L’alto rappresentante dell’Unione europea si trova a Ventotene, l’isola simbolo dell’europeismo, del Manifesto, di Spinelli. Josep Borrell inaugura questa domenica il seminario di Ventotene, prende parte al rilancio del comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa e cerca lo slancio per le settimane più intense del suo mandato: quelle in cui si definisce la sua eredità politica. Poi il socialista spagnolo lascerà il posto al falco estone Kaja Kallas, che si insedierà (non prima di ottobre) con tutta la nuova Commissione.

Nonostante il temperamento vigoroso di Borrell, il ruolo gli ha imposto una paziente tessitura tra Commissione e governi (spesso divisi) per tirare le fila di una politica estera comune. Su Gaza «l’unità è meno che sull’Ucraina». Ma lui non rinuncia alle sanzioni Ue contro i coloni violenti e i ministri estremisti israeliani. Quanto alla conferenza di pace tanto voluta dalla Spagna, l’alto rappresentante formula un j’accuse: da parte del governo Netanyahu non c’è «volontà politica». Così Borrell lascia in eredità almeno una cosa certa: il supporto all’Ucraina, nonostante i possibili tradimenti americani all’orizzonte, e a dispetto degli «attori a dir poco non cooperativi» come l’Ungheria di Orbán.

Dopo oltre dieci mesi di guerra a Gaza, con effetti in tutto il Medio Oriente, con un massacro di civili in corso (giornalisti compresi) e una crisi umanitaria, ritiene che la reazione dell’Ue sia stata forte a sufficienza? Le divisioni tra stati membri ne limitano l’impatto?

Ovvio che il livello di unità raggiunto su questo conflitto non è lo stesso che sull’aggressione di Putin in Ucraina. Anche la natura stessa del conflitto è differente, essendo iniziato con lo spregevole attacco terroristico di Hamas contro Israele. Ci sono inoltre ragioni storiche legate alla tragica esperienza dell’olocausto in Europa, e che spiegano alcune posizioni nazionali.

Detto questo, per quanto difficile possa essere, dobbiamo migliorare l’unità su questo tema perché il diritto di Israele di difendersi deve essere proporzionato e in linea con il diritto internazionale, compreso quello umanitario. Dobbiamo con urgenza fermare l’uccisione di civili e la diffusione della poliomielite con un cessate il fuoco che favorirebbe anche la liberazione degli oltre cento ostaggi israeliani, e dobbiamo rilanciare il processo di pace. Su questo, come Ue abbiamo una posizione comune.

Vedremo effettivamente le sanzioni contro il governo israeliano entro la fine del suo mandato cioè questo autunno?

Ho già proposto sanzioni contro i coloni violenti in Cisgiordania il 16 agosto, poi questo giovedì ho proposto al Consiglio Ue Affari esteri sanzioni contro due ministri israeliani per i loro messaggi di odio. Come sempre, la decisione richiede l’unanimità ed è nelle mani dei ministri; ma la proposta è sul tavolo, e la discussione è iniziata.

Il governo spagnolo ha spinto per una conferenza di pace, il Consiglio europeo ha pure approvato l’idea. Ma in pratica?

A gennaio ho proposto un piano di pace in dieci punti per porre fine al conflitto e raggiungere un accordo ampio. Ciò comprende ovviamente la conferenza di pace. Perché accada, abbiamo anzitutto bisogno del cessate il fuoco, e direi pure di una nuova amministrazione per Gaza, che non sia controllata da Hamas, e soprattutto, di un governo israeliano che abbia la volontà politica di impegnarsi sulla base di una soluzione a due stati. Al momento queste condizioni non sussistono, e temo che la più ardua sia proprio la terza.

L’ultimo Consiglio Ue Affari esteri si è tenuto a Bruxelles invece che a Budapest. Ma al di là delle iniziative simboliche nei confronti della presidenza ungherese, non pensa che governi e Commissione debbano prendere ulteriori iniziative per slacciare Orbán da Putin? Non ci sono solo gli incontri al Cremlino; ci sono i visti per i russi, c’è l’acquisto di petrolio, il progetto della centrale nucleare Paks 2…

La presidenza ungherese non può essere posticipata: è già in corso, per quanto si stia sviluppando in una maniera a dir poco peculiare. Sono stato molto netto quando ho condannato la visita di Orbán a Mosca e la conseguenza è stata appunto quella di non organizzare a Budapest il Consiglio Ue informale. La mia collega Johansson ha chiesto spiegazioni sul programma di visti per i russi. Sul progetto Paks 2, pare che a certe condizioni non confligga con le regole Euratom, ma naturalmente portare avanti progetti nucleari con la Russia va contro la nostra attuale politica estera. Lo stesso vale per il petrolio: è vero che è stata concordata un’eccezione per Ungheria e Slovacchia, il che rende le cose legalmente valide, ma è vero pure che comprare petrolio russo non aiuta certo a conseguire l’obiettivo che ci siamo posti, ovvero non finanziare in alcun modo la macchina della guerra di Putin.

