- «Ma certo, che a Napoli ci va! Perché non dovrebbe andarci?», dice Alessandra Mussolini in un corridoio dell’Europarlamento.
- A Napoli, a giugno, è previsto un summit del Ppe. E tra le delegazioni dell’est c’è chi rabbrividisce all’idea di finire fotografato assieme a Silvio Berlusconi, soprattutto dopo i suoi attacchi a Volodymyr Zelensky. Se il gruppo dei Popolari si è ricomposto, martedì pomeriggio, è anche per un implicito “patto di Napoli”, ovvero per la speranza che Berlusconi non si presenti.
- Ma la serenità in famiglia – quella popolare europea – si regge su un presupposto fragilissimo, e cioè la prevedibilità del fondatore di Forza Italia.
«Ma certo, che a Napoli ci va! Perché non dovrebbe andarci?», dice Alessandra Mussolini in un corridoio dell’Europarlamento. A Napoli, a giugno, è previsto un summit del Ppe. E tra le delegazioni dell’est c’è chi rabbrividisce all’idea di finire fotografato assieme a Silvio Berlusconi, soprattutto dopo i suoi attacchi a Volodymyr Zelensky. Se il gruppo dei Popolari si è ricomposto, martedì pomeriggio, è anche per un implicito “patto di Napoli”, ovvero per la speranza che Berlusconi non si presenti. Ma la serenità in famiglia – quella popolare europea – si regge su un presupposto fragilissimo, e cioè la prevedibilità del fondatore di Forza Italia.
Gestione di una crisi
Domenica, mentre si votava per le regionali in Lazio e Lombardia, Berlusconi ha consegnato ai microfoni la sua lettura filorussa della guerra in Ucraina.
Lunedì pomeriggio gli eurodeputati sono arrivati a Strasburgo per la sessione dell’Europarlamento. Il leader del Ppe, Manfred Weber, è rimasto in silenzio: nessuna reprimenda, nessuna presa di distanza verso Berlusconi, che pure fa parte dei popolari. Un silenzio dovuto a due ragioni: la prima era quella di evitare uno smacco pubblico per il gruppo politico, e sperare che lo scivolone scivolasse via dal dibattito pubblico. La seconda era l’accordo con Antonio Tajani, che ormai ha lasciato l’Europarlamento per trasferirsi al ministero degli Esteri, ma che resta il grande mediatore e stabilizzatore quando Berlusconi la fa grossa. L’indicazione che Weber ha seguito è stata quella di non lanciare reprimende verso il leader di Forza Italia almeno finché le elezioni regionali erano in corso.
La resa dei conti
Il lunedì passa quindi nel silenzio imbarazzato del leader dei popolari. Intanto il fronte progressista, socialisti, liberali, verdi, lancia strali. “Ma come, Berlusconi non doveva essere il garante liberale ed europeista della coalizione Meloni?”, dicono all’unisono a Domani figure di spicco come il capogruppo dei Verdi Philippe Lamberts o la liberale Sophie in’t Veld.
E Weber però tace. Qualche sparuta voce di condanna spunta qua e là, l’estone Riho Terras consiglia a Berlusconi di andare in pensione, intanto il capogruppo e presidente bavarese lascia fare e mantiene il patto del silenzio. Tutto questo fino a martedì pomeriggio.
Il vicepresidente del partito popolare europeo, Andrzej Halicki, che è il capodelegazione polacco, incalzato da Domani sull’episodio, non se la sente di soprassedere: per la Polonia reagire all’aggressione russa è priorità nazionale. Quindi Halicki, già prima della riunione dei capidelegazione, anticipa che darà battaglia: meglio se Forza Italia cambia leader, Berlusconi vada a riposarsi, e Weber si decida a condannare le sue parole, così prende posizione il vicepresidente.
Il patto di Napoli
La resa dei conti col partito di Berlusconi si sviluppa in due tempi: prima con la cerchia ristretta dei capidelegazione, poi con l’incontro allargato a tutti gli eletti popolari.
Tra i capidelegazione esplode il dissenso: cominciano i polacchi, che sono la seconda più grande componente del gruppo, assieme ai paesi baltici, ma il fronte si allarga a macchia d’olio. Alla fine del dibattito, ci sono ben nove delegazioni – si sono intanto aggiunte anche Spagna, Svezia, Bulgaria, Belgio e Lussemburgo – che minacciano di boicottare il summit del Ppe in preparazione a Napoli a giugno.
Weber risolve la cosa distinguendo tra Forza Italia e il leader, e prova a trasformare il disastro in opportunità: sottolinea che le posizioni di Meloni sull’Ucraina quantomeno sono vicine a quelle del Ppe; e tutto questo per corroborare l’alleanza tattica in corso tra Weber e la premier.
Alla fine del dibattito, il gruppo lancia un messaggio pubblico, nel quale prende le distanze dalle parole di Berlusconi. Ma perché l’equilibrio torni nel gruppo, e le delegazioni dell’est Europa plachino gli attacchi, serve una rassicurazione ulteriore: che a Napoli non ci si ritrovi con il filorusso Berlusconi nelle foto di gruppo.
Un equilibrio fragile
La verità è che finché il patto resta non dichiarato è anche più semplice rispettarlo: certo, ci si ricorda di Berlusconi al meeting di Malta nel 2017, ma è almeno dall’inizio della pandemia che lui fisicamente non va, ai summit dei Popolari. Al bureau del Ppe che si è tenuto a Roma nell’autunno del 2021 il leader di Forza Italia ha partecipato con un videomessaggio, mentre Tajani faceva gli onori di casa.
Ma tra gli eurodeputati di Forza Italia c’è chi, come Mussolini, dice di non avere dubbi sul fatto che si presenterà. Sia lei che il capodelegazione italiano martedì sono intervenuti per ricordare che hanno sempre votato col Ppe, su Kiev. E poi «a un certo punto ho detto, ora basta», racconta Mussolini.
A un certo punto della riunione di martedì non ce l’ha fatta più a sentire attacchi a Berlusconi dai colleghi degli altri paesi. «E poi ho fatto presente che, signori miei, abbiamo appena riscosso un bel successo alle regionali!».
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