Scotland will be back soon, Europe. Keep the light on», torneremo presto, lasciate accesa la luce per trovarvi di notte. Il tweet della premier scozzese Nicola Sturgeon che accompagna il nuovo anno lascia poco spazio all’immaginazione: chiusa la partita della Brexit con Londra, se ne apre un’altra con Edimburgo. Perché gli scozzesi sono da tempo tutt’altro che contenti dell’accordo arrivato negli ultimi giorni dell’anno con una ratifica parlamentare sul filo di lana per non andare oltre il 31 dicembre, il limite stabilito dalla trattativa. Ora il governo ha deciso di fare sul serio.

Le tempistiche non potrebbero essere migliori: a maggio il voto per Holyrood, il parlamento scozzese, potrebbe determinare uno scenario simile a quello del 2014. In quell’anno, dopo la vittoria dello Snp, lo Scottish National Party, Londra ha dato il via libera a un primo referendum sulla separazione della Scozia dal Regno Unito.

All’epoca è finita con il 55 per cento della popolazione che ha votato per rimanere, ma oggi i sondaggi puntano in tutt’altra direzione: un’onda che Sturgeon ha intenzione di cavalcare con il suo partito e che ha un obiettivo preciso. Una volta indipendente, infatti, la Scozia non avrebbe problemi a presentare (e probabilmente vedere accettata) una propria candidatura per tornare a essere un membro dell’Unione.

La prospettiva

L’ostacolo sulla via del referendum è Londra: dopo che il premier Boris Johnson ha definito un «momento fantastico» il passaggio tra il 2020 e il 2021 con la contestuale entrata in vigore dell’accordo di addio, già iniziano ad alzarsi voci che rinviano al mittente le richieste per un secondo referendum. La motivazione è che il voto del 2014 avrebbe già risolto la questione.

Secondo la premier scozzese il popolo non cercherebbe la separazione dal Regno Unito per ostilità ma per esercitare «il proprio diritto di decidere la forma di governo che meglio lo sostiene nelle sue necessità». In effetti già nel 2016 gli scozzesi si erano espressi a grande maggioranza per il remain (il referendum sulla Brexit è finito 62 per centro contro il 38). Anche la proposta di uscire dall’Unione europea mantenendo però il proprio posto nel mercato unico presentata dalla Scozia, ma respinta da Londra, mirava a rendere l’addio meno duro.

In un documento governativo, il governo di Edimburgo ha stimato la diminuzione del Pil regionale dovuta alla Brexit da oggi al 2030 intorno al 6,1 per cento, pari a quasi 10 miliardi di euro. Oltre a lamentare i costi più alti a cui andranno incontro le aziende per accedere al mercato unico e la perdita del programma di Erasmus, il governo pone il problema del minore accesso alla materia prima garantito all’industria ittica, una delle questioni più dibattute nelle ultime ore di negoziazioni e su cui Sturgeon ha accusato Londra di aver «infranto importanti promesse».

 

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