Gergely Karácsony è l’anti-Orbán. Nell’ottobre 2019 ha strappato Budapest a Fidesz. Per farlo, ha introdotto le primarie per la prima volta in Ungheria e ha coalizzato tutte le forze di opposizione. Il suo modello consentirà finalmente a una opposizione unita di sfidare lo strapotere del premier
- In vista delle elezioni 2022, i partiti di opposizione hanno deciso di unire le forze per battere Viktor Orbán. Faranno ricorso alle primarie.
- Questi fattori, la compattezza e le primarie, sono stati sperimentati con successo nel 2019 da Karácsony, che ha battuto Fidesz ed è stato eletto sindaco della capitale. Oggi è lui il più quotato per contendere la premiership.
- Intanto Orbán gli fa la guerra e toglie fondi alle città. Il sindaco si appella all’Europa. Conversazione sui temi di oggi, dal vaccino cinese ai diverbi fra Fidesz e Ppe, dallo stato di diritto al ruolo ambiguo della Germania.
Verde, liberale, europeista,Gergely Karácsony è l’anti-Orbán. Nell’ottobre 2019 Karácsony ha strappato Budapest a Fidesz ed è stato eletto sindaco della capitale. Per farlo, ha introdotto le primarie per la prima volta in Ungheria. Ed è riuscito a coalizzare tutte le forze di opposizione. Il suo modello consentirà finalmente a una opposizione unita di sfidare lo strapotere del premier.
In vista delle elezioni nazionali del 2022 i sei partiti di opposizione hanno deciso di fare fronte comune, e di fare ricorso alle primarie. È il “modello Karácsony” su larga scala?
In effetti sì. Ci sarà un’ampia coalizione, le forze di opposizione coopereranno, e questa è un’ottima notizia. Se parliamo di primarie poi, io sono il primo in Ungheria a essere stato selezionato con le primarie, e poi eletto. È stato un successo. Sono pure il primo ad aver invocato l’uso delle primarie in generale. Le ritengo uno strumento chiave per mobilitare il paese e la partecipazione democratica. A maggior ragione in Ungheria, dove la maggior parte dei media raccontano soltanto una versione della storia.
Quando si è candidato a sindaco, la macchina della propaganda l’ha presa di mira. Succede tuttora: lei va in bici perché è green, Fidesz la attacca perché non ha la patente.
Sì, hanno provato a infangarmi e ormai queste campagne diffamatorie stanno diventando qualcosa di caricaturale. Con questi metodi Orbán fomenta la sua base, la tiene in una bolla, controlla i media ed espelle ogni elemento di dissenso. Bisogna parlare agli indecisi, far arrivare loro i nostri messaggi.
Si candiderà alle primarie per diventare lo sfidante alla premiership di Orbán? Stando a un sondaggio recente, il suo è il nome di opposizione che attira più consenso: il 39 per cento vuole lei. Péter Jacab di Jobbik è secondo con il 32.
È una decisione che non ho ancora preso ma lo farò quando sarà il momento. I sondaggi dicono che sarei capace di riscuotere un supporto ampio. Non mi interessa l’ambizione personale, ma vedo le dinamiche politiche in corso e non posso sottrarmi a una scelta. Posso dire una cosa: sfidare Orbán sarebbe una sfida dura e una responsabilità enorme. Ma non ha senso rimanere a fare il sindaco se il prossimo governo poi rimane in mano a lui. Sta usando tutti i mezzi che ha pur di svuotare i poteri degli enti locali. Non basta essere sindaci a Budapest, bisogna poter governarla, e il premier ci sta togliendo ogni strumento anche finanziario per farlo.
Con la mossa di rendere i parcheggi gratuiti, il premier è riuscito in un sol colpo a far felici gli automobilisti e a sottrarre alle amministrazioni locali una fonte di finanziamento.
E magari ci fosse solo quello! Il governo non solo ci ha sottratto fondi di sostentamento, ma ci ha pure imposto una tassa in più da versare all’amministrazione centrale, per cui ormai paghiamo a Orbán più di quello che riceviamo. Il governo ci ha presi di mira, e lei consideri che a Budapest vivono due milioni di abitanti: il premier in questo modo colpisce un quinto degli ungheresi. Tutto questo, combinato con la pandemia che ci mette in ginocchio, fa sì che la nostra Budapest sia in seria difficoltà finanziaria.
Dovrebbero arrivare i fondi di ristoro europei, però. Bruxelles a febbraio ha lanciato un monito al governo ungherese, per l’uso «irregolare» che ha fatto dei fondi europei finora. Teme che i soldi del Recovery finiranno nelle mani dell’entourage di Orbán?
Penso che l’Europa debba distinguere fra chi le è alleato e chi no. In questo senso, accolgo molto positivamente il fatto che i fondi per la ripresa siano stati espressamente vincolati al coinvolgimento delle municipalità e della società civile. Peccato che Orbán non lo stia facendo.
Mi faccia capire, il premier sta stilando il Recovery plan nazionale senza consultarvi?
Peggio. Ha mentito. Il governo ha pubblicato una dozzina di paginette, molto generiche, prive di dettagli, su come intende usare i fondi, e dice che ha coinvolto le municipalità. Ma non è affatto vero.
