Josep Borrell è come un direttore d’orchestra che deve tirar fuori un’armonia dalla cacofonia di diverse posizioni in Ue. La sintesi che il Consiglio europeo formalizzerà sarà al ribasso, ovvero la più ambiziosa che Borrell avrà potuto incassare. Farà sì che a fianco al diritto di Israele di difendersi compaia anche «la necessità di proteggere i civili e di aprire corridoi per gli aiuti»
Questo giovedì i capi di stato e di governo europei si incontrano per la due giorni di Consiglio europeo, e il dossier del conflitto in Medio Oriente finisce inevitabilmente sul tavolo. Il frenetico lavoro di mediazione politica che ha preceduto il vertice farà sì che anche i governi, proprio come hanno già fatto gli eurodeputati, trovino un denominatore comune nella necessità di garantire passaggi sicuri per gli aiuti umanitari.
In queste settimane è emersa una divisione sia fra governi europei che fra rappresentanti delle istituzioni Ue. Perciò la sintesi che il Consiglio formalizzerà sarà al ribasso, o a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, sarà il risultato più ambizioso possibile che Josep Borrell avrà potuto incassare a condizioni date.
L’alto rappresentante Ue, che incarna la sintesi fra governi quando si tratta di politica estera europea, è come un direttore d’orchestra che sta provando a far uscire un’armonia da una cacofonia di posizioni contrapposte. Lo zelo del governo tedesco nel supportare il governo israeliano va conciliato con l’allerta che i paesi iberici lanciano sul fatto che la legittima difesa israeliana non può trasformarsi in punizione collettiva della popolazione palestinese.
Il risultato degli sforzi di Borrell – come spiega a Domani il portavoce Peter Stano – si vede «dai passaggi sui quali l’Ue pone più enfasi», e da come stanno cambiando nel corso dei giorni (e delle bozze di conclusioni). Insomma nella dichiarazione dei leader bisognerà notare gli accenti.
Borrell ha in mente le priorità. Ci sono due partners in need – che hanno bisogno di supporto – cioè sia Israele che i civili palestinesi. Ci sono due stati come orizzonte politico di lungo termine. Nel mezzo, ci sono due Unioni differenti, due visioni, da sintonizzare fra loro.
I limiti del possibile
Per capire fin dove potrà arrivare il Consiglio europeo, bisogna intanto osservare come si sta spostando la Germania.
Il governo Scholz è – assieme alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – tra gli attori che si sono schierati più incondizionatamente con il governo Netanyahu. Perciò la dichiarazione pubblica fatta questa settimana dalla ministra degli Esteri tedesca, e rilanciata non a caso da Borrell, segnala proprio il graduale slittamento di accenti: «Israele ha diritto e dovere di difendersi dal terrorismo di Hamas nel rispetto del diritto internazionale; difendere la sicurezza di Israele comporta anche aprire gli occhi sulla sofferenza dei palestinesi a Gaza. Ogni vita di un civile vale pari». Queste parole di Annalena Baerbock servono a fugare le accuse di «doppi standard» e introducono accanto al supporto verso Israele anche una presa di coscienza sui civili palestinesi.
Per alcuni governi come quello irlandese, portoghese, belga – e nella lista ci sarebbe anche la Spagna se non avesse la presidenza di turno e quindi anche un ruolo di mediazione – le reazioni del governo israeliano scivolano pericolosamente verso la punizione collettiva del popolo palestinese; queste “colombe” del Consiglio mettono l’accento sulla risposta sproporzionata di Israele. I “falchi” come il despota ungherese Viktor Orbán – fan scatenato di Netanyahu – e capitali come Vienna o Praga, oltre che Berlino, si sono posizionati da subito sul via libera alle mosse del governo israeliano.
Di pari passo con la mediazione, e in parallelo con le mosse del presidente statunitense Joe Biden, le posizioni dell’Ue stanno slittando. Borrell dal canto suo supporta l’Onu, dunque sia la richiesta di cessate il fuoco che il segretario generale. Ma fra i governi il cessate il fuoco è stato subito escluso dalle bozze anche perché era implicita l’indisponibilità di Israele ad accettarlo. Perciò è stata introdotta la cosiddetta «pausa umanitaria» e cioè l’apertura di canali per aiutare i civili a Gaza. Siccome su ciò il consenso non è stato subito unanime, è comparsa un’ulteriore declinazione: «Le pause».
La sintesi farà sì che a fianco al diritto di Israele di difendersi compaia anche «la necessità di proteggere i civili e di aprire corridoi per la consegna di aiuti».
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