- I colossi dell’energia russa hanno fatto attività lobbistica per ottenere che Bruxelles etichettasse come verdi il gas e il nucleare. Ma Mosca non è l’unica a sabotare il green. Per l’Europa, e per i suoi obiettivi climatici, il nemico si trova anche in casa. «C’è uno tsunami di attività lobbistica», racconta il liberale Pascal Canfin, che presiede la commissione per l’ambiente all’Europarlamento.
- La guerra in Ucraina, che in teoria è un motivo in più per svincolarci dai combustibili fossili, di fatto è diventata l’alibi del fronte anti-green per rallentare, depotenziare o persino congelare l’iniziativa europea. Il fronte si compone sia di gruppi di interesse che di gruppi politici di destra e centrodestra. Alcuni governi, e la Commissione Ue, sono non di rado allineati.
- In questi giorni gli eurodeputati hanno per le mani vari dossier di “Fit for 55”, uno spicchio del “Green deal”. E mentre una coalizione di forze progressiste cerca di difendere l’ambizione climatica dell’Ue, i popolari, spesso in accordo tattico con conservatori e sovranisti, la depotenziano. «Non possiamo mettere altri fardelli sulle spalle delle imprese», dice Christian Ehler, che guida i popolari in commissione Industria. «Serve una moratoria regolatoria». Significa congelare gli sforzi per ridurre le emissioni.
I colossi dell’energia russa hanno fatto attività lobbistica per ottenere che Bruxelles etichettasse come verdi il gas e il nucleare. Ma Mosca non è l’unica a sabotare il green. Per l’Europa, e per i suoi obiettivi climatici, il nemico si trova anche in casa. «Non mi è capitato personalmente di essere avvicinato da aziende russe, forse perché sanno che con me lo sforzo sarebbe vano», dice il liberale Pascal Canfin, che presiede la Commissione per l’ambiente (Envi) all’Europarlamento. Ma al di là della Russia, «posso dire con certezza che sui temi ambientali c’è uno tsunami of lobbying». L’attività lobbistica non è cosa da poco: è «un’ondata» che rischia di sommergere ogni buona intenzione dell’Ue, e che inficia lo sforzo collettivo per evitare l’altro tsunami, quello climatico. La guerra in Ucraina, che sulla carta è un motivo in più per svincolarci dai combustibili fossili, diventa il grimaldello per rallentare l’azione europea.
Il fronte anti clima
La crisi è l’alibi sia dei gruppi di interesse, sia di gruppi politici di destra e centrodestra. Alcuni governi, e la Commissione Ue, sono non di rado allineati con questa tendenza. In questi giorni gli eurodeputati avranno per le mani vari dossier che compongono il “Fit for 55”, che è a sua volta uno spicchio importante del “Green deal” dell’Ue. E mentre una coalizione di forze progressiste, che va dai socialdemocratici ai verdi alla sinistra, talvolta anche coi liberali, cerca di difendere l’ambizione climatica europea, i popolari, spesso in accordo tattico con conservatori e sovranisti, su molti dossier frenano.
«Non possiamo mettere altri fardelli sulle spalle delle imprese», dice l’eurodeputato tedesco Christian Ehler, che guida i popolari in commissione Industria. Arriva ad augurarsi «una moratoria regolatoria». Significa congelare i progressi dell’Ue per ridurre le emissioni.
Congelare il verde
Strategia analoga è portata avanti in ambito agricolo e alimentare, con la sponda della Commissione europea e di molti governi, e sotto la spinta di colossi dell’agroindustria e lobby dei pesticidi. «Per evitare che la gente si trovi coi piatti vuoti bisogna fermare le proposte con impatti negativi sulla sicurezza alimentare», parole di Herbert Dorfmann a nome dei popolari.
«Nell’ambito agricolo abbiamo già visto che le lobby cercano di postporre le misure pro clima parlando a sproposito di sicurezza alimentare, e io spero che il commissario con delega al Green deal, Frans Timmermans, mantenga la sua promessa di opporre resistenza», dice la verde Sara Matthieu. «Ma i segnali di allarme continuano su Fit for 55: i popolari in aula fanno questi riferimenti alla “moratoria”, mentre proprio la guerra dovrebbe spingerci ad azioni più incisive».
Matthieu si occupa del “social climate fund”, pensato per i più vulnerabili, e fa i conti col fatto che questo fondo per la perequazione «è sottofinanziato e andrebbe accompagnato con riforme strutturali».
Scontri e passi indietro
«Con la guerra dobbiamo preoccuparci della nostra economia: su Fit for 55 serve un approccio più realistico», insiste il popolare Christian Ehler.
Danimarca, Olanda, e un’altra decina di governi dopo l’invasione russa hanno siglato un documento che trae la conclusione opposta: proprio l’urgenza di uscire dalla dipendenza dalla Russia rende ancor più importanti i vari dossier legislativi che compongono Fit for 55. «Una volta attuato, riduce corposamente il nostro consumo di gas, dunque bisogna accelerare».
Il danese Niels Fuglsang, relatore dell’Europarlamento sulla proposta di direttiva per l’efficienza energetica, sta lavorando per rendere gli obiettivi più ambiziosi, e soprattutto vincolanti, «ma finora i popolari non sono sembrati di questa idea».
La prossima settimana in aula si rischia un passo indietro anche sulla riforma dell’Ets, il mercato dei permessi di emissione. Nonostante la commissione Ambiente dell’Europarlamento, trainata dal campo progressista, chieda di alzare gli obiettivi della Commissione per la riduzione delle emissioni, i popolari – capitanati dal tedesco Peter Liese – stanno lavorando a un piano al ribasso. «Ci siamo accordati anche con un altro gruppo», dice lui. In pista c’è l’alleanza tattica coi conservatori, già battezzata all’Europarlamento con le elezioni di metà mandato.
La trappola del gas
«Oggi sono euforico perché per trovare una maggioranza sto prendendo tanti di quei caffè coi colleghi degli altri gruppi...». Il verde Bas Eickhout è in prima linea sul dossier della tassonomia: a febbraio la Commissione ha formalizzato l’intenzione di etichettare come verdi gas e nucleare, e il parlamento europeo, se ha i numeri, può bloccarla.
Un rapporto di Greenpeace France documenta che dal 2018 Gazprom, Lukoil e Rosatom, direttamente o tramite “compagnie-matrioska”, hanno fatto pressione sulla Commissione (con tanto di incontri) perché etichettasse come sostenibili gas e nucleare. Anche se il principale fautore della tassonomia anti clima, come dice Eickhout, più che a Mosca si trova a Parigi: «Von der Leyen l’ha data vinta a Emmanuel Macron».
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