Da questo Consiglio non ci si aspettava grandi decisioni, ma una prova generale: fino a che punto si può spingere a destra l'Ue? Meloni col protocollo albanese, e Tusk con lo schiaffo al diritto d’asilo, hanno fornito i test. L’esito rivela che sono rimasti sempre meno ostacoli alla deriva illiberale che vede von der Leyen nel ruolo di regista
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«Il vento è cambiato!», esulta Geert Wilders. Da questo Consiglio europeo non ci si aspettava grandi decisioni, ma una prova generale: fino a che punto si può spingere a destra l'Ue? Giorgia Meloni col protocollo albanese, e Donald Tusk con lo schiaffo al diritto d’asilo, hanno fornito i test.
Più a destra
L’esito rivela che sono rimasti sempre meno ostacoli alla deriva illiberale che vede Ursula von der Leyen nel ruolo di regista; proprio come questo giovedì mattina, quando da presidente di Commissione si è seduta con Meloni, con Orbán (l’autocrate ungherese entusiasta dell’esperimento albanese) e altri leader, per discutere di pugno duro sui migranti prima del vertice ufficiale.
Tra i co-organizzatori con l’Italia non c’era solo l’Olanda, che col nuovo governo a traino di estrema destra sogna di uscire dalle regole Ue sulla politica migratoria (“opt-out”). C’era pure la Danimarca, paese che gli opt-out per evitare l’integrazione li conosce e li usa, e che in teoria ha al governo una socialista.
Peccato che Mette Frederiksen abbia preferito dar buca agli altri leader del Pse per essere al fianco di Meloni; e con il cancelliere austriaco (Nehammer, Ppe, amico di Meloni), il premier ceco (Fiala, Ecr, entusiasta del test albanese), la Slovacchia di Fico, amico di Orbán, e Orbán stesso…
A parte il premier spagnolo, poteva forse essere il cancelliere socialdemocratico tedesco a fermare la deriva meloniana? Non fino in fondo: Scholz ha detto che il test in Albania è una goccia nel mare (rispetto alle esigenze tedesche), ha fatto presente il tema del rispetto delle regole (che von der Leyen pensa già a cambiare); ma con l’estrema destra in ascesa nel suo paese, è il primo a voler dare un segnale duro, come ha fatto di recente mandando in tilt Schengen.
Poteva allora essere Macron? Neppure lui davvero: ora convive con un premier, Michel Barnier, e con un ministro degli Interni, Bruno Retailleau, che devono il loro stesso incarico al beneplacito dell’estrema destra lepeniana. Non a caso questo giovedì dal governo francese è giunta voce che sì, sarebbe interessante ragionare sul modello albanese…
Per paradosso, l’unico segnale leggermente dissonante arriva da un alleato di Meloni dentro il Ppe, Kyriakos Mitsotakis: il premier greco viene pur sempre dal mondo della finanza, e allora è andato a dire al Financial Times che «se chiudiamo ai migranti senza lasciare una porta, chi ci raccoglie le olive?»: la migrazione contemplata come necessità di mercato.
Più a est
«È stato più facile del previsto»: pure Donald Tusk si sarebbe aspettato almeno qualche resistenza; invece solo «comprensione».
Martedì il suo governo ha adottato la «strategia migratoria “Riprendi il controllo!”», che per contenuti e stile sembra confezionata in vista delle presidenziali polacche 2025. Contempla la sospensione del diritto di asilo (contraria sia al diritto internazionale che alla costituzione polacca) in nome della «minaccia che l’afflusso di migranti reca allo stato».
Già il Pis, con l’alibi dello stato di emergenza, nel 2021 aveva trasformato in legge i respingimenti illegali al confine con la Bielorussia; e già allora era stato più facile di quanto ci si dovesse aspettare. Con l’argomento della guerra ibrida di Mosca, la Commissione Ue aveva assecondato la mossa. Ora ci riprova il leader del Ppe, stessa famiglia di von der Leyen (Tusk da negoziatore ne ha messo a segno la nomina). E torna dal Consiglio soddisfatto: le decisioni saranno prese in Polonia, dice, ma «da Bruxelles nulla di negativo».
Tusk ha partecipato all’incontro promosso da Meloni: interessante, dato che il Pis è nei Conservatori e Morawiecki sta per assumere la presidenza del partito europeo al posto di Meloni. All’opinione pubblica polacca Tusk ha preferito riferire di un «incontro coordinato da von der Leyen».
Intanto il suo ministro degli Esteri, il falco filoatlantico Radosław Sikorski, era a Roma con Tajani; l’uno a dire che l’opzione scelta dall’altro (Albania e asilo) è specifica per quel paese, ma avallandosele reciprocamente. I vertici di questo giovedì, a cominciare dalle foto di gruppo, mostrano un’Ue spostata a destra (con Meloni) e a est (verso la Polonia).
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