Italia e Spagna sono considerati paesi ad “alto stress idrico” e con la crisi climatica bisogna agire. Il nord Italia può imparare dall’esperienza catalana. Non basta costruire, bisogna saper gestire l’acqua. Il reportage
In tempi di cambiamento climatico la siccità è un problema con il quale anche il nord Italia si confronta. Le piogge di maggio e giugno hanno posto fine alla fase acuta che ha colpito quest’area tra l’autunno 2021 e la primavera 2023, ma la carenza di acqua è destinata a ritornare. Secondo lo European Drought Observatory, diverse aree del paese stanno attraversando un periodo siccitoso, e i ricercatori sostengono che lo spettro di una nuova crisi non sia del tutto scongiurato. «Senza precipitazioni in inverno, a febbraio-marzo torneremo a parlare di problemi legati alla scarsità idrica», dice Luca Brocca dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del CNR.
C’è una regione europea in cui la siccità non è mai finita: il Nord-est spagnolo. Nella zona di Barcellona piove ben al di sotto dei valori medi ormai da tre anni, e la città è a un passo dall’istituzione dello stato di emergenza, che comporterebbe tetti al consumo idrico e addirittura l’uso di navi cisterna per fare arrivare l’acqua da altre parti d’Europa.
La gestione della crisi in Catalogna può offrire soluzioni per la gestione delle crisi nostrane per due motivi.
Analogie con il nord Italia
Il primo è la somiglianza tra la Catalogna e il nord Italia, due zone, secondo Brocca, storicamente abituate all’abbondanza d’acqua, garantita dallo scioglimento delle nevi sui Pirenei e sulle Alpi, e che si sono trovate a dover gestire la carenza solo recentemente, a differenza di zone tradizionalmente aride come la Sicilia o l’Andalusia. «In Sud Italia sono già abituati a gestire la carenza d’acqua», dice Brocca. Ma in zone abituate all’abbondanza, «quando all’improvviso ne hai di meno, diventa un problema».
Sarà un problema sempre più ricorrente, visto che le Alpi e il Mediterraneo si stanno riscaldando più velocemente della media globale, e un recente studio pubblicato su Nature Climate Change ha mostrato che sulle Alpi la copertura nevosa – risorse idriche preziose – dura in media 36 giorni in meno l’anno.
Il secondo motivo è che se Barcellona e gran parte della Catalogna sono riuscite a sopravvivere a una siccità ancor più protratta di quella italiana, è in gran parte grazie ad alcune strategie all’avanguardia. La Catalogna e tutta la Spagna stanno investendo in infrastrutture per rendersi sempre più indipendenti dalle precipitazioni, garantendosi la capacità di soddisfare il proprio fabbisogno idrico anche nel futuro sempre più arido indicato dai modelli climatici. Mentre in Italia si aspetta l’erogazione dei fondi del Pnrr per investire nell’adattamento, queste strategie – e i loro limiti – possono offrire diversi spunti.
Gli invasi
In Italia, la soluzione invocata da più parti per far fronte alle crisi idriche è costruire nuovi invasi. Nel 2022 Coldiretti ha richiesto lo stanziamento di un miliardo per la realizzazione di nuovi bacini; l’Anbi ha proposto di realizzare 10mila bacini medio-piccoli entro il 2030; il Pnrr prevede lo stanziamento di due miliardi di euro «per nuove infrastrutture idriche primarie» tra cui nuovi invasi, su tutto il territorio nazionale.
È un piano che ha funzionato a lungo in Spagna: gli invasi del paese hanno una capacità totale circa quattro volte superiore a quella italiana, e consentono di accumulare quantità d’acqua sufficienti a soddisfare il fabbisogno idrico nazionale per più di due anni.
Ma vari dubbi sono stati sollevati su questa soluzione in Italia. Andrea Minutolo, direttore scientifico di Legambiente, sostiene ad esempio che nuovi invasi siano «specchietti per le allodole» perché non sarebbero pronti prima di diversi anni, rischiando di non risolvere i problemi più urgenti; ammesso che si riesca a individuare i luoghi dove realizzarle.
Minutolo dice anche che le dighe attualmente in funzione necessitano di manutenzione per rimuovere i sedimenti che hanno fatto perdere loro capacità, e che gli investimenti di 100 milioni di euro annunciati dal Commissario alla Siccità quest’estate potrebbero non bastare. «Le dighe vanno mantenute», dice. «I grandi bacini che ci hanno aiutato col tempo si interrano e perdono di capacità di invaso».
