A meno che le manovre di Fitto sul versante balneare non si rivelino la mossa per strappare una bramata delega alla Concorrenza, un piano alternativo – tanto realistico quanto al ribasso – vedrebbe l’Italia alla regia del bilancio dell’Ue. Peccato che il premier polacco abbia appena scommesso che quella delega andrà a Varsavia…
Dopo essersi autoesclusa dal campo politico in fase di nomine dei vertici europei, adesso la premier rischia grosso anche per il portafoglio in Commissione europea. A meno che le manovre di Raffaele Fitto sul versante balneare non si rivelino la mossa per strappare una bramata delega alla Concorrenza, un piano alternativo – tanto realistico quanto al ribasso – vedrebbe l’Italia alla regia del bilancio dell’Unione.
Peccato che proprio questo martedì il premier polacco in persona Donald Tusk – che è uno degli azionisti di maggioranza della famiglia popolare europea – abbia dichiarato che al venturo commissario polacco dovrebbe spettare proprio il bilancio Ue. Insomma neppure il piano B sarebbe poi così scontato da incassare per Meloni.
La mossa di Fitto
L’attuale ministro degli Affari europei Fitto in passato ha fatto la fortuna politica di Meloni costruendole il ponte verso i Popolari europei; ma il lavorio democristiano svolto quando lui era capogruppo dei Conservatori in Europarlamento è stato destabilizzato quest’estate dalla premier stessa, quando – prima in Consiglio europeo e poi nel voto all’Europarlamento – si è messa ai margini sui cosiddetti top jobs, cioè gli incarichi apicali dell’Ue, primo fra tutti quello di Ursula von der Leyen, nome di punta del Ppe alla guida della Commissione europea.
E il primo a risentire delle mosse azzardate della leader rischia di essere per paradosso proprio il suo deus ex machina europeo, Fitto, nome di punta per il ruolo di commissario. Ecco perché è il ministro stesso, in questi giorni, a spostare pedine delicate come quella dei balneari, che alla concorrenza sono legate: dopo aver più volte salvato Meloni, ora Fitto deve salvarsi dai disastri di lei.
Si spiega così il «confronto con l’Ue» da lui gestito in tema di liberalizzazione delle spiagge: il commissario in pectore è in cerca di appeasement per blindare la posizione italiana nel parterre della futura Commissione. E dato che la direttiva Bolkestein lasciata a lungo inapplicata dall’Italia riguarda proprio il diritto alla concorrenza, riallinearsi con Bruxelles sui balneari renderebbe meno irrealizzabile per Fratelli d’Italia il suo sogno di incassare la delega apposita: sogno che per l’Italia si era realizzato ai tempi di Mario Monti commissario, ma che esige credibilità in dote.
Un equilibrio complesso
Bisogna inoltre farsi largo tra le ambizioni altrui. A proposito di concorrenza, a giugno il Financial Times ha avvertito di uno scontro con la Francia; certo è che Parigi vuol tenere le redini dell’industria europea, e ha già chiesto il bis in Commissione per Thierry Breton. Da questo martedì sappiamo che pure il piano alternativo non sarebbe esente da contese, per Meloni. Un modo per salvare la faccia in mancanza di deleghe pesanti sarebbe infatti quello di sovrintendere almeno al bilancio dell’Ue, dato che Johannes Hahn molla la delega. Fitto è già avvezzo a districarsi pure coi fondi di coesione, qualora si riesca a incrociare pure questa delega; e Meloni potrebbe incassare qualche etichetta utile per la propaganda domestica, spaziando dalla sburocratizzazione al Pnrr (che poi in Ue sarebbe Next Generation Eu, dunque sempre bilancio Ue, e pure una fetta in scadenza).
Ma il premier polacco – che dalle europee è uscito in forze e che nel Ppe rappresenta l’ala più allergica a cooperazioni con l’estrema destra – questo martedì non si è limitato a designare Piotr Serafin per la Commissione; Tusk ha pure aggiunto che «sembra molto probabile che otterrà il portafoglio chiave dal punto di vista della Polonia: il bilancio europeo». Insomma neppure la delega al bilancio Ue sarebbe scontata per Meloni, che resta in fondo pure sulla tempistica.
La gran parte dei governi ha infatti già inviato a von der Leyen la lettera coi nomi. Entro il 30 agosto la presidente dovrà averle ricevute tutte, e a quel punto dovrà fare i conti con le sue aspettative mancate: aveva chiesto di indicare un uomo e una donna, ma la gran parte degli esecutivi ha indicato solo un uomo. Probabile che la prima premier donna d’Italia – ma «non una femminista» come lei stessa ha scritto nel suo libro – faccia altrettanto.
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