«Quando mi chiedono se, una volta ottenuto il potere, mi comporterò come Fidesz, io rispondo: se avessi voluto fare come Fidesz sarei rimasto nel sistema». Il leader di Tisza era parte del sistema orbaniano; ora ne è diventato il principale sfidante (da destra). Scommette che «una transizione pacifica è possibile», ma Orbán dà già segni di agitazione. Conversazione con Magyar a Vienna
«Io so che possiamo batterlo», dice Péter Magyar seduto a un tavolino di un’osteria di Vienna, dove questo giovedì è venuto per incontrare la comunità ungherese che lo supporta pure dall’Austria.
Davvero è possibile schiodare dal potere Viktor Orbán dopo quattordici anni in cui ha adattato l’Ungheria – i media, l’economia, le istituzioni – a sua immagine? Certo è che fino a febbraio scorso di Péter Magyar non era conosciuto neppure il nome, e nel giro di meno di un anno il suo partito Tisza ha sorpassato Fidesz.
Cronaca di un sorpasso
Per ora lo ha fatto solo nei sondaggi, certo; ma in politica è quello il sismografo che preannuncia un terremoto. «Non corro i cento metri. So che questa è una maratona», dice Magyar; ma anche sulla stretta distanza sta mostrando risultati impensabili. Per le europee ha apparecchiato la scatola di Tisza, trasformando nel giro di poche settimane un movimento cresciuto sui social in partito, e già allora ha incassato il 30 per cento. La prima conseguenza della sua irruzione sulla scena politica è stata quella di annientare la zoppicante opposizione di centro e sinistra. A giugno Fidesz era ancora al 45, ma ha dovuto prendere atto di avere un competitor da destra; competitor che ha annientato la solita vecchia opposizione, e che per emergere ha preso le distanze tanto da Orbán quanto dall’impopolare predecessore socialista Ferenc Gyurcsány.
Da allora è stata tutta una rincorsa reciproca: Magyar è cresciuto nei sondaggi, all’inizio di settembre era al 39 per cento con il premier al 43, la distanza non ha fatto che accorciarsi, finché il «maratoneta» – come si definisce – ha scavalcato l’autocrate; all’inizio di questa settimana Partizan, il canale alternativo che per primo aveva intervistato Magyar attirando milioni di visualizzazioni su YouTube, ha certificato il primo segnale di sorpasso. Nel frattempo Orbán, abituato a star fermo da anni, seduto lì, sulla poltrona da primo ministro, ha sentito la sveglia della contesa e ha adattato il ritmo: Magyar si mostra mentre si allena e veste slim fit? Il premier annuncia che si è messo a dieta. Il competitor appare in forma (politica) smagliante? La propaganda governativa ingaggia ex fidanzate per fare illazioni. C’è aria di sfida, insomma, e questa per l’Ungheria di Orbán è già una notizia.
«Potrebbero non bastare le elezioni del 2026 – dice il competitor del despota – ma se anche ci volessero dieci anni alla fine ce la faremo, perché gli ungheresi non ne possono più di questo sistema corrotto». Il sistema: è questo il punto. Non si tratta di scalzare Orbán, l’individuo, ma l’orbanizzazione, una deriva autocratica che ha cambiato connotati all’Ungheria e che ha fatto da canovaccio per svolte illiberali altrove in Ue. Si tratta di molto di più che un rutinario meccanismo di alternanza democratica, tanto che lo storico Stefano Bottoni – tra i primi ad aver denunciato la deriva autocratica orbaniana – avverte che il despota potrebbe non accettare un cambio di regime per via pacifica. In questi giorni i postnazisti di Mi Hazánk – che nel 2022 si sono guadagnati una porzione in parlamento e che in Ue siedono con AfD – già si offrono come stampella: «Sia Magyar che Orbán hanno bisogno degli elettori di Mi Hazánk», dice il controverso leader László Toroczkai, indicando una radicalizzazione a destra come trompe-l'œil di via d’uscita.
E Magyar, che ripete anche agli ungheresi di Vienna di volere un cambiamento «pacifico», pensa davvero che Orbán lo accetterà? A Domani risponde di sì. «Conosco personalmente Orbán. Ovviamente è molto cambiato rispetto al 1989, quando appariva come un eroe democratico; ma penso che abbia tuttora dei limiti. Se sarà sconfitto, lo accetterà».
