Re Macron è nudo. Dopo mesi di strategie dilatorie e trappole varie, comprese quelle tese assieme a Marine Le Pen, questo lunedì sera il presidente della Repubblica lo ha proprio esplicitato: un governo del Fronte popolare? Non se ne parla nemmeno. Questione di «stabilità istituzionale».

Ormai la strategia per escludere la sinistra era palese, al punto da far esclamare a Olivier Faure, segretario del partito socialista, che le consultazioni organizzate da Macron fossero «truccate». A giudicare dall’incontro svoltosi ieri mattina tra il presidente, Le Pen e Jordan Bardella, erano pure «consultazioni pericolose», a memoria delle «relazioni pericolose» – cene segrete comprese, tra Macronie ed estrema destra – denunciate a inizio estate dal quotidiano Libération, e visibili sotto traccia almeno dal 2022.

Le dichiarazioni rilasciate dopo l’incontro da Le Pen si incastonavano perfettamente con lo schema di gioco che Macron ha portato avanti per settimane con un obiettivo: impedire alla sinistra di governare.

Consultazioni «truccate»

Venerdì – data di inizio delle consultazioni – al campo presidenziale era bastato prendere di mira la France Insoumise, ma nel weekend il fondatore stesso, Jean-Luc Mélenchon, aveva disinnescato la trappola mostrandosi pronto a rinunciare a ministri del suo partito. Così questo lunedì – quando era il turno della destra estrema – ci hanno pensato gli esponenti del Rassemblement (con Éric Ciotti come stampella) ad alzare la posta contro l’intero Fronte, rianimando la strategia macroniana. «Questo è un fronte antirepubblicano», ha denunciato Faure, esasperato.

Bisogna immaginare le consultazioni indette da Macron come un gioco dell’oca. Quando l’esito non coincide con quello auspicato dal presidente si ricomincia dal via, nel ripetersi di una strategia dilatoria che pare un déjà vu. Dopo il 7 luglio delle legislative, il presidente ha anzitutto negato che il Fronte si sia affermato come la formazione con più seggi – «nessuno ha vinto», a detta dell’Eliseo – e poi ha tenuto la Francia in stallo politico, con Gabriel Attal dimissionario in carica, per settimane, tra l’autoproclamata «tregua olimpica» e altri rinvii.

Quando ormai l’insofferenza traspariva anche nel suo stesso campo, Macron ha promesso: questa settimana avrebbe fatto un nome per Matignon. Il Fronte intanto aveva già avanzato un nome: Lucie Castets, che ha dato prova di disponibilità al dialogo con altre forze. Alle consultazioni cominciate venerdì scorso il presidente ha accettato che il Front si presentasse in blocco e con Castets presente, dopodiché le ha chiesto anche della eventuale presenza di ministri insoumis nel suo governo.

Quando è arrivato il momento dei macroniani (Attal) e dei repubblicani (Laurent Wauquiez), i due hanno teso la trappola: mozione di sfiducia per un governo con ministri insoumis. Nel weekend Mélenchon la disinnescato la mossa, ventilando che la France insoumise fosse disponibile a restare fuori dalla compagine governativa. Questo lunedì è stata allora la destra estrema a ricomporre la strategia macroniana apparsa lacerata: «Un governo del Fronte senza ministri della France insoumise non cambierebbe nulla», ha detto Le Pen uscita dalle consultazioni.

Nel frattempo dal weekend circolava l’idea che Macron potesse ricominciare il giro di consultazioni oggi: un gioco dell’oca che ricomincia, lasciando come esclusa la sinistra (e Castets). Ecco perché nel pomeriggio di lunedì il Fronte popolare ha fatto uscire una nota: basta, «il presidente deve agire e nominare Castets. Non parteciperemo ad altre consultazioni se non per definire le modalità di questa coabitazione».

La sinistra ha provato per l’ennesima volta a disinnescare le trappole di Macron; a quel punto è arrivata l’ammissione: il presidente esclude a priori un governo del Fronte. Poi l’annuncio: questo martedì, nuovo round di consultazioni.

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