Quando la pandemia è iniziata in Europa, gli stati hanno esordito chiudendo le frontiere. Un anno dopo, alle prese con vaccini e varianti, rifanno gli stessi errori. Anche il piano di Bruxelles per aumentare la produzione di vaccini e adattarli alle varianti replica il vecchio schema
- I capi di governo dell’Ue fanno il punto su pandemia e vaccini. Su una cosa sono tutti d’accordo: «Fare in fretta». Draghi sollecita «un’accelerazione» e la priorità alle prime dosi.
- Bruxelles vuol aumentare la produzione ma con le varianti rischia di ripetere gli errori già fatti con Big Pharma. Gli eurodeputati intanto torchiano i ceo di AstraZeneca e delle altre aziende.
- I leader discutono di libera circolazione: la Germania per le varianti ha messo i controlli alle frontiere, ma così è a rischio il mercato comune. I paesi mediterranei sponsorizzano l’idea di un “passaporto vaccinale”.
Quando la pandemia è iniziata in Europa, gli stati hanno esordito chiudendo le frontiere. Un anno dopo, alle prese con vaccini e varianti, l’Ue rischia di ripetere gli errori. Oggi i capi di governo dell’Ue – con Mario Draghi al debutto da premier al Consiglio europeo - hanno fatto il punto su pandemia e vaccinazioni. Su una cosa sono tutti d’accordo: «Fare in fretta». Draghi sollecita «un’accelerazione sui vaccini»: per rallentare la corsa delle mutazioni, dice, bisogna aumentare le vaccinazioni; e dare la priorità alle prime dosi. Linea dura dell’Italia sulle promesse tradite da Big Pharma: «Le aziende che non rispettano gli impegni non vanno scusate», e bisogna coordinarsi sull’autorizzazione all’export dei vaccini. Nelle stesse ore, gli eurodeputati torchiavano gli amministratori delle aziende.
Più vaccini
«Perché ha mentito, signor Soriot? Ha affermato che l’accordo con l’Ue era stato firmato dopo di quello con il Regno Unito; non è vero». Gli europarlamentari incalzano l’amministratore delegato di AstraZeneca, che svicola sulle sue incongruenze. Il suo ritornello è: «Il governo britannico ha speso decine di milioni di sterline per sviluppare il nostro vaccino». È d’accordo a condividere il brevetto, così da produrne di più noi in Europa? «Trasferire tecnologie e conoscenze richiede tempo». Ma «diamo la nostra parola che rispetteremo gli accordi». L’Europa è allenata a promesse non realizzate e accordi sulle consegne non mantenuti. Il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, sta perlustrando i siti produttivi e lavora per «eliminare le strozzature nel processo, aumentare la produzione, adattarla alle varianti». Un po’ come ha fatto Sanofi in Francia con BioNTech, l’auspicio è che si moltiplichino le coproduzioni; in Italia i siti di ReiThera, Catalent e Gsk potrebbero dare un contributo. Breton, l’ex manager francese, è in questa fase l’uomo chiave di Bruxelles per risolvere gli intoppi; è in prima linea almeno quanto Stella Kyrakides, la collega con delega alla Salute che negoziò i contratti con Big Pharma. «La scienza è andata più veloce dell’industria», dice Ursula von der Leyen, e allora bisogna aumentare la produzione e adeguarla a tutte le varianti. I capi di governo, riuniti oggi, concordano sulla fretta, e chiedono a Bruxelles di farsi rispettare. Il modo in cui l’Ue intende agire è però terribilmente simile a quello già adottato e che sta mostrando defaillances: attraverso “l’incubatore Hera”, che è un partenariato tra Ue, mondo della ricerca e imprese, Bruxelles elargisce 75 milioni per test e sequenziamento delle varianti, e 150 per la ricerca. Ma «in cambio, a quali impegni obbliga Big Pharma? Che garanzie?», dice l’eurodeputata Michèle Rivasi.
Frontiere e passaporti
C’è poi un altro tema su cui l’Europa rischia di ripetere gli errori: reagire alle varianti come fece a inizio pandemia, con misure scoordinate e serrate alle frontiere interne. La preoccupazione della Commissione è che l’allarme varianti mandi in crisi la libera circolazione, mettendo così a rischio l’idea stessa di Unione. Oltre alle idee, a rischio ci sono soldi: in tempi non sospetti (nel 2016) Bruxelles si esercitò nella stima di una Ue coi controlli alle frontiere; il costo annuo era tra i 5 e i 18 miliardi. Ma la Germania fa da apripista delle chiusure per varianti, e a dispetto dei suggerimenti Ue da metà febbraio impone i controlli al confine. Al Consiglio, Merkel ha difeso la scelta. Bruxelles perora la libera circolazione: oggi Breton ha detto che «la chiusura delle frontiere mette a rischio il mercato comune»; la Commissione ha mandato un avvertimento a Germania, Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia, Ungheria.
Va in direzione di una più libera circolazione delle persone l’iniziativa dei paesi mediterranei, per i quali il turismo è cruciale; fra questi, l’Italia. Chiedono un “passaporto vaccinale”: il premier greco, che per primo ne ha fatto richiesta alla Commissione già a inizio 2021, lo definisce come «un certificato vaccinale concepito per essere accettato in tutti gli stati, che agevoli la libertà di movimento». Peccato che i vaccinati siano meno del previsto, il che ha suscitato imbarazzi europei di fronte alla proposta. A ciò si aggiungono le perplessità franco-tedesche, le cui opinioni pubbliche sono recalcitranti al vaccino anti Covid: garantire il lasciapassare solo a chi lo fa è renderlo obbligatorio de facto. Un compromesso è un passaporto medico che attesti che si è vaccinati o negativi al test. La richiesta di un passepartout va ormai oltre i paesi mediterranei: è a favore l’Austria; la Danimarca si è già attivata: entro l’estate un passaporto vaccinale digitale sarà in uso almeno per gli spostamenti interni. Anche gli Usa ci pensano: lì si discute delle conseguenze per la privacy, e Ibm investe nel progetto; collabora con la fondazione Linux per standard comuni open source.
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