Putin avalla l’ipotesi che un tavolo negoziale con Kiev possa aprirsi dalle parti di Bratislava, ma l’efficacia della gita di Fico a Mosca è dubbia. Certo, lo aiuta a coprire gli scandali interni, mentre l’amico Orbán inventa stratagemmi per il gas russo...
Qual è il teatro e qual è la realtà? Nelle ultime ore sia il governo Fico che il presidente della Repubblica slovacco hanno avallato l’ipotesi – sposata giovedì pubblicamente da Vladimir Putin – che Bratislava ospiti negoziati di pace russo-ucraini.
Il tema di per sé parrebbe serio; peccato che, stando a molti osservatori slovacchi, si tratti solo di un gran teatro a uso e consumo di giochi e interessi dei protagonisti. Ha tutti i connotati della finzione teatrale invece – ma è sin troppo reale – la serie di video che da Natale tiene banco in Slovacchia: i filmati risalgono a prima che Robert Fico tornasse al potere e offrono la presa diretta delle sue conversazioni private con i suoi uomini di fiducia (ora tutti promossi, ça va sans dire). Ci sono insulti all’attuale presidente della Repubblica, minacce, promesse di vendetta…
Scena e retroscena, realtà e finzione, mostrano le derive orbaniane di Fico.
Bratislava e i negoziati fake
Dopo che Robert Fico era stato al Cremlino pochi giorni prima, questo giovedì Vladimir Putin in persona ha innescato pubblicamente l’ipotesi dei negoziati in Slovacchia, riferendo a portata di agenzie stampa che Fico avrebbe proposto di avviarli sul territorio da lui governato: «Per quel che riguarda la sede, il premier slovacco ha detto che se si tratta di negoziati, sarebbero felici di fornire una piattaforma per condurli». Alla domanda se il Cremlino fosse favorevole, Putin ha fatto intendere di sì: «Se ciò dovesse accadere, non saremmo contrari. Perché no? Dal nostro punto di vista, la Slovacchia assume una posizione neutrale».
A seguire sono arrivate reazioni e conferme da Bratislava. Alle ventitré passate di giovedì, il ministro degli Esteri slovacco Juraj Blanar ha comunicato che «da tempo il nostro governo – che offre il proprio territorio a tal fine – propone negoziati di pace con tutte le parti, anche la Russia» e che «in questo contesto la dichiarazione del presidente russo ci appare come un segnale positivo per la fine più rapida di questa guerra». Blanar ha aggiunto che «su questa possibilità ci siamo relazionati coi partner ucraini al nostro incontro tra governo slovacco e ucraino a ottobre».
Su tutto ha aggiunto il suo peso anche il presidente della Repubblica slovacco, Peter Pellegrini, che era stato premier dopo le dimissioni di Fico del 2018 (in seguito alle proteste popolari per l’assassinio del giornalista Ján Kuciak e della sua fidanzata) e che ha tatticamente preso le distanze dal suo partito di provenienza (cioè quello di Fico, Smer) per poi ri-allearsi con Fico stesso nel 2023 come partner di coalizione con la sua creatura politica, Hlas; mossa che gli è valsa la presidenza.
«Il presidente nei suoi discorsi pubblici sostiene già da tempo l'idea di tenere il vertice a Bratislava», è stato ribadito, mentre in un’intervista Pellegrini stesso ha ventilato un suo viaggio a Kiev per verificare la fattibilità del piano.
Relazioni (a tre) Fico-Putin
Perché Kiev dovrebbe accettare i negoziati in Slovacchia?, si chiedono gli esperti, che ritengono più plausibile come eventuale opzione la Turchia. Le uscite pubbliche di Viktor Orbán – alleato di Fico e cavallo di Troia di Putin in Ue – vanno esse stesse in questa direzione: proprio da Ankara, a metà dicembre, l’autocrate ungherese dichiarava che «ora i negoziati possono iniziare». «A Roma ho incontrato Papa Francesco, la premier Meloni, poi in Florida Trump; ieri ho avuto una lunga conversazione telefonica con Putin e ora eccomi da Erdogan».
Tra i motivi per i quali tra i politologi slovacchi l’ipotesi di Bratislava è recepita come un bluff c’è anzitutto il fatto che la Slovacchia – in sintonia con Budapest – in realtà non appare affatto «neutrale» come invece sostiene Putin. Lo fa presente anche la stessa opposizione slovacca, a cominciare dal leader Michal Šimečka, che a settembre la coalizione Fico ha fatto fuori dalla vicepresidenza della Camera (a proposito di derive illiberali).
Per essere compresa, la relazione tra Fico e Putin va intesa anzitutto come una triangolazione. Per poter tornare al potere, l’attuale premier slovacco si è avvalso di strumenti russi e tattiche ungheresi. In campagna elettorale si è opposto agli aiuti a Kiev e ha sfruttato canali di disinformazione supportato da Mosca; al contempo ha potuto contare sui suggerimenti di Orbán (e persino sull’invio di suoi consulenti).
Una volta al governo, Fico sta replicando lo schema illiberale orbaniano – presa dei media, controllo della sfera pubblica, repressione del dissenso – e lo sta facendo anche sul versante geopolitico. Nel nuovo memorandum di politica estera slovacco reso pubblico qualche mese fa, si teorizza che Bratislava debba aprirsi in tutte le direzioni (Cina e Russia comprese).
Nel Consiglio europeo, Fico ha rimpiazzato Varsavia (ora a guida Tusk) come alleata di ferro dell’Ungheria; a novembre è stato a Pechino in cerca di opportunità (e soldi e investimenti) da Xi Jinping. A dicembre è andato a Mosca. Nel video che ha diffuso, curiosamente si è fatto riprendere da solo, mentre Putin aveva i suoi fedelissimi a supporto. Nessuno degli aerei governativi a quanto pare è stato usato per il volo.
Gas, affari e imbrogli
Mentre è lecito dubitare che l’incontro sia davvero servito a sbloccare la pace, qualche perplessità c’è pure sulla sua efficacia in fatto di forniture di gas. L’ipotesi dei negoziati a Bratislava ha quantomeno una funzione: distrarre dai flop. Bruxelles ha già fatto intendere a metà dicembre che non metterà il suo peso politico per garantire che il flusso del gas russo tramite l’Ucraina prosegua oltre quest’anno; ipotesi alla quale Kiev ha già detto di no, e Fico lo sa. Non significa che non arriveranno più forniture, ma verosimilmente che Gazprom proporrà gas più costoso: è l’unico vero punto sul quale Bratislava rischia di mettere tutti d’accordo.
Intanto questo venerdì Orbán ha sfoggiato uno stratagemma dei suoi (il tema delle forniture riguarda anche l’Ungheria): «Stiamo testando cosa accadrebbe se una volta entrato in territorio ucraino il gas fosse da ritenersi già di proprietà dei suoi acquirenti e non più russo».
Fico gli ha retto il gioco minacciando Kiev: «Se interrompe il trasporto di gas russo da gennaio, noi potremmo interrompere la fornitura di elettricità all’Ucraina».
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