- Per le prossime elezioni, il ruolo del cattivo è tutto suo: Hans-Georg Maaßen, ex capo dei servizi interni.
- Prepensionato per dissapori con stampa e governo nel 2018, Maaßen è da allora un provato cittadino che non ha perso occasione per manifestare le sue critiche a Merkel.
- Per quanto le sue affermazioni siano spesso paradossali e vicine alla destra più estrema, sono anche la spia di qualcos’altro.
Finalmente la Germania ha trovato il suo “cattivo” per le prossime elezioni. Non è qualcuno di Afd, sarebbe troppo banale. Si tratta dell’ex capo del Verfassungsschutz, i servizi segreti interni, Hans-Georg Maaßen, oggi candidato al Bundestag per la Cdu. Curiosamente, Maaßen attira critiche quasi più feroci ora che è un ex di quando era a capo di una delle istituzioni più delicate della democrazia tedesca, dal 2012 al 2018; una struttura sulla quale da sempre si concentrano dubbi e interrogativi, spesso sull’uso dei V-Mann, gli informatori, ad esempio nel caso del terrorista islamista Anis Amri responsabile dell’attentato di Breitscheidplatz nel 2016. Maaßen rappresenta agli occhi degli ambienti progressisti tedeschi quello che un funzionario dei servizi non dovrebbe essere: debole con l’estrema destra e, anzi, imbevuto della stessa ideologia. A lui, il ruolo di cattivo di turno agli occhi della sinistra non dispiace.
Chemnitz e la destra estrema
I problemi di Maaßen con il governo federale sono iniziati, ufficialmente, nel 2015, quando, ancora in carica, non mancò di palesare, seppur informalmente, la propria contrarietà alla scelta della cancelliera Merkel di accogliere i rifugiati. Ma la crisi è arrivata tre anni dopo, per i fatti di fine agosto a Chemnitz, cittadina della Sassonia, quando, dopo l’omicidio di un uomo, sui social e nelle chat partirono avvisi che indicavano in un rifugiato il colpevole. A quel punto si radunò in piazza la destra estrema tedesca, che con queste manifestazioni tentò una vera prova di forza. In particolare, contro gli stranieri.
Durante i cortei venivano prese di mira e inseguite persone sole per via del colore della pelle, si parlò di una vera e propria “caccia”. Maaßen, invece, minimizzò e raccontò alla Bild che le cose non stavano così, che non ci sarebbe stata nessuna “caccia”. Anzi, accusò la stampa di ingigantire la questione.
C’è qui un tratto tipico del personaggio: rifugiandosi nel suo ruolo di giurista, afferma che, tecnicamente, non ci sarebbero prove sufficienti per parlare di una vera e propria caccia all’immigrato. La questione, politica (sullo sviluppo di un fatto di cronaca in manifestazioni imponenti chiaramente della destra estrema) diventa per Maaßen un problema di scelta lessicale. A quel punto il governo aveva deciso di prepensionarlo: Seehofer, ministro dell’Interno, ha provato a riassumerlo nel suo ministero, la Spd ha puntato i piedi ed è riuscita ad allontanarlo. Ma Maaßen non è tipo da godersi la pensione.
Negli ultimi anni Maaßen è riuscito più volte a dire, ad esempio, che «nella Spd ci sarebbero elementi della sinistra più estremista», affermazione che scatena una certa ilarità tra qualcuno dei Genossen: la socialdemocrazia, quasi ininterrottamente al governo dal 1998, un partito con estremisti al suo interno? «Davvero? E dove sono? Magari!».
Markus Lanz, giornalista di punta della televisione pubblica, invece lo ha intervistato per quasi un ora nel suo programma, evidenziandone tutti i limiti ma anche riuscendo a fargli ammettere alcune incongruenze nel suo modo di ragionare e nelle sue espressioni, che ricordano quelle della destra («non si tratta di salvataggi, nel Mediterraneo c’è un servizio shuttle gestito per arrivare in Europa»).
E alla fine, quando Maaßen tentava di spiegare il successo della destra in Germania, dicendo che «si tratta di persone del ceto medio, borghesi che si sono radicalizzati», Lanz non è più riuscito a trattenersi: «Proprio come lei!».
In realtà, Maaßen adora passare per vittima di gran parte dell’informazione, in particolare di quella pubblica, che, mentre nega la complessità della questione dell’immigrazione («parlate di rifugiati, ma non lo sono. Sono migranti o al massimo richiedenti asilo, il cui status va provato»), ne propone una visione unilaterale.
