- Fino a che punto è l’Italia a essere schiacciata in un angolo, e fino a che punto è invece la premier ad averci trascinati in un cono d’ombra? Il ruolo dell’estrema destra nel processo di irrilevanza politica in Ue non può essere negato, ed è Giorgia Meloni stessa – senza rendersene conto – a confermare questa chiave di lettura, appena arrivata al Consiglio europeo tuttora in corso.
- Partiamo dal finale: Berlino e Parigi, i due paesi europei che più hanno fatto richiesta a Bruxelles di via libera sugli aiuti di stati, e soprattutto i due giganti che se li possono permettere, otterranno dall’Ue briglie sciolte per i sussidi alle imprese.
- Con Meloni premier la Francia si rinsalda alla Germania e l'Italia è sconfitta sugli aiuti di stato. Non basta conquistare l'etichetta di forza di governo, per avere influenza in Ue: Meloni ha già dilapidato il suo fragile capitale politico. Ecco come e perché.
Fino a che punto è l’Italia a essere schiacciata in un angolo, e fino a che punto è invece la premier ad averci trascinati in un cono d’ombra? Il ruolo dell’estrema destra nel processo di irrilevanza politica in Ue non può essere negato, ed è Giorgia Meloni stessa – senza rendersene conto – a confermare questa chiave di lettura, appena arrivata al Consiglio europeo tuttora in corso. Francia e Germania hanno appena portato gli altri 25 stati membri esattamente dove a loro più conviene: verso un via libera agli aiuti di stato. E come se non bastasse, alla premier è toccato il doppio smacco: palazzo Chigi escluso prima dal negoziato con Washington, poi dalla cena col presidente ucraino. Dunque Meloni calca la passerella del summit dei capi di stato e di governo con attitudine opposta a quella del presidente francese, che sente di aver vinto tutto: sereno e soddisfatto lui; piena di disappunto lei. Tra le due esclusioni subite dall’Italia, quella con gli Usa e quella con l’Ucraina, dice Meloni che: «Mi è sembrato più inopportuno l’invito a Zelensky». E lo spiega così: «Si è data la priorità all’opinione pubblica interna a discapito della causa, che richiede compattezza». Ovviamente l’attenzione per il proprio elettorato non ha impedito a Emmanuel Macron di condividere con Olaf Scholz la presenza di Zelensky all’Eliseo. Ciò che Meloni ci sta dicendo, quindi, è che il coinvolgimento di una premier di estrema destra nell’iniziativa avrebbe compromesso il successo di immagine di Macron. Non è l’Italia ma la premier a imbarazzare: lo suggerisce lei.
La trappola degli aiuti
Partiamo dal finale: Berlino e Parigi, i due paesi europei che più hanno fatto richiesta a Bruxelles di via libera sugli aiuti di stati, e soprattutto i due giganti che se li possono permettere, otterranno dall’Ue briglie sciolte per i sussidi alle imprese. All’Italia non conviene e a un certo punto far finta del contrario è diventato insostenibile pure per il governo Meloni. Adolfo Urso ci ha provato, a dichiarare alla stampa che Thierry Breton era bravissimo, mentre intanto il commissario francese in realtà faceva il gioco di Macron. Ma poi persino Giancarlo Giorgetti, che con la Germania è a dir poco dialogante, è sbottato alla vigilia del Consiglio: ma insomma, voi date il via libera agli aiuti e intanto noi siamo imbrigliati per il patto di stabilità?, ha osservato propriamente il ministro. Eppure così sarà. Ormai Chigi è rassegnata a un uso più flessibile di fondi già previsti; insomma, alle nostre imprese restano i rimasugli. Il fantomatico fondo sovrano – che se va su imprese strategiche rischia comunque di finire in mano ai colossi – è rinviato a data da destinarsi. L’esperienza del tetto al prezzo del gas frenato da Berlino lascia intendere come andrà: prima gli ostruzionismi, poi i rinvii, infine l’indebolimento della misura finale.
Dilapidare reputazione
Meloni ha già dilapidato il suo capitale politico perché quest’ultimo era estremamente fragile. Prima di diventare premier, Meloni ha sabotato il gruppone sovranista utilizzando il peso dei conservatori per negoziare l’alleanza e soprattutto l’accettazione del centrodestra dei popolari. La attuale premier ha anche fatto leva su un patto di non belligeranza – o persino una sintonia – con Draghi. Ma tutto questo capitale le è servito per un unico scopo: rendersi accettabile come forza di governo. E una volta al governo? Non basta esserci, ovviamente. La ininfluenza sugli aiuti di stato è figlia dell’occasione persa nei rapporti con la Francia. Macron non appena Meloni ha preso la campanella di governo era lì, su una terrazza romana, per far leva sull’Italia viste le tensioni in corso con la Germania.
Ma la opinione pubblica che Meloni questo giovedì ha citato lo ha spinto a tenere questi rapporti sotto traccia. Poi ci si è messo il governo italiano, con la gestione improvvida del caso migranti, a incrinare ulteriormente la già debole relazione. Il piano di aiuti di Biden alle imprese è stato poi l’alibi perfetto per l’Eliseo per far partire la sua narrazione sulla sovranità europea, e lì per convenienza la sponda perfetta era la Germania, il paese con più spazio fiscale per i bazooka alle imprese. Certo, Meloni se la prende per l’invito mancato alla cena con Zelensky perché il supporto a Kiev è alla base della sua etichetta di governabilità; e questa esclusione fa anche riflettere sulle promesse di un’Italia in prima linea sulla ricostruzione. Ma lo smacco più serio è quello sugli aiuti di stato, perché la destra fallisce proprio verso l’elettorato prediletto: le imprese.
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