Il nome indicato dal premier polacco ha anzitutto due caratteristiche: conosce bene l’apparato brussellese ed è un suo fedelissimo; basti dire che era suo capo di gabinetto ai tempi in cui Tusk presiedeva il Consiglio europeo. Non avrà neppure bisogno di traslocare: l’ultimo incarico era alla rappresentanza polacca a Bruxelles.

Wopke Hoekstra: i tre delle Finanze

(Wopke Hoekstra, foto Ansa)

Tra le tendenze dei governi, c’è la predilezione per gli uomini – a dispetto della richiesta di von der Leyen di indicare anche una donna – e quella per gli ex ministri delle Finanze. Vale per Austria, Olanda e Irlanda. Il cancelliere austriaco Karl Nehammer ha indicato appunto il suo ministro delle Finanze dal piglio liberista, Magnus Brunner, nella lettera a von der Leyen, con la quale condivide la famiglia politica popolare.

L’olandese Wopke Hoekstra aveva già un piede nella Commissione, visto che nello scorso mandato ha rimpiazzato il vuoto lasciato da Timmermans; ma nel 2023 ha dovuto accontentarsi delle deleghe disponibili, scontrandosi pure con le perplessità degli eurodeputati, dato che nel momento clou della guerra del Ppe al green deal lui, un popolare, si accaparrava l’«azione climatica». Ma se ora Hoekstra riuscisse a ottenere una delega economico-finanziaria, la sua figura sarebbe persino più problematica: l’ex ministro ed ex vice premier del “frugale” Mark Rutte si è già distinto per le posizioni aggressive. Durante la pandemia si è opposto all’indebitamento comune, andando contro i paesi interessati ad averlo, come l’Italia governata all’epoca da Conte.

Se già Brunner vorrebbe contenere la spesa sociale, l’austriaco appare moderato in confronto al gran nemico olandese degli eurobond, tanto rigorista dei conti pubblici quanto sregolato coi propri: il suo nome è finito nei “Pandora papers” sui paradisi fiscali; e questo è solo uno degli scandali nei quali si è cacciato.

Quanto a Michael McGrath, pure lui a destra in economia e non solo (è l’ala destra di Fianna Fáil), il premier irlandese è stato così determinato a mandare in Ue il ministro delle Finanze – sia per equilibri di coalizione che per «esperienza col bilancio» – da farsi carico di difendere con von der Leyen la scelta del nome solo maschile.

Teresa Ribera: l’eccezione

(Teresa Ribera, foto Epa/Ansa)

Si contano sulle dita di una mano gli stati membri che hanno puntato su una donna. Proprio von der Leyen, che aveva esplicitato l’indicazione per la parità di genere delle nomine, rischia di ritrovarsi con una squadra più sbilanciata al maschile di Juncker. Vento di cambiamento arriva comunque dalla Spagna.

Pedro Sánchez ha già collocato la sua vicepremier Nadia Calviño come prima donna alla guida della Banca europea degli investimenti, e da mesi per la Commissione europea pensa a Teresa Ribera. La vicepremier si occupa di transizione ecologica e potrebbe portare questa sfida a livello europeo, ma a Bruxelles la ricordano per le battaglie sui prezzi ai tempi del caro energia: Ribera aveva incassato l’ “eccezione iberica” ed è plausibile che non abbandoni il tema.

Dato che l’Spd (e il governo) di Olaf Scholz vive una fase di débâcle, e che la Germania è rappresentata dalla presidente cristianodemocratica von der Leyen, su Ribera si concentreranno molte aspettative: è tra le poche donne ma soprattutto è tra i pochi guizzi socialisti in una Commissione orientata a destra. Anche per questo, Ribera incarna l’ “eccezione iberica”.

Olivér Várhelyi: la mina vagante

(Il premier ungherese stringe la mano a Varhelyi; nella foto anche il leghista presidente della Camera Lorenzo Fontana. Foto Comm.Ue)

Eccezione per tutt’altra ragione è il commissario ungherese Olivér Várhelyi, designato da Viktor Orbán – del quale è un fedelissimo – per il bis. Riconfermandolo, l’autocrate ungherese come suo solito fa una mossa controversa, data la quantità di scandali che Várhelyi ha già creato.

Quello che potrebbe creargli più problemi al momento dell’audizione con gli eurodeputati è averli chiamati «idioti», ma non è meno grave che abbia utilizzato la sua delega Ue all’Allargamento per far da sponda al separatista serbo Dodik (alleato orbaniano in Bosnia) o che abbia twittato lo stop agli aiuti Ue ai palestinesi senza il placet degli altri commissari.

Gli altri prescelti

Il premier greco Kyriakos Mītsotakīs, ala destra del Ppe, gode di un rapporto privilegiato con von der Leyen, per la nomina della quale ha negoziato in Consiglio e che in passato ha ospitato nella casa vacanze: sicuramente il neodesignato Apostolos Tzitzikostas – governatore di regione che ha anche presieduto il Comitato europeo delle regioni – farà valere il vincolo politico; già è servito a Mītsotakīs quando ci sono stati scandali sullo stato di diritto greco. Anche la Croazia – con Andrej Plenković tra i nomi di punta per il Ppe – avrà margini di manovra con la commissaria Dubravka Šuica, pronta al bis.

Jozef Síkela, scelto da Praga per la Commissione, è già noto a Bruxelles: durante la presidenza di turno ceca, in quanto ministro dell’Industria, ha dovuto coordinare i complessi negoziati del Consiglio Ue sul caro energia. Pure Jessika Roswall si è già mossa in Ue durante la presidenza di turno, e mandare a Bruxelles la propria ministra degli Affari europei di estrazione moderata può apparire come una mossa distensiva da parte di un governo svedese che per stare in piedi si appoggia all’estrema destra.

L’eurodeputata Henna Virkkunen, scelta dal governo finlandese per la Commissione, già da settimane esibisce sui social le foto con von der Leyen, come lei del Ppe. La Slovenia punta sul revisore dei conti Tomaž Vesel, che sa maneggiare fondi e appalti. Cipro sceglie l’ex ministro della Salute Costas Kadis, mentre il premier maltese premia il suo ex capo di gabinetto Glenn Micallef.

La Lituania intende portare a Bruxelles l’ex premier Andrius Kubilius, attualmente eurodeputato e considerato un falco antirusso. L’Estonia ha già Kaja Kallas alta rappresentante Ue. In Romania invece la scelta verte su Victor Negrescu, l’eurodeputato socialista 39enne eletto vicepresidente dell’Europarlamento lo scorso luglio; Negrescu ha espresso interesse per la delega agli Investimenti.

Smacco del governo lussemburghese allo spitzenkandidat socialista Nicolas Schmit, che era determinato a fare il bis alla Commissione, supportato da tutti i socialisti a tal fine: questo giovedì pomeriggio il premier Luc Frieden ha ufficializzato la designazione dell’eurodeputato Christophe Hansen (estrazione cristianosociale dunque Ppe) citandone «la vasta esperienza negli affari europei».

© Riproduzione riservata