La polarizzazione e il linguaggio di Afd
Il trucco è vecchio e per questo funziona. Maaßen polarizza e una parte dell’elettorato conservatore lo vede come uno dei pochi in grado di “arrestare” il declino della Cdu e del paese. La differenza con Merkel è radicale: la cancelliera è l’incarnazione del compromesso, sempre e comunque.
Maaßen critica una politica che si nutre di illusioni ma che ha perso il contatto con la realtà: sull’immigrazione, sulla questione climatica, sull’islam. Propone di cambiare tutto, di restituire forza allo stato di diritto. Per questo ha accettato di candidarsi in Turingia per la Cdu, che, a suo dire, gli è stata offerta perché lui direbbe cose che gli altri politici non hanno il coraggio di dire.
È di qualche giorno fa un’altra dichiarazione sui giornalisti: «Si dovrebbe procedere con un test sulle convinzioni dei giornalisti del primo telegiornale tedesco e in generale del servizio pubblico». Anche in questo caso ha fatto allusioni (senza prove) a connessioni tra giornalisti e sinistra radicale. La cosa ha sollevato (di nuovo) imbarazzo nel partito, con molti esponenti della Cdu che hanno preso le distanze, qualcuno addirittura ne ha chiesto l’espulsione. La timida presa di posizione del candidato cancelliere, Armin Laschet, è arrivata con diversi giorni di ritardo e senza citare Maaßen esplicitamente.
A Maaßen piace provocare ma, soprattutto, ribadire questo linguaggio molto in voga tra i populisti di destra. La stampa è da sempre oggetto delle critiche della destra più radicale, persino durante l’emergenza del Covid-19: da qui la Lügenpresse, stampa bugiarda, termine tornato in voga proprio negli ultimi anni.
L’obiettivo di Maaßen è simile a quello di Afd: apparire estraneo alle élite, presentarsi come l’uomo vicino alla gente comune, "normale”. Politici e giornalisti, al contrario, sono diversi, sono “gli altri”, che hanno tradito il popolo. Ed è quanto di più paradossale si possa trovare in questa storia: Maaßen, che ha fatto carriera negli apparati statali, che ha guidato i servizi segreti, che conosce molto bene, e dal profondo, la realtà politica tedesca, si presenta come un uomo “normale”, un “cittadino preoccupato” (espressione cara agli attivisti di destra) come tanti altri. E, manco a dirlo, tutti quelli che non la pensano come lui sono, potenzialmente, pericolosi estremisti.
Molti nel partito soffrono la sua candidatura. Il clima da campagna elettorale rende difficile non attaccare la Cdu che l’ha candidato. L’attacco è rivolto a innanzitutto contro Laschet, che contro una decisione presa da un’assemblea di base del proprio partito può fare ben poco: in Germania le candidature si decidono in ogni circoscrizione all’interno delle assemblee con tutti gli iscritti dei vari partiti. Ma, va anche detto che difficilmente Maaßen potrà essere più nocivo al Bundestag di quando ha guidato il Verfassungsschutz e, anzi, bisogna ricordare che una democrazia che integra, che dà spazio anche a queste posizioni, è una democrazia più forte.
Anche perché Maaßen dovrà confrontarsi con la Cdu e con quello che è diventata dopo quasi vent’anni di guida Merkel. E difficilmente il partito si radicalizzerà sulle sue posizioni. Piuttosto sarà lui a dare rappresentanza, nella Cdu, a forze che potrebbero pericolosamente diventare antisistema, magari dentro Afd. E che possono fortunatamente ambire a null’altro che a un diritto di tribuna (per ora).
Oltre Maaßen
Ma la candidatura della figura di Hans-Georg Maaßen rivela anche altro. Ed è forse questo aspetto che andrebbe indagato, non le spigolature dei suoi discorsi o i suoi eccessi. Maaßen è l’immagine di una Germania insoddisfatta dai sedici anni di Merkel. Una parte del paese uscita politicamente sconfitta: lo si è visto per ben due volte ai congressi della Cdu, quando tanto nel 2018 tanto nel 2021 la “destra” interna che si riconosceva in Friedrich Merz non è riuscita a prendersi la guida del partito.
Maaßen è una spia da tener presente per la prossima stagione politica, perché evidenzia una possibile, ulteriore radicalizzazione dei cittadini tedeschi. Che si sentono privi di una leadership tedesca in Europa e pericolosamente esposti alla globalizzazione. Disinnescare la pericolosa radicalizzazione della questione nazionale tedesca: questo è il compito urgente che attende le forze progressiste e che è molto più impegnativo che il tiro ad alzo zero su Maaßen.
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