Freikörperkultur, la “cultura del corpo libero” abbreviato in FKK, è quel vasto e ormai piuttosto longevo movimento filosofico che è nato in Germania come forma di “reazione” all’industrializzazione del paese, con lo scopo di recuperare un rapporto più diretto con la natura verso la fine del XIX secolo.

La storia

Un rifiuto della morale borghese che troverà il suo più importante alfiere in Adolf Koch che nel 1920, lanciò sull’isola di Sylt, la prima spiaggia nudista tedesca. Koch era un insegnante di educazione fisica e un pedagogo ed è il padre della FKK che divulgò in tutta la Germania durante tutto il decennio successivo, integrando all’esercizio fisico in libertà, una cultura nuova dell’igiene coinvolgendo alunni e genitori.

Questo processo non avvenne senza ostacoli e senza resistenze almeno fino all’avvento del nazismo nel 1933. Gli istituti da lui fondati vennero chiusi e i libri da lui scritti sui suoi metodi bruciati in quanto giudicati “non tedeschi”, perché si rifiutò di dissociarsi dai suoi dipendenti ebrei. Questo non gli impedì di continuare il suo lavoro e aiutare molti ebrei a scampare dalla persecuzione nazista.

Tuttavia, la sua abilità di formatore sportivo venne riconosciuta dal regime hitleriano che lo richiamò in servizio per occuparsi della riabilitazione dei soldati feriti. La “cultura del corpo libero” ha avuto interpretazioni di destra nell’esaltazione del corpo a scopi militari e nazionalistici, il mito della razza, ma Koch veniva da una solida cultura socialista e umanista e il suo lavoro va inteso all’interno di una idea di egualitarismo: «Siamo nudi e ci diamo del tu!» era il titolo della rivista da lui fondata.

La cultura tedesca

Questa cultura è profondamente radicata in Germania e ha ripreso slancio subito dopo la Seconda guerra mondiale con la Deutscher Verband für Freikörperkultur (DFK) ovvero l’Associazione Tedesca della Cultura del Corpo Libero che quest’anno avrebbe dovuto celebrare i suoi 75 anni di attività, anniversario cancellato per via del progressivo crollo delle iscrizioni passate in un quarto di secolo da oltre 65 mila a soli (si fa per dire) 32mila iscritti.

«Le cause sono complesse. Nei 121 club che hanno sede qui si registrano conflitti generazionali tra gli anziani, che rappresentano la quota maggiore, e i pochi giovani» spiega il 67enne presidente della DFK, Alfred Sigloch alla Bild in una intervista di Giugno.

Per Sigloch le differenze generazionali passano attraverso il tema della digitalizzazione della società: ai soci più anziani non interessa che ci sia o meno il wi-fi nelle spiagge o nei campeggi, per i giovani è una questione dirimente, a cui si aggiunge il tema della pressione dei social network come TikTok e Instagram nell’immagine che si deve mostrare di sé. Il corpo degli adolescenti e dei giovani adulti è un nuovo campo di battaglia dove vince solo chi ha un fisico per così dire “instagrammabile”.

La situazione italiana

E in Italia? I numeri delle associazioni non sono nemmeno paragonabili, il Fenait – l’associazione ombrello simile come concetto alla DFK fondata nel 1972 – vanta circa 2000 iscritti totali, però il suo presidente Gabriele Rossetti, spiega che diverse stime parlano di almeno 600 mila persone che in Italia lo praticano, senza per questo sentire la necessità di associarsi.

È la crisi dei corpi intermedi che colpisce anche il Terzo Settore, di cui la Federazione Naturista Italiana è parte, non solo partiti, sindacati e chiese. «Consideri tra le 600mila e le 800mila in Italia, 20-22 milioni di naturisti in tutta Europa» spiega Rossetti. Il motto del naturismo in Italia è «Naturismo è avere rispetto dell’ambiente, dell’altro e di sé stessi», spiega mentre racconta come ci sia interesse verso l’Italia e che in questi stessi giorni una troupe canadese stesse girando un servizio sul fenomeno e i luoghi di accoglienza nel nostro paese.

Questo perché una recente ricerca di un sito britannico di prenotazione di campeggi e simili, abbia visto un +49 per cento nelle ricerca riguardanti il filtro “naturismo” e “Italia”. E in effetti Rossetti conferma che ci sono nuove strutture in via di apertura, e altre che aperte di recente hanno già compiuto un anno e fanno il tutto esaurito, segnale di un mercato della recettività che ha trovato un segmento magari di nicchia ma tutto da esplorare, fatto spesso di persone del nord Europa con capacità di spesa (almeno rispetto agli italiani) e interesse a fare le vacanze nel Belpaese.

Cura dei luoghi in cui si sosta che porta spesso ad organizzare pulizie delle spiagge o dei boschi da parte dei naturisti, e un rapporto con la nudità che non sfocia nel voyeurismo «non si sta nudi per incentivare le attività sessuali» spiega ancora il presidente del Fenait, spiegando come spesso la cultura del corpo libero venga fraintesa, «un fenomeno che vedo soprattutto in Italia» prosegue, in cui si scambia il nudismo per promiscuità e disponibilità da parte delle donne, le più “colpite” sui social. Qui come in tanti altri contesti in cui la mascolinità tossica è prevalente verrebbe da aggiungere.

Ma qual è lo status giuridico del nudismo in Italia? A differenza di altri paesi europei non esiste una legge nazionale quadro, ma due sentenze del 2020 della Corte di Cassazione (3557 e 1765) hanno sancito che la nudità naturista è diventata legale in tutti quei luoghi pubblici abitualmente frequentati da nudisti e naturisti, in pratica sanando l’esistente.

Quindi a differenza della Germania non è possibile vedere nudisti nei parchi cittadini, ma le spiagge che normalmente sono divenute luogo di ritrovo sono divenute automaticamente luoghi tutelati. Per il resto tutto è demandato alle singole regioni, attualmente 20 spiagge ufficialmente dedicate al naturismo, di cui quattro nella sola Toscana.

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