Roberta Metsola vuole le «larghe maggioranze» e ha già di fatto smantellato il cordone sanitario, ma al contempo deve imbonire socialisti e liberali, quindi ricorda che «il centro tiene»: la rielezione plebiscitaria della presidente dell’Europarlamento mostra come si muove davvero la politica europea sotto traccia. Mentre Ursula von der Leyen non può dichiarare esplicitamente le aperture all’estrema destra, Metsola le pratica da anni indisturbata. Mentre la presidente di Commissione in cerca di bis continua la questua dei voti – stamattina è uscita dall’incontro coi Conservatori commentando che è stato «intenso» – a Strasburgo c’è una presidente d’aula la cui rielezione non è mai stata messa in discussione. E che oggi si è materializzata sotto forma di plebiscito, o quasi: Metsola è appena stata riconfermata alla guida dell’Europarlamento con 562 voti sui 623 voti espressi (sarebbe stata sufficiente la maggioranza assoluta di 313), 76 schede bianche o nulle. 

L’estrema destra, che già nel 2022 la aveva sostenuta, pure stavolta non ha neppure finto di contrapporle un candidato di bandiera. L’unica che ci ha provato è la sinistra europea di The Left, che ha appoggiato il nome di Irene Montero (l’ex ministra spagnola, figura di punta di Podemos) pur sapendo di bruciarlo (ha preso 61 voti).

Consenso allargato (Meloni inclusa)

Metsola gode di ampio sostegno, il che può dare l’idea di una presidente per tutte le stagioni; ed è esattamente ciò che lei vuole apparire, come si è visto dagli appelli fatti negli ultimi mesi in nome della maggioranza tradizionale tra popolari, socialisti e liberali. Ma in realtà la vera cifra della sua presidenza, sin da quando la ha ottenuta per la prima volta a gennaio 2022, sta nello sfondamento a destra: è proprio sul primo voto per Metsola che i meloniani si sono di fatto integrati nella maggioranza tradizionale.

Non a caso ora sono i primi a congratularsi della rielezione: «Buon lavoro all’amica Metsola», si è affrettato a commentare il capodelegazione di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza. «Come mediatrice tra campi politici, Metsola è al posto giusto nel ruolo di presidente», dice Joachim Brudziński del Pis, co-capogruppo di Ecr con Nicola Procaccini, che a sua volta non vede l’ora di «proseguire la eccellente cooperazione».

Già nel 2022 anche la Lega aveva dichiarato supporto a Metsola, e pure oggi anche tra i Patrioti per l’Europa c’è chi ha offerto voti alla nazionalista maltese. 

Nel suo discorso post rielezione Metsola ha infilato numerosi riferimenti che potrebbero aver fatto compiacere Meloni, a cominciare da quello sulla sburocratizzazione, tormentone della premier. Del resto il discorso della presidente votata da molti era fatto per piacere a molti: citazioni di De Gasperi, riferimenti a Falcone e Borsellino, alla competitività – parola d’ordine del momento che tiene insieme un fronte largo dal Ppe fino ai Patrioti – oltre che industria e agricoltori, unione bancaria e dei capitali, lotta all’antisemitismo e all’islamofobia, l’immancabile riferimento all’Ucraina – del resto su questo come sulle spese per la difesa Metsola si è posizionata in prima linea – e riferimenti a una Europa della speranza «in cui tutti si sentano a casa». E poi tocchi di femminismo; del resto solo nel 2022 le sue posizioni antiabortiste fecero clamore, poi sono finite dimenticate sotto il benestare generale.

Storia di uno sfondamento a destra

La biografia politica di Metsola comincia con l’impegno per l’ingresso di Malta nell’Ue, che la porta – già da studentessa universitaria – a un ruolo nel Partito nazionalista maltese, in occasione del referendum di adesione del 2003. Tenta l’elezione a eurodeputata già nel 2004, poi nel 2009, insiste e riesce quattro anni dopo. Nel frattempo è già perfettamente inserita nell’apparato di Bruxelles: era nella rappresentanza maltese a Bruxelles quando si negoziava il trattato di Lisbona, poi ha lavorato come consulente legale per il servizio diplomatico dell’Ue. 

Ottiene poi il sostegno di Manfred Weber, il leader del Ppe, per diventare la figura di punta dei Popolari che ambiscono alla presidenza dell’Europarlamento per le elezioni di metà mandato del 2022. Già a settembre del 2021, quando la sua candidatura era un desiderata, Metsola, di passaggio a Roma, ammetteva che «il cordone sanitario», quel separé immaginario che teneva ben distinti i populisti di destra e gli altri, «ormai è diventato un cordino». E apriva così agli «amici» di Fratelli d’Italia, notando che i conservatori «votano più spesso in sintonia con noi che la sinistra».

La figura di Metsola si è combinata perfettamente coi piani di Weber, che in quegli stessi mesi – già nella seconda metà del 2021 – stava lavorando alacremente alla cooperazione con Giorgia Meloni: il canale era stato aperto tramite Raffaele Fitto, che all’epoca era capogruppo dell’Ecr, e l’alleanza tattica si è materializzata per la prima volta proprio con le elezioni che consacrano per la prima volta Metsola presidente. «Pronti a continuare il lavoro insieme», twitta oggi lui assieme alle immediate congratulazioni per la rielezione. A gennaio 2022 i Conservatori europei (la formazione guidata dai meloniani) sono riusciti a rompere il cordone sanitario e a eleggere un proprio vicepresidente, con la condizione implicita che non fosse un esponente del Pis polacco; e così per Ecr era stato eletto il lettone Roberts Zīle. 

Metsola ha incarnato lo sfondamento a destra a tal punto che Weber la ha contemplata come possibile presidente della Commissione europea un paio di anni fa,  quando voleva far digerire a von der Leyen la sua linea e quindi la spintonava su tutto, dal green deal alla riconferma.

Nel 2023 la presidente dell’Europarlamento si è tatticamente riposizionata con dichiarazioni pubbliche a favore della maggioranza tradizionale, rassicurando così i socialisti e liberali. Che a quanto pare, dal 2022 a oggi, hanno tollerato il fatto che intanto Metsola cooperasse di fatto con Ecr – come Ecr stesso rivendica – mentre a von der Leyen, più esposta mediaticamente e politicamente, tutti chiedono impegni formali a «evitare cooperazioni strutturate». Gli imbarazzi si vedono di più dove la luce è più accesa. 

 

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