Certo che abbiamo un problema con la regola dell’unanimità, specialmente quando hai attori non cooperativi spesso allineati con potenze ostili. Dobbiamo vagliare alternative: se non usare il voto a maggioranza qualificata, quantomeno una regola della supermaggioranza; diciamo, dei quattro quinti, così che almeno non possano essere uno o due paesi a tenere tutto bloccato.

In che modo una vittoria di Trump cambierebbe l’approccio dell’Ue alla difesa e il suo ruolo nello scacchiere ucraino? Quando gli Usa hanno lasciato l’Afghanistan, l’Ue ha pagato i costi dell’instabilità. Rischiamo di essere lasciati soli anche in Ucraina?

Non ho ancora sentito da Trump come pensa di realizzare questa sua formula magica di «porre fine alla guerra in Ucraina in 24 ore». In Spagna diciamo: se è un miracolo ciò che vuoi, allora vai a Lourdes. Temo che Trump voglia piuttosto interrompere il supporto Usa all’Ucraina se eletto. Dunque il rischio che lei cita sussiste. Ovviamente una futura amministrazione Harris sarebbe molto più in linea con la linea politica dell’Ue. Vedremo cosa succederà col voto, il che non dipende da noi. Ciò che invece è nelle nostre mani è sviluppare la nostra base industriale di difesa e la nostra «Unione della Difesa europea», per ogni eventualità, come ho già proposto nella “Bussola strategica”. Oltretutto l’Ucraina non è l’Afghanistan: non dipendiamo interamente dagli Usa. Continueremo a supportare l’Ucraina in qualsiasi caso: non si dimentichi che è candidata a entrare nell’Ue.

Qual è la sua più grande eredità politica come alto rappresentante?

Non sta a me giudicare, ma se dovessi sceglierne solo una, direi il supporto all’Ucraina, con l’utilizzo inedito della peace facility europea per fornire armi a un paese terzo in guerra (non era mai accaduto prima), e con la nostra missione Ue per l’addestramento militare, coi 14 pacchetti di sanzioni – accordati all’unanimità – e l’utilizzo degli asset russi congelati per difendere e ricostruire l’Ucraina. Pure l’approvazione della capacità di dispiegamento rapido di 5mila soldati, proposta nella Bussola strategica.

Il suo paese di provenienza, la Spagna, è uno dei pochi bastioni socialisti rimasti in Ue, e la futura Commissione Ue rifletterà questi equilibri slittati a destra. La Francia è in crisi politica, il partito socialdemocratico in Germania affronta oggi elezioni a dir poco complicate, l’Italia è governata dall’estrema destra. C’è da rassegnarsi a un’Ue virata a destra o lei prefigura ancora un protagonismo progressista?

Certamente alle elezioni europee il centro di gravità si è spostato a destra, con conquiste per il Ppe ma pure per l’estrema destra, seppur inferiori alle previsioni. Di fatto i partiti pro Ue manterranno il controllo. I socialdemocratici hanno a mala pena conservato i loro numeri in Parlamento Ue, ma hanno perso posizioni in Consiglio. Io credo che noi socialisti non possiamo certo rassegnarci a essere gli eterni secondi, come partito in Europa. Dobbiamo affrontare le preoccupazioni delle classi popolari (migrazione, spopolamento, deindustrializzazione, agricoltura…) che l’estrema destra ha saputo cogliere anche se offrendo soluzioni irrealistiche o inaccettabili.

Lei si trova ora a Ventotene, isola simbolo del federalismo europeo. In che modo il Manifesto e il pensiero di Spinelli hanno ispirato la sua azione, e in che modo dovrebbero forgiare quella dell’Ue?

Il Manifesto di Ventotene resta un punto di riferimento: già nel 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale, offriva la visione di un’Europa federale, poi sviluppata nel concreto con la Dichiarazione Schuman. Bisogna considerare l’Ue stessa come un processo di federalizzazione costante, con fasi di stallo e fasi di accelerazione. Pensando al Manifesto, alcuni traguardi - come il mercato unico e l’euro - sono stati raggiunti. Riguardo invece alla politica estera e di difesa europea, siamo ancora ben lontani da ciò che Spinelli auspicava. In un contesto geopolitico ostile, nel quale potenze continentali (Cina, Russia, Usa, India, Brasile) possono assumere un ruolo dominante, noi europei dobbiamo essere più forti. E più uniti.

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