La famiglia popolare, alla quale Ursula von der Leyen appartiene, balla sul corpo già acciaccato dei progressisti europei in un passo a due con l’estrema destra, senza limiti a riguardo: non solo Giorgia Meloni, né solo Viktor Orbán, ma pure i postnazisti tedeschi di AfD e i neofascisti polacchi di Konfederacja.

Il dossier dell’immigrazione – discusso questo mercoledì a Strasburgo mentre von der Leyen era in Albania con Edi Rama – è solo l’ennesimo segnale di sfondamento a destra. Travalica anche il debole accordo tra progressisti e popolari sulla base del quale la presidente è stata rieletta; e per quanto la capogruppo socialista Iratxe García Pérez lo avverta e lo dica, al momento non dà segnali di voler davvero sganciarsi lasciando che al voto di fiducia della Commissione la destra se la cavi da sola.

Intanto le audizioni novembrine dei commissari designati si avvicinano, e sapendo che i socialisti gli chiederanno parole europeiste, Raffaele Fitto già si esercita nelle risposte scritte, in cui rispolvera «le vocazioni europeiste della Democrazia cristiana» dei suoi esordi. Sulla sua vicepresidenza esecutiva, i Verdi erano pronti a dar filo da torcere, ma anche su questo versante la capogruppo García Pérez sembra più orientata a blindare la connazionale Teresa Ribera evitando fuochi incrociati.

Von der Leyen e l’Albania

«Noi monitoriamo, ma si tratta pur sempre di un accordo bilaterale»: così questo mercoledì la presidente della Commissione europea si è tolta dall’impaccio delle domande che le piovevano addosso mentre era al fianco del premier albanese in conferenza stampa; i cronisti le hanno fatto notare che si è congratulata con Rama e nella lettera ai leader ha espresso interesse per «soluzioni innovative» come quella dei centri extra Ue, mentre in Italia i giudici prendono strali dal governo perché fanno rispettare l’ordinamento giuridico europeo.

Questo mercoledì a rappresentare la Commissione in Europarlamento per una dichiarazione su migrazione e rimpatri c’era Helena Dalli, che di solito si occupa di parità, mentre von der Leyen nella cornice di un tour nei Balcani approdava a Tirana.

Il 15 ottobre, alla vigilia del primo trasferimento nei centri albanesi e pure alla vigilia del Consiglio europeo nel quale von der Leyen ha affiancato Meloni per la riunione sui migranti da lei tanto voluta, Edi Rama ha festeggiato come «storico» il via ai negoziati per l’adesione dell’Albania all’Ue.

Casomai si potessero ancora nutrire dubbi sulla sponda che von der Leyen offre a Meloni – come già fece col memorandum tunisino – a togliere ogni dubbio è il voto dei Popolari questo mercoledì in aula.

Ppe sempre più a destra

Forse persino più delle parole volate in aula durante il dibattito a tema migranti, è emblematico un emendamento alla risoluzione sul bilancio Ue. «Invita le istituzioni a valutare lo sviluppo di poli di rimpatrio fuori dall’Ue e se necessario finanziarli adeguatamente».

A proporlo sono stati infatti due eurodeputati di Alternative für Deutschland (partito etichettato come estremo al punto che persino i Patrioti di Le Pen e Orbán hanno preferito tenerlo fuori dal loro gruppo per normalizzarsi) e uno di Konfederacja, i neofascisti polacchi. Ma a garantirne l’approvazione col loro voto, ci sono stati non solo i Conservatori ma pure i Popolari.

Di recente il leader del Ppe Weber aveva già fatto ricorso al supporto dei Patrioti per forzare il calendario delle audizioni in un modo ritenuto favorevole al nome meloniano. García Pérez accusa il Ppe di «inginocchiarsi all’estrema destra sui migranti», ma è chiaro che il tema è più generale: Weber cerca sponde sempre più a destra, von der Leyen pure.

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