Ma il caso catalano esemplifica anche un altro problema degli invasi. Quando una siccità grave colpisce, anche gli invasi più grandi rimangono vuoti. Famoso il caso del bacino di Sau, tra Barcellona e il confine francese, dove la siccità ha fatto riemergere la chiesa di Sant Romà, sommersa con la costruzione della diga nel 1960. In Catalogna alcuni invasi sono pieni solo all’8 per cento, e il deflusso di acque pressoché interrotto.
La desalinizzazione
Se Barcellona non è ancora entrata in piena emergenza è in parte grazie al più grande impianto di dissalazione d’Europa, quello dello Llobregat. L’impianto può ricevere fino a due metri cubi d’acqua di mare al secondo, la tratta e mette in circolazione per soddisfare il fabbisogno dei 4,5 milioni di persone che vivono in città e nelle province adiacenti. Un secondo impianto di dissalazione è in costruzione fuori città per aumentare ulteriormente la capacità di approvvigionamento.
Dissalatori simili sono in cantiere anche in Italia: nel 2023 Acquedotto Pugliese ha annunciato il progetto da cento milioni di euro per il più grande impianto di dissalazione d’Italia a Taranto.
Però in Catalogna le critiche non mancano: alcuni esperti locali sostengono che la soluzione sia costosa per via dell’alto consumo di energia, che può servire aree costiere ma non le più interne, e che la soluzione rischia di danneggiare l’ambiente una volta che le acque salate vengono riscaricate in mare, creando zone a maggior concentrazione di sali.
Basta sovrasfruttamento
Secondo Mar Satorras, ricercatrice all’Istituto Metropoli di Barcellona e specialista nelle trasformazioni socio-ambientali necessarie per affrontare il cambiamento climatico, tanto il caso degli invasi quanto quello degli impianti di dissalazione rendono evidente che serva una gestione diversa delle risorse.
«Serve non solo una politica volta alle grandi infrastrutture – spiega – ma anche una politica che ripensi l’uso dell’acqua e che si focalizzi su quali usi sono prioritari» .Diversi esperti contattati da Domani hanno indicato questa come la soluzione più urgente da adottare.
Il clima del passato ha reso possibile coltivare riso, mais, kiwi e avocado in regioni come la Pianura Padana e la Catalogna. Oggi, con le proiezioni che indicano una disponibilità idrica destinata a diminuire, a lato dei progetti per fabbricare più acqua occorre chiedersi quali usi siano strategici e da privilegiare in futuro.
Avocado e turisti
In Catalogna, diversi ricercatori hanno evidenziato come l’agricoltura e il turismo, pilastri dell’economia spagnola, abbiano giocato un ruolo di primo piano nelle crisi idriche recenti. Nonostante il contributo dell’agricoltura all’economia spagnola sia diminuito drasticamente negli ultimi 60 anni, il prelievo d’acqua per uso agricolo è rimasto lo stesso, e gli agricoltori hanno piantato colture che richiedono molta acqua come frutta secca e avocado. Con la Spagna secondo paese più visitato al mondo dopo la Francia, anche l’industria del turismo contribuisce alla crisi: nella Costa Brava catalana, la popolazione raddoppia in estate, il periodo in cui il fabbisogno idrico è maggiore, mettendo sotto pressione le risorse idriche.
Il risultato è che «anche in anni che si considererebbero umidi c’è comunque un problema di scarsità», dice Gonzalo Delacamara, economista e direttore del centro per l’acqua e l’adattamento climatico all'università IE di Madrid; per lui, il tentativo di separare sviluppo economico e uso smodato di acqua ha fallito.
Siamo “ad alto stress”
Il World Resources Institute considera sia l’Italia che la Spagna tra i 21 paesi nel mondo ad “alto stress idrico”, ovvero che usano tra il 40 e l’80 per cento delle risorse a disposizione. Il rischio è considerato basso quando il rapporto è sotto il 10 per cento.
Secondo Annelies Broekman, del Creaf, un centro di ricerca in ecologia affiliato all’università di Barcellona, per la crisi c’è una sola soluzione: è indispensabile ridurre il consumo di acqua, tanto in Catalogna quanto nel resto del Mediterraneo. Per Broekman «stiamo sovra-sfruttando le nostre risorse: le richieste superano cronicamente la disponibilità. Questo porta il sistema al limite».
Per Minutolo di Legambiente il sovrasfruttamento è un problema che riguarda anche l’Italia: «L'acqua viene riconosciuta solo a parole come un bene prezioso, ma di fatto per tutti coloro che utilizzano questa preziosa risorsa, viene vista come un bancomat da cui prelevare. Tutti chiedono acqua. Nessuno mette in discussione il proprio modello di gestione».
Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno di Journalismfund Europe
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