Fuoriuscito dal sistema
«La questione è se in condizioni di competizione non equa sia davvero possibile sconfiggerlo; molti nell’opposizione pensano di no, ma io sono fiducioso. Ho girato qualcosa come duecento villaggi, ho visto che le persone si mobilitano per Tisza», dice Magyar che sta andando a scovare potenziali votanti pure all’estero; dopo Vienna ha in mente di andare anche «in Transilvania, a Londra, Monaco, Stoccarda…».
«I nuovi sondaggi mostrano che siamo un’onda che cresce, e in politica il “flow” – il flusso – è importante. La gente è stufa di corruzione e propaganda: nel giro di dieci anni siamo diventati il paese più povero dell’Ue. Fidesz non fa politica; fa propaganda; lo so perché con la mia ex moglie ho conosciuto quel sistema».
Prima di diventare il fenomeno della politica, Magyar era noto per essere stato il compagno di Judit Varga, proiettata come capolista di Fidesz alle europee. Dopo che uno scandalo l’ha scalzata fuori dalla scena, lui si è presentato come l’uomo nuovo d’Ungheria, il che può apparire paradossale se si pensa che era organico al sistema, con ruoli in compagnie statali.
Ma tra un j’accuse YouTube sul sistema-mafia orbaniano, corse in Procura e bagni di folla, Magyar si è trasformato per gli ungheresi in una speranza di cambiamento, complice la sua strategia: da una parte richiama agli stessi sentimenti patriottici e conservatori che piacciono a chi ha votato in passato per il premier, dall’altra si presenta in discontinuità sia con il sistema fidesziano che con la galassia dell’opposizione considerata fallimentare.
«Quando mi chiedono se, una volta ottenuto il potere, mi comporterò come Fidesz, io rispondo: se avessi voluto fare come Fidesz sarei rimasto nel sistema». Quando Magyar inizia a parlare agli ungheresi accorsi intanto al ristorante Centimeter, dietro al municipio di Vienna, il microfono a un certo punto si inceppa: «Errore di sistema, dice. Eh già – scherza lui – qui è il sistema che non va». E la sala esplode in una risata liberatoria.
Alternativo a metà
A inizio ottobre, quando il premier ha presentato la presidenza ungherese all’Europarlamento, Manfred Weber, il leader della sua ex famiglia politica – perché nel 2021 Orbán ha lasciato il Ppe prima di esserne cacciato – gli ha detto che il suo tempo è finito: Péter Magyar, che adesso siede tra i Popolari europei, «è il futuro dell’Ungheria». Il premier sa di dovere da sempre i suoi margini di manovra europei anzitutto ai rapporti col comparto industriale tedesco, perciò la sfida del bavarese Weber lo ha mandato su tutte le furie, dopodiché è corso a saldare i rapporti con l’establishment tedesco: eventi dell’MCC a Berlino, interviste a quotidiani vicini alle imprese… E poi l’affondo: Magyar sarebbe un «puppet», una marionetta, mossa da Bruxelles per imporre un governo amico.
Il leader di Tisza conosce bene, da dentro, la macchina del fango orbaniana. Perciò al tavolino di Centimeter tiene a dire che «per quanto io sia felice di essere entrato nel Ppe, vogliamo evitare influenze straniere nella politica ungherese»: non vuole passare per la marionetta di Bruxelles. Magyar sfida Orbán sì, ma da destra; si appiglia al patriottismo e alla tradizione; attacca il despota per il sistema «mafioso», senza contestare affatto la cornice di valori conservatori che gli elettori di Fidesz gradiscono. Si spiega così – con questa opera di transizione che nasce dentro il sistema stesso – il fatto che in Magyar convivano una generica adesione «all’Ue e alla Nato» con accenni di euroscetticismo e posizioni ambigue sul supporto militare a Kiev. «Sono stato in Ucraina a portare aiuti umanitari, ma voglio evitare che Orbán dica che io voglio la guerra», spiega il leader di Tisza.
«Vogliamo una relazione diversa con l’Ue, costruttiva e certamente migliore di quella di Fidesz; vogliamo scongelare i fondi bloccati all’Ungheria e aderire alla procura europea. Ma questa relazione deve poter essere critica, talvolta: ho detto a Weber sin dall’inizio che a volte ci saremmo astenuti o avremmo preso posizioni non conformi su dossier sensibili per l’opinione pubblica ungherese». Le elezioni del 2026 saranno «un referendum sul sistema» e Magyar parla di maratona, ma trattandosi di una sfida contro Orbán, è in realtà una corsa a ostacoli.
© Riproduzione riservata