- Sono arrivati in 8mila a nuoto sulla costa del sud della Spagna, approfittando della passività delle autorità di controllo marocchine, costeggiando a rischio della vita i frangiflutti per approdare nella città autonoma di Ceuta.
- Lasciati fuggire dalla frontiera marocchina per ritorsione del regno del Marocco nei confronti dello stato spagnolo. Per avere lasciato entrare, in Spagna, il leader del Fronte Polisario e presidente della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, Brahim Gali, malato di Covid e avergli permesso di farsi ricoverare in un ospedale di Logroño.
- Quello che è avvenuto in questi giorni non è una crisi migratoria. È una crisi diplomatico-politica covata da mesi che si è trasformata in poche ore in una crisi umanitaria.
Sono arrivati in 8mila a nuoto sulla costa del sud della Spagna, approfittando della passività delle autorità di controllo marocchine, costeggiando a rischio della vita i frangiflutti per approdare nella città autonoma di Ceuta.
Non si era mai verificato prima un ingresso così massiccio di migranti sul territorio spagnolo provenienti dal Marocco in uno spazio così breve di tempo, appena due giorni. Molti giovani, famiglie intere e almeno 1.500 minori, alcuni molto giovani, in fuga dalla miseria che la pandemia ha approfondito.
Lasciati fuggire dalla frontiera marocchina come atto di ritorsione, non dichiarato ma implicito, del regno del Marocco nei confronti dello stato spagnolo. Per avere lasciato entrare nel paese, nell’aprile scorso, il leader del Fronte Polisario e presidente della Repubblica democratica araba dei Sahrawi, Brahim Gali, malato di Covid-19 e avergli offerto cure in un ospedale di Logroño, nella Comunità della Rioja. Così, una crisi diplomatica covata da mesi si è trasformata in poche ore in una crisi umanitaria.
I fatti
«Quello che sta succedendo a Ceuta è ciò che normalmente accade da anni nelle relazioni bilaterali che l’Europa ha stabilito con paesi terzi, basate non sulla cooperazione ma sul controllo migratorio.
Quando il Marocco vuole ottenere qualcosa fa leva su questa minaccia, come Gheddafi a suo tempo fece con l’Italia», spiega Helena Maleno, fondatrice della ong Caminando Fronteras, un collettivo di difesa dei diritti umani presente nei differenti territori della frontiera occidentale euro-africana.
«Già sabato venivamo a sapere che il Marocco avrebbe aperto la frontiera,facendo uso di quella pratica che i migranti chiamano “promozione”, come si trattasse di saldi di fine stagione. La domenica già non c’era più alcun controllo. Eravamo preoccupati per le piccole imbarcazioni che si erano messe in mare per raggiungere Cadice attraverso lo Stretto di Gibilterra, circa 200 persone per la maggioranza subsahariane. Perché non controllare vuol dire anche non salvare».
«L’arrivo di tangti marocchini a Ceuta a nuoto nei due giorni successivi è l’effetto di espulsione del Covid: la zona frontaliera della città marocchina di Castillejos vive della frontiera e questa è chiusa da mesi. Le persone che si sono buttate in mare soffrono la fame da tempo, sono i vicini di Ceuta che prima vi entravano per lavoro. Il Marocco, aprendo la frontiera, li ha usati: è un gioco molto sporco, non una crisi migratoria, perché si è utilizzata la fame, l’impoverimento e la miseria per fare pressioni politiche su un altro stato».
Le frontiere lasciate ai regimi
«Quanto successo è la conseguenza della pratica di esternalizzazione delle frontiere dell’Europa a paesi con regimi dittatoriali, che così provano a comprare il silenzio complice, in questo caso del governo spagnolo, sull’occupazione del Sahara», analizza Òscar Camps, fondatore e direttore della ong Open Arms.
«Questo dimostra che l’esternalizzazione di frontiere e il condizionare gli aiuti allo sviluppo del controllo migratorio non solo è un’azione criminale che vulnera i diritti umani, ma non è neppure efficace, perché si consegna a governi senza scrupoli un’arma di ricatto. Non è solo un problema spagnolo, ma della politica migratoria europea, succede anche in Turchia e in Libia».
Diversamente da quanto accadde nel 2014 sotto il governo del popolare Mariano Rajoy, quando morirono 15 persone sulla spiaggia del Tarajal tra i migranti arrivati via mare, ai quali non fu prestato alcun soccorso dalla Guardia Civil, e che anzi furono respinti con pallottole di gomma, in questa occasione la polizia militare si è prodigata nel salvataggio delle persone, esauste dalla traversata.
