Ora però la tregua è finita. La aveva imposta unilateralmente Emmanuel Macron, giustificando con le esigenze olimpiche il prolungamento dello stallo politico (altrimenti detto: il logoramento dell’avversario). Con il finire delle Olimpiadi la Francia torna a ricordarsi che c’è un governo che non è mai iniziato: è passato ormai più di un mese dalle elezioni legislative e il presidente della Repubblica non ha ancora dato al paese il nome di un premier.

Un nome, per dirla tutta, ci sarebbe: Lucie Castets è la prima ministra in pectore del nuovo Fronte popolare. Peccato che Macron sia tuttora in fase di negazione: per lui la sinistra non ha vinto. L’Eliseo ha in testa una coabitazione dolce: abbastanza in sintonia da non creare troppi intralci al macronismo, ma non troppo schiacciata su Macron perché l’operazione non appaia del tutto sfacciata.

Finite le gare olimpiche di salto con l’asta e pugilato, la prossima settimana inizieranno le danze tutte politiche delle consultazioni. E un nome dovrà pur uscire, a meno che Macron non voglia portare Parigi ai negoziati con Bruxelles con indosso l’abito di crisi politica.

Macron Cunctator

Entro il 20 agosto infatti bisogna sfoderare un piano a medio termine di rientro dal debito, dato che sulla testa della Francia pende ora una procedura europea per deficit eccessivo. E si spera che almeno questo smuova Macron il “Cunctator”, il temporeggiatore della crisi politica.

Al momento il presidente si trastulla ancora nella tregua olimpica, pure sul finire della festa: prima ha utilizzato le Olimpiadi per mettere l’opposizione in pausa forzata, ora le usa per mandare segnali. Fa una «autoincoronazione» e una «apologia del lavorare insieme», come ha sintetizzato bene a inizio settimana il quotidiano Libération.

L’autoincoronazione consiste nell’intestarsi il successo olimpico. «Un successo di sicurezza, di organizzazione, sportivo» e persino «popolare»: sono alcune delle parole usate questo lunedì dal presidente della Repubblica in piena fase di esaltazione. Una volta in Francia i presidenti della Repubblica potevano contare su quella che i politologi chiamavano «luna di miele con l’elettorato»: fatte le presidenziali, c’era l’effetto di trascinamento del consenso, che si rifletteva su parlamento e quindi governo. Ma non vale nei tempi dell’impopolare leader di riforme pensionistiche e dintorni, il quale al contrario ha convocato le legislative sull’onda della batosta elettorale di giugno. Dunque l’unica luna di miele e «successo popolare» che gli resta da esibire è quella dei giochi sul lungofiume.

Quanto alla «apologia del lavorare insieme», trattasi della solita narrazione presidenziale, che coincide pure con la negazione presidenziale: a inizio luglio Macron ha ribadito per lettera che stando a lui «nessuno ha vinto», dunque neppure il Front populaire che alle elezioni è arrivato primo. Ed è tornato alla stessa narrazione che aveva avviato già prima del voto, quando parlava di una «federazione di progetto», sottintendendo che il federatore fosse il suo campo. Le Olimpiadi sono piegate quindi al racconto di quanto «siamo imbattibili quando siamo uniti» (parole usate dal presidente questo lunedì). In realtà l’«unione» a cui Macron pensa è escludente: per lui anche la France insoumise è da tenere ai margini.

Il nome che verrà

Quando finalmente i socialisti, gli insoumis, gli ecologisti, e le altre forze frontiste di sinistra, hanno trovato una sintesi sul nome di Lucie Castets, la funzionaria parigina difensora dei servizi pubblici, scelta strategica in quanto non associata a un’etichetta di partito, a quel punto il presidente ha semplicemente fatto finta di non vederla.

Dopodiché, a dispetto della tregua olimpica da lui proclamata, Macron non ha comunque rinunciato a fare giri di telefono: pare che per la sua ricerca di un premier abbia fatto squillare quelli dell’ex negoziatore Ue per Brexit, Michel Barnier, di provenienza repubblicana, già più volte ministro oltre che commissario europeo, ma con un’ambizione presidenziale irrealizzata; e quello del governatore di regione d’Alta Francia, Xavier Bertrand, che con Barnier ha in comune sia l’estrazione repubblicana che l’Eliseo visto in sogno (pare che intenda ritentare nel 2027).

Già la scorsa settimana il Figaro lo segnalava come «pronto alla sfida» – sì insomma, come possibile premier in pectore – scatenando così la reazione indignata di Castets, che questo lunedì per non restare fuori dai giochi (non olimpici ma politici, stavolta) si è pure lanciata nella presentazione di un programma. Ai parlamentari ha fatto avere le cinque priorità sue e del Fronte popolare: primo fra tutti il tormentone del potere d’acquisto, e poi istruzione e sanità, transizione climatica, «fiscalità giusta». Va da sé che nei desiderata ci sia pure la riforma delle pensioni abrogata.

Per Macron non se ne parla; via libera invece ai repubblicani – inseguiti già prima di sciogliere l'aula – e messaggi di avvicinamento ai socialisti, nella speranza che l’ala morbida abbocchi. Non per caso, nella sua intervista con il quotidiano sportivo l’Équipe, il presidente era andato raccontando di quanto fosse stato bello cooperare con sindaca socialista (Anne Hidalgo) e presidente di Regione (Valérie Pecresse), che in passato avevano tentato (con risultati disastrosi) di sfilargli la poltrona. Esaltazione dell’unione, sì, ma purché sia Macron a farla e disfarla.

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