Lei che guida la capitale non ha mai ricevuto una sola telefonata su quei fondi?
Non c’è stata nessuna genuina consultazione con la città di cui sono sindaco, e lei consideri che a Budapest viene generato più di un terzo del pil nazionale. Il governo dice di aver coinvolto gli enti locali ma non lo ha fatto, di conseguenza la Commissione europea a queste condizioni non deve accettare il piano che le fa avere Orbán per l’utilizzo dei fondi. È importante che l’Unione europea dia sostegno a chi è un suo sostenitore e soprattutto a chi va nelle direzioni che l’Europa auspica. Parlo ad esempio di ambiente.
Lei sin da ragazzino si è interessato di politiche verdi, e più di dieci anni fa ha fondato il primo partito ecologista ungherese (Lmp). Il premier ha sostenuto la speculazione edilizia e ha attaccato Greta Thunberg. Pensa che per avere i fondi Ue diventerà all’improvviso “ambientalista”?
Di facciata, sicuramente sì. Dove vanno i soldi, lì andrà Orbán, anche se quando si parla di cambiamento climatico lui rimane nel profondo uno scettico e la sua priorità non è certo il clima. Probabilmente farà qualcosa per modernizzare i trasporti pubblici, e su questo possiamo convenire. Ma la mia città ha piani più ambiziosi. La mia scintilla verde si è accesa quando ero ancora un bambino; io sono nato in una delle regioni più povere d’Ungheria, la mia famiglia era impegnata nelle fattorie biologiche. Quando mia madre mi disse che non potevamo più mangiare le verdure del nostro orto per il disastro di Chernobyl, scattò qualcosa in me. A vent’anni ero a Budapest a studiare e a fare ricerca, mi interessavo di politiche green. Quando mi sono candidato come sindaco, questa attenzione per l’ambiente è diventata un punto cardine della mia agenda politica. Nonostante la situazione finanziaria difficile, abbiamo avviato – com’era nel mio programma elettorale – un piano per rimboschire Budapest, abbiamo cominciato a rendere il centro più verde. Con i fondi di ristoro europei si può davvero fare molto per una transizione ambientale e digitale che abbia impatti positivi sulla società. La capitale è pronta, con la sua lista di progetti, ad andare in questa direzione. Sempre che Orbán non ci escluda dai piani e dai fondi. Spero che Bruxelles non glielo permetta.
Finora l’Europa è stata troppo morbida con il premier?
Mi rendo conto che quando parliamo di Unione europea ci stiamo riferendo a una struttura complessa sia sul piano politico che economico, e a una molteplicità di governi. Penso che finora l’Europa sia stata molto lenta nel reagire sia a Orbán che alle sfide da lui poste, e ai populismi di destra in genere. L’integrazione europea procede a passo d’uomo, mentre intanto le pressioni nella direzione contraria, da parte di portatori di interesse di varia natura, sono fortissime. Il governo ungherese è legato a doppio filo con le manifatture impiantate dalla Germania nel nostro paese; le spinte lobbistiche dell’industria tedesca sono forti e questo spiega anche perché il governo tedesco, che ha una voce influente negli affari europei, sia stato meno critico e duro di quel che avrebbe dovuto.
Reputa inadeguato il compromesso raggiunto da Merkel con Orbán sullo stato di diritto?
Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno: riconosco che, anche grazie al ruolo svolto dal parlamento europeo, esiste ora un meccanismo che vincola i fondi allo stato di diritto e al coinvolgimento delle città. Per quanto la condizionalità sullo stato di diritto possa essere stata indebolita, limiterà i margini di manovra di Orbán.
Il Partito popolare europeo sta ancora discutendo se espellere Fidesz dal gruppo. Che ne pensa?
Posso avere dei dubbi sui tempi in cui ciò accadrà, ma sono piuttosto sicuro che nel lungo periodo il Ppe e Fidesz si separeranno. Quest’ultimo si sposterà così dal centro della politica alle frange estreme, si polarizzerà ancor di più a destra, e questo non è un bene per il mio paese; ma l’aspetto positivo di tutto ciò è che Fidesz da fuori avrà in teoria meno influenza.
L’Ungheria è stata il primo paese dell’Unione ad aprire a Sputnik. La scorsa settimana il premier, oltre a dare il via alle iniezioni del vaccino cinese, se lo è fatto somministrare. Come valuta questa scelta?
L’Europa è stata lenta, ha mal gestito le vaccinazioni, e questo finisce per legittimare la posizione dell’Ungheria, che si è mossa per cercare alternative. Io penso che su temi come questi la priorità debba essere la salute pubblica, ma sono anche consapevole che questa scelta di aprire ai vaccini di Russia e Cina è in linea con gli interessi del premier, che si è attivato per attrarre investimenti da est.
Matteo Salvini è tra le forze ora al governo, cosa le dice questo sulle sorti dei populismi?
Dice a tutti noi che l’illiberalismo è tutt’altro che morto, che non è un fenomeno solo ungherese o polacco ma internazionale. Bisognerebbe vaccinarsi contro.
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