- L’Italia ha sete e va a fuoco. Mai come in questi giorni, gli effetti del cambiamento climatico sono avvertiti da tutti, tra caldo anomalo, siccità e incendi. Eppure il governo italiano guida in Europa una battaglia di retroguardia per rallentare le iniziative pro clima.
- Nell’impegno verde, siamo il fanalino di coda. Pur di disinnescare lo stop alle auto a combustione interna entro il 2035, palazzo Chigi fa qualsiasi cosa: spedire mail agli eurodeputati e poi, visto che non funziona, costruire un’alleanza anticlimatica che si trascina dietro Bulgaria, Romania, Slovacchia, Portogallo.
- In sede Ue, Cingolani ha invocato «flessibilità», cioè rinvii, in linea con Giorgetti, che sulle auto dice: «Bisogna saper frenare». La Danimarca ci fa notare che «con la natura non si negozia», e assieme ad altri governi spinge invece per il green. Il clima è il tema attorno al quale si ridisegnano le fratture politiche. L’esecutivo Draghi si posiziona sempre più smaccatamente tra gli anti clima.
L’Italia ha sete e va a fuoco. Mai come in questi giorni, gli effetti del cambiamento climatico sono avvertiti da tutti, tra caldo anomalo, siccità e incendi. Eppure il governo italiano guida in Europa una battaglia di retroguardia per rallentare le iniziative pro clima. Nell’impegno verde, siamo il fanalino di coda. Pur di disinnescare lo stop alle auto a combustione interna entro il 2035, palazzo Chigi fa qualsiasi cosa: spedire mail agli eurodeputati e poi, visto che non funziona, costruire un’alleanza anticlimatica che si trascina dietro Bulgaria, Romania, Slovacchia, Portogallo.
Martedì, al Consiglio dei ministri europei dell’Ambiente, Roberto Cingolani non ha fatto che ripetere una parola: «Flessibilità». Ha pietito concessioni e rinvii. Si è sentito rispondere da Dan Jørgensen, il ministro del Clima e dell’energia danese, che «con la natura non si negozia». «Pensate forse che coi cambiamenti climatici si possa scendere a compromessi?», ha chiesto provocatoriamente la Danimarca. Che al contrario dell’Italia costruisce alleanze in favore del clima.
Come dimostrano anche gli screzi interni al governo tedesco sul tema dello stop alle auto a benzina e diesel, il clima sta diventando sempre di più il tema attorno al quale si ridisegnano le fratture politiche: per il clima, o contro, si allineano governi e partiti. L’esecutivo Draghi si posiziona sempre più smaccatamente tra gli anti clima.
La bandierina delle auto
Alla fine del 2021, i tre ministri Enrico Giovannini (Infrastrutture e mobilità sostenibile), Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Cingolani prendono atto in un comitato interministeriale (Cite) che «il phase out delle auto nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035». Lo sanno quindi, e concordano. Poi però, quando si entra nel vivo delle decisioni in Europa, di colpo Giovannini resta l’unico a ricordarsene. Il dossier auto, che fa parte del pacchetto verde “Fit for 55”, passa all’Europarlamento l’8 giugno.
Il governo Draghi prova ad annacquare i provvedimenti. Tenta di influenzare il voto degli eurodeputati italiani pure con tre email, di cui una spedita il 6 giugno a poche ore dal voto, e che contiene indicazioni sugli emendamenti “in linea” o no col governo. Cingolani sostiene gli emendamenti delle destre europee per rallentare il phase out. Ma il piano non va in porto: l’Europarlamento approva lo stop totale entro il 2035.
A quel punto il leghista Giorgetti, il ministro che avrebbe in carico di ridisegnare la politica industriale del paese in funzione dell’urgenza climatica, fa sapere che è «deluso» dall’Ue.
L’esecutivo si prepara quindi al Consiglio Ue ambiente di ieri: è un momento cruciale perché qui sono i governi, dopo gli eurodeputati, a definire la loro versione di “Fit for 55”, prima che cominci il negoziato interistituzionale.Il 24 giugno, nell’incontro preparatorio dei governi, l’Italia presenta una proposta assieme a Bulgaria, Portogallo, Romania e Slovacchia: i cinque paesi chiedono di far slittare lo stop totale delle auto al 2040.
La retroguardia del clima
Nel tentativo di rallentare la transizione, Roma arrabatta alleanze con la periferia economica oltre che politica dell’Unione: se già l’Italia in termini di Pil pro capite è sotto la media europea, gli alleati anti-clima sono ancor più in basso. Dalla parte opposta, i danesi del ministro del clima Jørgensen, che assieme a tedeschi, svedesi, per un totale di una dozzina di governi europei, non appena è scoppiata la guerra hanno condiviso un appello ad accelerare le politiche climatiche, anche per emanciparci dalla Russia.
Già nel 2018, ancor prima che von der Leyen annunciasse il green deal, la Danimarca voleva darsi il 2030 come data limite per lo stop totale alle auto a benzina e diesel; ma ha dovuto aspettare le scelte Ue, e ora teme di finire rallentata dagli altri governi.
Stando a Greenpeace, la data ragionevole sarebbe il 2028. Eppure la scorsa settimana il ministro Giorgetti ha detto che il 2035 non basta, serve più tempo: «Bisogna saper frenare». E ha ringraziato Cingolani «perché mi sta dando una grandissima mano».
La voce grossa
Sul dossier “Fit for 55”, l’attività lobbistica è intensa, e pure il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, se ne è uscito durante un evento con le imprese con una dichiarazione anti green. Ma la componente verde del suo governo ha fatto da contrappeso, cosa che non avviene in Italia.
Qui il ministro per la transizione ecologica dà «una grandissima mano» a Giorgetti, attacca la «lobby dei rinnovabilisti» e non disdegna invece l’industria del fossile: ha concesso a Eni e Snam il maggior numero di incontri, e di risorse del Pnrr, come ha ricostruito l’organizzazione ReCommon un mese fa.
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