Negoziatore di Brexit ma anche sostenitore di una Frexit per l’immigrazione, protagonista di grandi fallimenti politici e dotato di altrettanto notevoli capacità di resurrezione, Michel Barnier non è solo il nuovo premier francese, o colui che dovrà negoziare (ancora) per sopravvivere a eventuali censure dell’Assemblea nazionale. Barnier in questa fase è soprattutto un pontiere: dopo settimane di temporeggiamenti e di lavorii tattici, Emmanuel Macron ha indicato lui in nome di un patto tacito con l’estrema destra.

Marine Le Pen si è mostrata più accondiscendente sul suo nome, contando di ricevere altrettanta condiscendenza: «Barnier soddisfa almeno il primo criterio che avevamo richiesto, cioè rispettare le diverse forze politiche e avere la capacità di rivolgersi al Rassemblement national», ha detto. E ha dovuto specificare: «Non parteciperemo a un governo Barnier»; il vero punto è però non impedirlo. Diversamente da altri nomi, su questo non si abbatte subito la minaccia della mozione di censura: il Rn dice di attendere il suo discorso programmatico.

Nella definizione che Barnier si autoassegna – «patriota ed europeo» – si trova già la cifra della transizione: europeismo, come quello sbandierato da Macron, ma anche retorica sovranista, quanto basta per lasciare intravedere lo slittamento sempre più a destra. Intanto Édouard Philippe, l’ex premier macroniano pentito quanto basta per scrollarsi di dosso l’impopolarità del presidente, recente frequentatore di cene con Le Pen e col Rassemblement national, pensa a prendersi l’Eliseo il prima possibile, magari già nel 2025.

Insomma se l’Eliseo, dopo aver negato la vittoria del Fronte popolare, ha deciso di consegnare il compito del governo a un esponente dei Repubblicani, che in termini di seggi pesano a dir poco meno, è perché preferisce venire a patti con la destra estrema piuttosto che scardinare il proprio sistema. «Crisi di regime», «elezione rubata»: a sinistra ci si prepara a dar battaglia.

Le resurrezioni di Barnier

In politica da oltre mezzo secolo, premier a 73 anni, Barnier è scalatore e sportivo, sia per pratica che per attitudine: «È sulla lunga durata che si misura la vittoria», come ha affermato lui stesso ai tempi dei negoziati su Brexit.

Gollista sin da ragazzo e da ventenne già politico di punta nella sua Savoia, poi più volte ministro, Michel Barnier ha una storia di scommesse perse e di risalite; come quando nel partito ha preferito Balladur a Chirac, ma proprio nell’era Chirac è riuscito a farsi nominare prima ministro degli Affari europei e poi commissario Ue (occupandosi, con Prodi presidente, di aiuti alle regioni).

Tornato da Bruxelles, ministro degli Esteri dal 2004, l’anno dopo Barnier perde la poltrona, ancora una volta per una scommessa politica persa: i francesi bocciano il sì alla Costituzione europea e, anche per regolamenti di conti interni con Dominique de Villepin, la sua testa (di europeista) salta. A Nicolas Sarkozy deve una delle sue tante resurrezioni – con lui ritorna in Commissione, da vicepresidente, nel 2010 – oltre che un ruolo chiave nella nomina di questo giovedì (il legame politico tra Macron e Sarkozy è pesato nei governi precedenti e conta tuttora).

Un altro referendum antieuropeista segna – stavolta con successo – la biografia politica di Barnier, che dopo il voto per l’uscita del Regno Unito dall’Ue diventa il negoziatore capo dell’Unione europea. Nel 2021, quando torna in patria, si vocifera che miri all’Eliseo per l’anno successivo; e infatti parte la sua corsa dentro i Républicains.

A lui va male: la nomina va a Valérie Pécresse; ma a lei va ancora peggio, dato che per la prima volta alle presidenziali i Repubblicani non superano neppure la soglia necessaria a farsi rimborsare la campagna. Intanto la transizione di Barnier si è già palesata: puntando all’Eliseo, l’ex negoziatore Ue calca così tanto la mano da scandalizzare a Parigi e pure a Bruxelles.

Punti di contatto con Le Pen

Mentre l’estrema destra accumula consensi con la retorica anti immigrazione, lui da repubblicano arriva a proporre una “Frexit” di fatto, sull’immigrazione. Così come la Polonia nell’autunno 2021 aveva misconosciuto la supremazia dell’ordinamento Ue, nello stesso periodo Barnier ha promosso una «sovranità giuridica» della Francia in tema di immigrazione. Motiva la sua linea dura proprio con la necessità di prevenire un’altra Brexit, e dice pure: serve un referendum sull’immigrazione. Referendum che – in quell’autunno del 2021 ma pure ora – è il sogno dei lepeniani.

Mercoledì notte, quando Barnier si è trattenuto all’Eliseo per concertare col presidente la sua imminente nomina, una posizione aperturista da parte dell’estrema destra ha fatto da ulteriore via libera: pare che sia stata uno degli argomenti determinanti per Macron e per il suo calcolo politico, dopo giorni ad avvitarsi sulle ipotesi di Bertrand o Cazeneuve.

Martedì sera, dopo essere stata contattata telefonicamente da Macron, la leader ecologista Marine Tondelier lo aveva già anticipato (e denunciato) pubblicamente: «Nelle soluzioni che sta prefigurando, il presidente si appoggerà prioritariamente sulla destra, con premure pure verso il Rassemblement national, il che è estremamente grave». A luglio rivelazioni giornalistiche avevano già portato alla luce le cene frequenti tra lepeniani e macroniani (pure tra Philippe, che punta all’Eliseo, e Le Pen).

Lo scontro politico

«So che Michel ha a cuore gli interessi della Francia e dell’Europa», si è affrettata a dichiarare Ursula von der Leyen consegnando le sue felicitazioni al nuovo premier.

Questo mentre mezza politica francese (ma pure movimenti studenteschi e associazioni sindacali) era in rivolta: «Entriamo in una crisi di regime», ha detto Olivier Faure, aggiungendo che «siamo all’apice della negazione della democrazia, con un premier che viene dal partito arrivato quarto e che non ha neppure preso parte al fronte repubblicano».

Il partito socialista da lui guidato annuncia di voler votare la mozione di censura per Barnier, e pure i più moderati, come François Hollande, parlando di «una nomina dovuta al via libera dell’Rn». I francesi hanno fatto blocco contro il Rn «ma viene nominata la figura a esso più vicina: è un furto di elezioni», a detta di Jean-Luc Mélenchon.

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