- «Ma questa è una provocazione! Un insulto!». Esther Lynch guida il sindacato europeo (Etuc) e non si capacita dell’attacco che Meloni sferra al mondo del lavoro. «Proprio il primo maggio, introdurrà un provvedimento che peggiora ancor di più le condizioni di chi già sta peggio».
- Lynch si riferisce in questo caso ai precari, ma individua un disegno generale di Meloni. La preoccupa anzitutto «l’idea meloniana di distruggere la contrattazione collettiva». Poi ci sono la precarizzazione ulteriore, i salari che non crescono, i colpi al reddito di cittadinanza, e così via.
- Tutte mosse che portano l’Italia in direzione antitetica rispetto a quella che sta prendendo l’Ue con le sue iniziative più recenti. Lynch definisce quella di Meloni una agenda retrograda. «Nessun paese europeo rispettabile ostacola il lavoro dei sindacati nel pieno di una crisi del caro vita».
«Ma questa è una provocazione! È un insulto!». Esther Lynch guida il sindacato europeo – la storica European Trade Union Confederation che compie ormai mezzo secolo – e non si capacita dell’attacco che Giorgia Meloni e il suo governo stanno sferrando al mondo del lavoro.
«Proprio il primo maggio, nel giorno in cui i lavoratori si riuniscono per celebrare le loro conquiste sul fronte dei diritti, Meloni intende introdurre un provvedimento che peggiora ancor di più le condizioni di chi già sta peggio». Lynch si riferisce in questo caso ai precari, ma individua un disegno generale di Meloni.
In cima a tutto, a preoccupare è «l’idea meloniana di distruggere la contrattazione collettiva». Poi ci sono la precarizzazione ulteriore, i salari che non crescono, i colpi al reddito di cittadinanza, e così via. Tutte mosse che portano l’Italia in una direzione antitetica rispetto a quella che sta prendendo l’Unione europea con le sue iniziative – e direttive – più recenti.
Lynch definisce quella di Meloni come una old-fashioned agenda, cioè un’agenda d’altri tempi, retrograda, sorpassata. «Tra gli stati membri dell’Unione europea, nessun paese rispettabile si mette a ostacolare il lavoro dei sindacati proprio nel pieno di una crisi del costo della vita. Meloni vuole forse rendere i lavoratori più deboli e più spaventati per spostare i rapporti di forza in direzione dei datori di lavoro?».
Togliere potere al collettivo
Diversamente da Meloni, le istituzioni Ue dicono a chiare lettere che «il rafforzamento della contrattazione collettiva è un modo per combattere la povertà lavorativa e migliorare le condizioni di lavoro. È stato rilevato che nei paesi caratterizzati da un'elevata copertura della contrattazione collettiva, la percentuale di lavoratori a basso salario è minore e le retribuzioni minime sono più elevate rispetto ai paesi in cui tale copertura è più bassa».
I dati del sindacato europeo lo confermano: sette paesi dove i salari sono i più alti hanno una contrattazione collettiva che copre il 70 per cento dei lavoratori. Il vero nocciolo della nuova direttiva europea sul salario minimo è proprio questo: Bruxelles, nonostante il suo margine di manovra sui temi sociali sia limitato, preme perché gli stati membri promuovano la contrattazione collettiva, perché è chiaro che dove si contratta insieme, il salario è migliore, come pure i diritti.
Meloni si è dichiarata contro l’idea del salario minimo, l’Italia è uno dei pochi paesi Ue a non averlo, e non sarà obbligata dalla direttiva a introdurlo. Ma l’elemento grave è il messaggio che il governo Meloni manda in tema di contrattazione collettiva.
O meglio, i messaggi che si rifiuta di mandare. Mentre i lavoratori del settore legno e arredo organizzavano il “contro-salone” e scioperavano perché Federlegno negava miglioramenti e chiedeva di bloccare il rinnovo del contratto nazionale per un anno, intanto la premier come nulla fosse presenziava al salone del mobile: «Non potevo mancare».
Già sul finire del governo Draghi la Banca d’Italia aveva lanciato l’allerta per i mancati rinnovi contrattuali – «le aziende ritardano gli aumenti» – ma in quel caso perlomeno una parola il premier l’aveva detta: Draghi l’importanza dei rinnovi l’aveva ricordata.
Se ora Lynch del sindacato europeo dà l’allarme, e denuncia «gli attacchi al negoziato collettivo», è perché con questo governo – come dichiarato da Meloni in persona – lo stato abdica al suo ruolo di regolatore e di garante dei diritti: «Non disturbare chi produce è un principio fondamentale».
Infragilire ancor più i diritti
Gli effetti si vedono «anzitutto dove il datore di lavoro è Meloni, ovvero sui contratti pubblici: nel def il governo prevede l’indennità di vacanza contrattuale, e le promesse di pagare di più i lavoratori finiscono sotto il minimo sindacale», nota Susanna Camusso, ex sindacalista e oggi senatrice Pd.
C’è poi il problema dei contratti pirata, e la scelta inaugurata dal governo Meloni di promuovere a suo interlocutore l’Ugl, il sindacato dei contratti pirata di rider e artigiani, legato a una galassia europea di estrema destra.
Questo quadro già basterebbe a descrivere la singolarità del caso italiano, magari assieme ai dati sui salari: negli ultimi trent’anni, in Italia sono rimasti congelati, mentre in Francia o Germania crescevano del 30 per cento, e nei paesi baltici oltre il 200 per cento.
«Vi trovate dal lato sbagliato rispetto a dove va l’Ue con la nuova direttiva», nota Lynch. «E invece di focalizzarsi sul costo della vita che si impenna, Meloni che fa? Attacca reddito di cittadinanza e precari, i più vulnerabili». Tra le novità che il governo prepara per il primo maggio c’è lo smantellamento delle causali, che per i contratti fra 12 e 24 mesi sono l’unica foglia di fico, l’unica parvenza di giustificazione che ribadiva che contratti precari così sono una eccezione, non la normalità.
Il giorno dei lavoratori sarà anche la data del colpo di spugna sul reddito di cittadinanza, come da ossessione meloniana. Anche in questo caso Chigi si muove in direzione opposta all’Ue, dove proprio a settembre 2022 – mentre l’Italia andava al voto – la Commissione ha proposto una raccomandazione del Consiglio su un reddito minimo adeguato. Il movimento 5 stelle rilancia con l’idea di una direttiva – che non raccomanda, obbliga proprio – e intende farne il suo tormentone alle europee: Bruxelles è più progressista di Meloni.
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