Questo ha reso possibile evitare una strage, finora si ha conoscenza di una sola vittima e di un bambino subsahariano disperso.
Il governo spagnolo ha inviato l’esercito a Ceuta «per ristabilire l’ordine e le nostre frontiere con la massima celerità», dichiarava solennemente martedì il presidente socialista Pedro Sánchez. «Saremo fermi per garantire la loro sicurezza davanti a qualunque sfida».
E già sono stati realizzati 5.600 respingimenti, una pratica proibita dalla legislazione internazionale sui diritti umani. L’Unione europea ha preteso dal Marocco il rispetto degli impegni in materia di controllo migratorio, perché Ceuta è «anche una frontiera della Ue». Nella mattina di ieri, il Marocco è tornato a chiudere la frontiera con la Spagna.
La politica dei rispingimenti
Gli alleati dei socialisti, Podemos, si sono detti preoccupati circa il fatto che questa crisi offra l’opportunità all’estrema destra di «favorire comportamenti xenofobi e proporre interventi di repressione».
Ceuta è una città di 85mila abitanti che vivono su 14 chilometri quadrati.
La popolazione, per buona parte di religione musulmana, non apprezza il discorso dell’estrema destra che, con il leader di Vox Santiago Abascal, parla di invasione «con migliaia di assalitori per l’inazione vigliaca e criminale del governo che ha abbandonato la nostra frontiera».
Il Partido Popular di Pablo Casado accusa il governo dell’accaduto. I sondaggi successivi alle elezioni di Madrid dello scorso 4 maggio danno in risalita di consensi il Pp, mentre il Psoe perde punti.
Il governo spagnolo sostiene di stare agendo secondo le regole della legislazione nazionale e internazionale. «Il problema – sostiene Maleno – è che la pratica dei respingimenti sia avallata dall’Europa. Penso sia vero che una parte della popolazione di Ceuta abbia avuto paura e che con l’invio di militari si volesse dare un’immagine di rassicurazione.
Ma non si possono utilizzare solo i militari per dare sicurezza alla popolazione di Ceuta: dev’essere chiaro che, anche nel caso dell’ingresso di molte persone, ci sarà una gestione umanitaria che non alteri la vita degli indigeni».
Anche la sentenza del Tribunal Constitucional cui il governo dice di riferirsi pone una serie di condizioni per i respingimenti, che devono avvenire sotto controllo della polizia, nel rispetto dei diritti umani e in forma individualizzata.
E invece, sostiene Camps «questa situazione provoca una violazone dei diritti umani, perché è possibile che siano stati rimandati indietro anche dei minori insieme agli adulti e che in generale non sia stato dato alcun sostegno legale alle persone, ma che si sia trattato solo di un respingimento di massa».
Il problema dell’esercito
«Inviare l’esercito quando si tratta di un problema diplomatico è seguire l’agenda dell’estrema destra», segnala Camps.
E infatti, l’immagine dell’esercito dispiegato sulla spiaggia con tanto di carri armati ha fatto invidia al leader della Lega Matteo Salvini che, sottolinenado la natura progressista del governo spagnolo, ha lodato la presenza dei militari ai confini «per bloccare gli ingressi illegali».
Il salvataggio di un neonato di due mesi da parte di un poliziotto della Guardia Civil e l’abbraccio disperato di un marocchino a una operatrice della Croce Rossa sono le immagini commoventi che lascia questa crisi umanitaria.
«Quanto avvenuto è stata una manovra di geopolitica in stile gangster: si sono utilizzate persone vulnerabili a fini di estorsione e di ricatto, una pratica abituale del governo marocchino. Non è una crisi migratoria. Questo è muovere flussi migratori per denaro, è traffico di persone», denuncia il fondatore di Open Arms.
«Non c’è stato alcun effetto chiamata ma un movimento d’espulsione – reitera Maleno –. Queste famiglie, in un altro momento, non avrebbero mai lasciato la loro città. Si tratta di persone che vivono sulla frontiera che avevano un lavoro, mandavano i figli a scuola e che il Covid ha privato di tutto.
Ed è su questo effetto di espulsione che dobbiamo lavorare con politiche di cooperazione bilaterale che mettano al centro le persone».
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