Quando Francia e Germania hanno deciso di condividere le risorse – il carbone e l’acciaio per prevenire conflitti – è nato il progetto europeo. Cosa succederà all’Unione europea adesso che Parigi e Berlino hanno in comune due leadership deboli in tilt per l’avanzata delle destre estreme?

Se si guardano i seggi, l’onda nera non è ancora uno tsunami totale: la crescita elettorale di sovranisti e neofascisti non ha ancora spazzato via la possibilità per le famiglie politiche popolare, socialista e liberale di comporre una maggioranza all’Europarlamento. I socialisti paiono reggere, anche se verdi e liberali prendono batoste.

«Di questi tre gruppi siamo l’unico che ha aumentato i propri seggi, abbiamo vinto le elezioni, ora invito socialisti e liberali a entrare nella nostra maggioranza europeista come prima piattaforma», ha detto il leader del Ppe Manfred Weber provando a blindare per i Popolari la presidenza di Commissione. Ma questo equilibrio di superficie è a dir poco fragile: il motore francotedesco adesso è ufficialmente in panne.

Francia in crisi

I voti dei macroniani sono stati più che raddoppiati da quelli del Rassemblement National, che ha chiesto come nel 2019 – ma stavolta ha pure ottenuto – che Macron annunciasse lo scioglimento del parlamento. Già all’ora di cena, con le stime che davano i lepeniani al 31,5 per cento e Renaissance a malapena al 15, il capolista del Rassemblement, Jordan Bardella, è uscito trionfante a proclamare «lo scarto inedito» e la «vittoria mai vista prima».

Da questa domenica sera la Francia è entrata in crisi politica; le elezioni parlamentari sono convocate per il 30 giugno e il 7 luglio, cioè proprio nel pieno del processo di rinnovo delle istituzioni europee, compresi i negoziati per le nomine. L’azzardo di Macron avrà indubbi riverberi per tutta l’Unione europea.

Diventato presidente nel 2017 per la promessa di fermare Le Pen, l’attuale inquilino dell’Eliseo ha accompagnato la crescita di consenso per l’estrema destra di elezione in elezione; e infatti se già alle scorse europee il Rassemblement era primo partito, stavolta lo è con percentuali imbarazzanti per il presidente. Che ora convoca elezioni in rapidità in stile sancheziano, ma con la parola d’ordine di fermare le destre estreme: stavolta in quanti gli crederanno?

In compenso dopo l’annuncio i lepeniani hanno iniziato a pretendere che Bardella diventi premier; da febbraio in poi non hanno fatto che crescere nei sondaggi, dal 25 al 30, e la realtà pare pure aver superato le previsioni. «Il presidente è indebolito», ha detto Bardella come a esibire lo scalpo del nemico.

Scholz e altre batoste

Intanto a Berlino i postnazisti di Alternative für Deutschland hanno superato il partito socialdemocratico del cancelliere Olaf Scholz. I cronisti hanno sùbito battuto titoli sulla «coalizione semaforo in fiamme», mentre la presidente dell’SPD – il partito socialdemocratico di Scholz – provava a resistere agli spintoni dei cristianodemocratici sostenendo che «il governo tiene».

È vero che AfD ha avuto ottimi risultati nell’est del paese – domenica sera i primi dati filtrati lì la davano persino al 27 per cento – ed è vero che pare assestarsi come secondo partito di Germania, dopo i cristianodemocratici che sono in testa con il trenta per cento. Ma un 16 per cento dell’AfD (che nel 2019 era un 11) pesa soprattutto per il crollo dei socialdemocratici: alle politiche che fecero nascere il governo Scholz, l’SPD aveva superato il 25, ora è due punti sotto i postnazisti.

Mentre Le Pen spinge Bardella al governo e mira per sé all’Eliseo, intanto anche in Austria l’estrema destra – quella filorussa novax che condivide il gruppo con Salvini – festeggia: «Diventerò il cancelliere!», pregusta Herbert Kickl di FPÖ, che in queste europee è primo partito del paese. L’ipotesi che dalle elezioni austriache di autunno si esca con l’ennesima liaison tra i Popolari (a Vienna l’Österreichische Volkspartei) ed estrema destra si fa concreta.

Quale maggioranza

In questo contesto, poco dopo l’annuncio di trionfo di Marine Le Pen e Jordan Bardella, e pochi minuti dopo l’annuncio di scioglimento del parlamento in Francia, Ursula von der Leyen si è presentata al quartier generale dei Popolari europei dichiarando la sua «vittoria».

Assieme al leader del Ppe Manfred Weber – colui che nel 2021 ha aperto le porte dell’Ue all’estrema destra avviando la cooperazione con Giorgia Meloni – si è presentata come «bastione contro gli estremi, di destra e di sinistra». I Conservatori meloniani non intendono queste parole come un argine a una loro partecipazione al potere, anzi: «Non vedo cosa potrebbe impedirci di lavorare con von der Leyen», ha detto poco dopo la vicecapogruppo di Ecr.

In questa fase il primo obiettivo del Ppe, e del suo leader Manfred Weber, è quello di blindare per il gruppo la presidenza di Commissione: negli ultimi giorni il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva contestato le dichiarazioni di Ursula von der Leyen su un’apertura della maggioranza a Meloni. Ora Weber dice apertamente che «servono anzitutto il sostegno di Scholz e Macron» per fare di von der Leyen la presidente di Commissione; e lo dice nel momento di chiara debolezza dei due leader.

Parte perciò dalla maggioranza tradizionale a tre – popolari, socialisti e liberali – ma solo «come piattaforma iniziale». Il resto è ancora da giocare.

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