Cosa siete disposti a fare, per governare la Spagna? Non lo avrà chiesto proprio così, Felipe VI, alle consultazioni. Ma si sa che quando un re cerca premier il vero nodo è chi avrà i voti per la fiducia. Sánchez è disposto a fare almeno tre cose: il teatrino, il do ut des linguistico, e l’amnistia
Cosa siete disposti a fare, per governare la Spagna? Non lo avrà chiesto proprio così, Felipe VI, alle consultazioni di questo martedì. Ma si sa che quando un re cerca premier – quando deve affidare l’incarico seguendo l’articolo 99 della costituzione – il vero nodo è chi avrà i voti per la fiducia.
Pedro Sánchez è disposto a fare almeno tre cose: il teatrino, il do ut des linguistico, e poi la più importante, l’amnistia. Per teatrino s’intende che il leader socialista – l’uomo del rischio al momento giusto, come si è visto dalla scelta del voto anticipato – ha messo in conto che un primo incarico finisse al suo oppositore, il popolare Alberto Núñez Feijóo; purché il tentativo di Feijóo fallisca, e anzi sapendo che fallirà. Lo scambio linguistico è la leva utilizzata dal premier e dal suo partner di ferro, la sinistra di Sumar, per convincere le formazioni nazionaliste a sostenerlo, pur sapendo che questo scambio almeno in parte abortirà.
Il terzo e più importante scalino che accompagna Sánchez (di nuovo) verso la Moncloa è l’amnistia: l’apertura socialista a graziare «per quel che la costituzione consente» gli indipendentisti catalani imputati nel «procés». Primo fra tutti, il fondatore di Junts, Carles Puigdemont, alleato chiave per la maggioranza.
Il valzer dell’incarico
Mai come questa volta, la liturgia civile dell’incarico ha seguito – per re Felipe – un percorso non scontato. Di solito è chiaro a chi si debba dare il compito di tentare il governo, anche se poi – com’è successo con il popolare Rajoy – il ricevente l’incarico fallisce. Dopo il voto di luglio, Felipe si è trovato con due opzioni: o l’incarico a Feijóo, perché è il Partido Popular ad aver ottenuto più voti e più seggi, oppure a Sánchez, perché è lui a poter tenere insieme alleati a sufficienza per ottenere la fiducia.
Feijóo sa già di non avere maggioranza, e lo ha conclamato dando un segnale nei rapporti con Vox. Durante le elezioni della presidente della Camera – il primo test del il 17 agosto con i neoeletti appena insediati – è apparso chiaro che la candidata popolare non avrebbe avuto la maggioranza neppure col supporto della destra estrema, e a quel punto Feijóo ha lasciato che i 33 voxiani votassero il loro nome evitando un compromesso: il Pp gli ha già fatto capire che se non può governare deve almeno prendersi l’egemonia della destra. «Sosteniamo il Pp sempre che non metta un cordone», è andato a dire il leader di Vox al re, capita l’antifona.
E Sánchez (rin)grazia
Quanto al leader socialista, invece, ha comunicato al re che non si sarebbe opposto a un giro d’incarico per Feijóo; ma nella convinzione che l’incarico tornasse poi a lui. Cos’ha in mano? La maggioranza che gli ha già consentito di eleggere Francina Armengol a presidente d’aula: oltre a Sumar, nazionalisti di vario conio, catalani, baschi e galiziani (PNV, Bildu, Junts di Puigdemont, ERC e BNG). Le trattative di Psoe e Sumar con Puigdemont sono in corso da luglio; e agli avveduti è stato chiaro dall’inizio che il vero nodo fosse l’amnistia, anche se solo dopo l’incontro col re Sánchez ha rivelato che l’opzione è in ballo.
Fino al 17 agosto, la carta scoperta – che ha garantito l’ampio ventaglio ad Armengol – è la promessa di considerare catalano, basco e galiziano tra le lingue ufficiali. Quel giorno stesso, Sánchez ne ha fatto richiesta anche all’Ue. Il dono fa discutere: è a dir poco improbabile, secondo i giuristi, che a livello Ue passi; e in Spagna costa un milione.
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