I soldi come leva per far rispettare diritti e democrazia sono il nodo per l’Europa oggi, anche quando ci si interroga su come ripensare le relazioni con Mosca
- L’Europarlamento ha dato voce al grande oppositore di Putin, reduce da un avvelenamento, che ha chiesto all’Europa di colpire gli interessi della cerchia di oligarchi vicini al presidente.
- «Perché questa gente che è la vera responsabile, e che è mossa da questioni di soldi, ha ancora i suoi yacht attraccati in qualche porto d’Europa? Perché non toccate i loro conti?» ha detto Navalny.
- Da tempo si parla di un Magnitsky Act Ue per sanzionare le violazioni dei diritti, ma la proposta è ferma tra Commissione, consiglio e alto rappresentante. A fare pressione è rimasto il Parlamento Ue.
«Perché questa gente che è la vera responsabile degli avvelenamenti degli oppositori, e che è mossa da questioni di soldi, ha ancora i suoi yacht attraccati in qualche porto d’Europa? Perché non toccate i loro conti? Perché non trascinate le loro lussuose barche altrove? Questo gruppo di criminali che si fa chiamare “stato”, questa cricca di oligarchi vicini al presidente russo Vladimir Putin, penserà che non avete il coraggio di toccare i suoi interessi economici». Ci si mette pure Alexei Navalny, il principale oppositore di Putin, avvelenato il 20 agosto a Tomsk e riportato alla vita in un ospedale europeo di Berlino. Pure lui dice a Bruxelles che se vuole far rispettare i diritti, allora deve toccare i soldi.
Questo è il grande tema di oggi, per l’Unione europea; è il nodo a cui si finisce per tornare sempre, nei giorni in cui l’erogazione dei fondi Ue viene vincolata al rispetto dello stato di diritto, e Varsavia e Budapest per ricatto bloccano gli aiuti europei. I soldi come leva per far rispettare diritti e democrazia sono il punto anche se si esce fuori dai confini e ci si interroga su come ripensare le relazioni con Mosca. Lo ha fatto ieri l’Europarlamento, che in commissione Affari esteri ha dato voce a Navalny, e ha dimostrato ancora una volta di essere l’istituzione Ue più solerte sul tema dei diritti.
Il Magnitsky Act
Viene dal parlamento, infatti, la pressione per un “Magnitsky act” europeo: un meccanismo stabile di sanzioni in caso di violazione dei diritti umani. Sergei Magnitsky, fiscalista per una grande società di investimento, denunciò un giro di corruzione che coinvolgeva i funzionari del fisco. Per paradosso, fu lui a essere incarcerato, per quasi un anno, in condizioni degradanti; e in carcere morì, nel 2009. A tre anni dopo risale il “Magnitsky Act” Usa, dell’era Obama; ai responsabili comminava il congelamento degli asset all’estero e il divieto di ingresso negli Usa. Nel 2013, chiamando il caso Magnitsky “un esempio di putinismo”, il Financial Times perorò una versione europea della legge: «Perché le misure abbiano impatto, deve intervenire anche l’Europa». E non è che l’Europa non si sia posta il problema. In quello stesso anno, europarlamentari come l’estone Kristiina Ojuland, ex ministro degli Esteri, dicevano che «se davvero qualcosa può spaventare l’élite russa, è l’idea di non poter più fare shopping nelle città d’Europa». Più o meno ciò che ha detto ieri Navalny: «Non fateli viaggiare». Tenete al largo i loro yacht.
Aspettando Bruxelles
Intanto sono passati sette anni. La “cerchia di Putin” continua a colpire chi le si oppone. A ottobre l’Ue ha imposto sanzioni mirate ad alcuni ufficiali, poliziotti, funzionari, ritenuti coinvolti nell’avvelenamento di Navalny; ha vietato loro l’ingresso in Ue, ne ha congelato i beni. Ma, dice Navalny, non basta sanzionare i responsabili materiali; è il giro di affari degli oligarchi, che va strozzato. «In Russia ci saranno le elezioni e se agli oppositori è di fatto impedito partecipare, l’Ue non dovrà riconoscere il voto. Dovrà essere benevola verso la popolazione, ma agli oligarchi dovrebbe bloccare soldi, possibilità di viaggiare». Non è che la Commissione non ci abbia pensato: si era detto, già un anno fa, di stabilire sanzioni per chi viola i diritti umani; c’era pure l’accordo dei ministri degli Esteri, anche se i più filo-russi avevano chiesto di togliere il riferimento a Magnitsky dal nome. Poi però il piano è rimasto bloccato, tra Commissione, consiglio e alta rappresentanza. L’idea è finita insabbiata, tanto che il Partito popolare europeo ha scritto all’alto rappresentante Josep Borrell per dire: cosa aspettate? «La Commissione lavora alla proposta da marzo 2019, non c’è tempo da perdere». Per la Russia, per la Bielorussia e ovunque serva. Il parlamento spinge, con adesioni trasversali, per avere un meccanismo di sanzioni collaudato: chi attacca opposizione o giornalisti deve sapere quali saranno le conseguenze. Il 17 settembre ha approvato una risoluzione a sostegno di Navalny, chiedendo di ripensare i rapporti con Mosca. Ma Bruxelles temporeggia. Di certo il Magnitsky Act non arriverà a breve.
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