Bambini incaricati di mettere in scena la psicosi collettiva di una guerra nucleare. E sullo stesso palco budapestino, vecchie rockstar convinte della presenza aliena.

Certo, avrà pure ragione Viktor Orbán, quando dice che «abbiamo vinto tante volte di fila e non resta che mettere a segno anche le europee di domenica». Ma qualcosa si sta deteriorando, se per tenere alto il consenso il despota ungherese deve alzare il più possibile pure il livello di paura, come ha fatto lo scorso weekend alla “Marcia della pace”.

Una fase eccezionale

Fidesz si attesterà ancora una volta come primo partito, ma stavolta ha un competitor che ha smosso la moribonda opposizione e prova a spazzarla via per diventare il rivale – da destra – di Orbán.

Quello di Péter Magyar è un fenomeno politico nato solo a febbraio, ma che da allora cresce rapidamente in piazze e sondaggi: qui già sfiora il trenta per cento. E si sta accaparrando un posto nella famiglia popolare europea, la stessa con la quale il premier ungherese ha consumato un lento e faticoso divorzio, formalizzato nel 2021.

Pur nella apparente inscalfibilità del regime orbaniano, è possibile intravedere segnali di esasperazione e radicalizzazione. La versione che Meloni aveva offerto ai microfoni sul finire del 2023 – l’idea che lei avesse favorito la redenzione del premier filoputiniano – è smentita dall’ostruzionismo permanente dell’Ungheria a Bruxelles, dove ancora intralcia ogni passo dei governi europei verso Kiev.

In questo contesto non stupisce che emergano perplessità sul fatto che da luglio proprio l’Ungheria dovrebbe assumere la presidenza di turno dell’Ue, assumendone il coordinamento nella delicatissima fase di nomine e mosse post voto.

L’ascesa di Magyar e il Ppe

Secondo la ricostruzione di Katalin Halmai, del quotidiano indipendente Népszava, «l’ingresso del partito di Magyar nel Ppe potrebbe concretizzarsi già a metà giugno: Magyar ne ha parlato con Manfred Weber, il leader dei Popolari, venerdì scorso».

Mentre Orbán da tempo aspira a entrare nei Conservatori di Meloni – che lo tiene in attesa sulla soglia – o in alternativa evoca il “gruppone sovranista”, intanto la sua nemesi sta già per occupare il posto dal quale lui per anni ha potuto usufruire di rapporti privilegiati specialmente con la Germania.

La ormai ex cancelliera Angela Merkel, leader dei compromessi col despota, ha convissuto con lui nello stesso gruppo finché si è potuto; poi nella primavera 2021, il divorzio. Il Ppe coi cristianodemocratici tedeschi resta strategico, per Orbán, come lo è il rapporto con il mondo industriale tedesco, ed è anche per la prossimità ai Popolari che per lui il gruppo di Meloni è la miglior opzione possibile.

Basti pensare che – nonostante Fidesz sia uscito dai Popolari prima di finirne cacciato – una sentinella orbaniana nel Ppe è rimasta: non se ne è mai andato il Kdnp, che è un partito-stampella di Orbán e del suo esecutivo, del quale fa parte.

Una nuova dinamica

Prima di febbraio, Magyar era noto per essere stato il compagno di Judit Varga, proiettata come capolista di Fidesz alle europee. Dopo che uno scandalo l’ha scalzata fuori dalla scena, lui si è presentato come l’uomo nuovo d’Ungheria, il che può apparire paradossale se si pensa che era organico al sistema, con ruoli in compagnie statali.

Ma tra un j’accuse YouTube sul sistema-mafia orbaniano, corse in Procura e bagni di folla, Magyar si è trasformato per gli ungheresi in una speranza di cambiamento, complice la sua strategia: da una parte richiama agli stessi sentimenti patriottici e conservatori che piacciono a chi ha votato in passato per il premier, dall’altra si presenta in discontinuità sia con il sistema fidesziano che con la galassia dell’opposizione considerata fallimentare.

Ad aprile i sondaggi davano il nuovo anti Orbán al 13; ora al 29. Dopo aver lanciato il movimento “sollevatevi ungheresi!”, il leader ha trovato una scatola vuota – il partito Tisza – per presentare in tempo le liste; poi in stile 5 Stelle degli albori, ha aperto alle candidature chiedendo «l’invio dei cv».

È soprattutto la gran quantità di comizi in ogni angolo rurale del paese, con folle inusuali, a suggerire che una nuova dinamica si stia imponendo. Per ora l’effetto è spazzar via il ciclo precedente di opposizione.

La presidenza ungherese

I sondaggi danno comunque Fidesz al 48 per cento.

Come fare a capire, domenica, se davvero tira una brutta aria per Orbán? Stefano Bottoni, lo storico che ha appena pubblicato L’Ungheria dagli Asburgo a Viktor Orbán, spiega a Domani che «la soglia da tener d’occhio è la distanza tra Fidesz e Tisza: se Orbán va oltre il 20 di distacco è un trionfo per lui; tra il 15 e il 20 è ok ma c’è un segnale di allarme; tra il 10 e 15 il pericolo per il sistema orbaniano è serio».

Nel timore di perdere potere, Orbán alimenta la paura collettiva, con allarmi su coscrizioni obbligatorie e guerre nucleari: è una versione ancor più cupa delle elezioni 2022, quando già «pace» era lo slogan.

Il clima inquieta gli accademici che, capitanati da Emilio De Capitani e Virgilio Dastoli, allertano sulla presidenza ungherese: «Vi sono serie ragioni giuridiche per contestare l’inerzia del Consiglio nel non modificare il calendario di presidenze», per De Capitani. «L’Europarlamento da un anno si batte per far slittare il semestre ungherese».

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