- Una delle ragioni per le quali il progetto di un unico grande gruppo delle destre europee è deflagrato è anche il posizionamento di alcune componenti, Lega compresa, verso la Nato e la Russia.
- Lo riconosce e ricostruisce, in questa intervista, l’eurodeputato polacco del Pis Zdzisław Krasnodębski. Uomo di fiducia di Jaroslaw Kaczynski in Ue, condivide il gruppo conservatore coi meloniani. Appresa la notizia degli scambi tra Salvini e la Russia sui «ministri da ritirare» dal governo Draghi, non appare affatto sorpreso.
- Le affiliazioni leghiste con la Russia, così come quelle dell’alleato storico Orbán, o di Le Pen, sono diventate insostenibili per il governo polacco, più alleato che mai con gli Usa. Dal punto di vista di Varsavia, in confronto a Salvini, Meloni «rassicura».
Zdzisław Krasnodębski nasce come accademico, ha insegnato anche negli Stati Uniti, è stato vicepresidente dell’Europarlamento ed è tuttora eurodeputato. In Ue è uno degli uomini di fiducia di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito ultraconservatore Pis che governa in Polonia da alleato degli Stati Uniti. Krasnodębski apprende da Domani la notizia degli scambi tra Salvini e la Russia sui «ministri da ritirare» dal governo Draghi. Ma non appare affatto sorpreso.
A settembre l’Italia vota. Non la preoccupa che Giorgia Meloni, presidente del partito conservatore europeo del quale il Pis fa parte, sia alleata di Salvini, visti i rapporti con Mosca?
Tre settimane fa ero a Roma per le giornate di studio dei conservatori e la presidente Meloni ha fatto un discorso eccellente: è stata realista sulla politica imperialista russa, chiara sulla Nato. Si è schierata in modo nitido dalla nostra stessa parte. Se anche il resto della destra avesse avuto posizioni simili verso la guerra, sarebbe stato a dir poco meglio.
Si riferisce alla Lega?
Purtroppo partiti come quello di Salvini o Marine Le Pen sono diversi da FdI, coltivano ancora molte illusioni sulla Russia. Dal punto di vista polacco Meloni ci rassicura.
Un anno fa, quando Salvini sperava ancora nel gruppo comune delle destre, avete steso insieme la “carta dei valori europei” e ci sono state tensioni su un emendamento che riguardava la Nato. Lo aveva infilato nel testo il Pis mentre a Varsavia c’era Meloni. Serviva a sfatare le posizioni filorusse di Salvini e Le Pen? È anche su queste che il progetto è deflagrato?
Certamente questo elemento ha giocato un ruolo nella mancata creazione del gruppo allargato, così come il tema della sicurezza europea in pericolo è il grande punto delle prossime elezioni. Sui rapporti con la Russia, ho sempre notato la differenza tra Salvini e Meloni. Ora che c’è la guerra, anche se il leader leghista ha fatto il gesto di venire in visita in Polonia al confine con l’Ucraina, la memoria della sua t-shirt con l’immagine di Putin è ancora troppo vivida. Se davvero si vogliono difendere i valori europei cristiani, non è a Mosca che li si deve cercare.
I rapporti tra Salvini e Putin sono noti al Pis da tempo: l’opposizione interna ve li ha sempre rinfacciati. Eppure fino a dicembre il leader del suo partito, Kaczynski, invitava anche Salvini e Le Pen a Varsavia per le cene della destra unita, ed è proprio la rinuncia di Meloni a parteciparvi che ha frantumato definitivamente il progetto del gruppo.
Un incontro simile oggi, a guerra iniziata, sarebbe decisamente più difficile. Kaczynski aveva organizzato quell’incontro anche per cambiare quelle posizioni. Per non parlare del fatto che poi a gennaio, al vertice di Madrid, abbiamo stilato un comunicato finale che condannava l’avvicinamento delle truppe russe e la delegazione francese, quella di Le Pen, ha deciso di non sottoscrivere quel paragrafo.
Anche Viktor Orbán non si è mai sganciato dalla Russia. Ora ammette che su questo punto con gli storici alleati polacchi ci sono «problemi di cuore». Continuerete a essere alleati tattici almeno sullo stato di diritto, o anche con lui la guerra ha del tutto fatto saltare la compagine?
Oggi c’è una divisione, con l’Ungheria. Non ci sono incontri con Orbán dai tempi dell’aggressione, e nel Pis ci sono voci critiche sulle sue politiche. Si percepisce del rimorso.
La delfina di Orbán, la presidente della repubblica ungherese Katalin Novák, è stata accolta però, di recente, a Varsavia.
Vedremo se la frattura è definitiva, certo è che oggi ci sentiamo più vicini ai paesi baltici, alla Repubblica Ceca, a Regno Unito e Stati Uniti. Per noi la politica giusta è aiutare l’Ucraina e la garanzia di sicurezza è la Nato.
Quali sono i rapporti oggi tra voi conservatori e gli Usa?
Un paio di mesi fa una delegazione americana è venuta al parlamento polacco, il nostro bureau in autunno si recherà a Washington. La cooperazione è importante: quando Biden ha annunciato il ritiro dall’Afghanistan, temevamo che si sarebbe disimpegnato anche in Europa, invece ora l’attitudine sembra cambiata. Sull’Ucraina da parte degli Usa c’è stata la reazione che speravamo.
Lei come intende l’«atlantismo» di Meloni? La leader ha partecipato agli stessi meeting conservatori (Cpac) popolati di trumpiani ai quali tuttora partecipa Orbán. Il punto non è solo il posizionamento verso gli Usa, ma di quali Usa stiamo parlando: è l’America di Trump?
Noi conservatori europei siamo più vicini ai repubblicani, ma siamo alleati degli Stati Uniti in quanto nazione, indipendentemente da chi la governa. Per me il rafforzamento della presenza americana in Polonia, in Romania, nei paesi baltici è da auspicare. E non mi spiego come mai politici intelligenti come Salvini, Le Pen e Orbán proprio non lo vogliano capire.
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