- Andrea Fernández ha 21 anni, studia matematica all’università, ma da adolescente era convinta di non poterlo fare anche se le piaceva. La Spagna ha una significativa comunità rom sul proprio territorio, ma solo una piccola percentuale riesce ad accedere all'istruzione superiore.
- Come in molti altri paesi europei, numerosi ostacoli impediscono alle persone rom di avere una maggiore rappresentanza nelle università. La discriminazione è in cima alla lista delle sfide che devono affrontare. La storia di Andrea, del professor Fernando Macías, della rete universitaria CampusRom, racconta gli sforzi in corso per contrastare questa tendenza, che ha ricadute ancor più pesanti sulle donne.
- Questo reportage è stato realizzato in partnership con ereb, un media e piattaforma di giornalismo narrativo con sede a Parigi.
«Da adolescente ero una delle migliori studentesse della mia classe. Amavo la matematica, ma il mio progetto era quello di diventare parrucchiera perché negli incontri preparatori all’università che facevano a scuola non c’era nessuna rappresentanza di persone rom, né conoscevo nessuno che avesse mai finito le superiori. Quindi pensavo che non fosse una cosa per me». Andrea Fernández, 21 anni, capelli scuri legati in una coda di cavallo e orecchini dorati, parla velocemente mentre ricorda quei giorni. Siede intorno al tavolo della sua cucina, illuminato dalla luce calda di una sera di primavera, nella cittadina natale di Gavà (Barcellona). «Un giorno ho acceso la tv e ho visto una bellissima ragazza gitana. Spiegava che stava studiando per diventare insegnante nella scuola primaria. Mi sono scambiata uno sguardo con mia madre, che era lì vicina, e le ho detto “perché no?”».
Andrea è una delle circa undici milioni di persone rom che vivono in Europa, la più grande minoranza del continente. La Spagna ospita la terza comunità più numerosa, con circa 700mila persone: quasi il due per cento della sua popolazione. Fino all’86 per cento delle famiglie rom – anche chiamate in spagnolo, con un termine accettato dalla comunità, “gitane”, e invece erroneamente conosciute come “zingare” in italiano – vive sotto la soglia di povertà. Lo sostiene la Fondazione Secretariado Gitano, la più importante organizzazione per la promozione della comunità rom in Spagna. Il loro tasso di disoccupazione è tre volte superiore rispetto a quello del valore nazionale. La situazione è ancora più allarmante nel caso delle donne, che sono soggette a un tasso di disoccupazione del 60 per cento, contro il 16 della media.
Mentre serve un caffè, Ana María, un’energica donna di 43 anni con i riccioli scuri, spiega con orgoglio che sua figlia Andrea è l’unica del suo quartiere natio – chiamato La Masía, abitato da 500 residenti e composto totalmente da gitani – ad aver finito le scuole superiori e a frequentare l’università. Ana Mari, come viene chiamata, ha fatto in modo che questo potesse accadere: «Ho sempre voluto per i miei figli quello che avrei desiderato per me, cioè partecipare attivamente alla loro educazione». Andrea assicura che la presenza della madre, insieme alla sua passione per lo studio e ai suoi tratti non tipicamente gitani – suo padre è payo, cioè non gitano, e ha la pelle chiara – la hanno aiutata nel terminare gli studi.
Tuttavia Andrea ha subìto discriminazioni a causa delle sue origini. Ricorda come nel corso degli anni gli insegnanti le abbiano proposto più di una volta di essere spostata in classi speciali, dove sapeva che gli altri studenti erano rom o migranti e dove il livello dell’insegnamento era inferiore, «solo perché venivo da La Masía». Ricorda anche che lei e i suoi cugini non venivano mai scelti per i lavori di gruppo e come, più tardi, quando era chiaro a tutti che fosse una brava studentessa, lei veniva scelta, ma i suoi cugini no. Alle superiori, era l’unica rimasta tra i cugini a frequentare le scuole.
Tasso di esclusione
Secondo l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), anche se il 99 per cento dei bambini rom frequenta la scuola in Spagna (uno dei tassi più alti dell’Ue), solo il 15 per cento circa la completa, rispetto al 74 circa della popolazione totale. Il dato peggiora se si considera l’università: la finisce solo il 3 per cento, contro il 35 della media nazionale. I dati riguardanti i rom in Spagna sono approssimativi perché legalmente il censimento non può raccogliere dati sull’etnia, ma danno comunque un’idea della portata del problema.
«Normalmente questo viene spiegato con la nostra cultura, sostenendo cioè che i gitani non vogliono studiare», dice Fernando Macías, professore associato alla facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università di Barcellona. «Ciò che nessuno dice è che molto prima che una famiglia gitana tolga un figlio dalla scuola, il sistema educativo lo ha già scartato per mezzo di una costante segregazione: veniamo messi in scuole separate o in classi speciali dove facciamo attività diverse dagli altri. Le basse aspettative degli insegnanti verso gli studenti gitani si traducono in piani curricolari adattati, che sappiamo essere fallimentari».
Non rinunciare allo studio
Fernando Macías, oggi 37enne, è cresciuto nel quartiere popolare di Santa Coloma, nella periferia di Barcellona. Sua madre lavorava come collaboratrice domestica e ha avuto quattro figli, suo padre faceva il muratore. Oggi Fernando è ricercatore presso il Centro di Studi Rom della Comunità di Ricerca sull’Eccellenza per Tutti (CREA) dell’Università di Barcellona, ed è anche membro del team tecnico del Piano Integrato per i Rom del governo catalano. Questo programma, creato nel 2005, mira a migliorare l’istruzione, il lavoro, la salute e le condizioni abitative del popolo rom in Catalogna, oltre a combattere gli stereotipi e i pregiudizi.
Nel 2016 Fernando lavorava già come professore aiutando gli studenti rom ad accedere all’università attraverso il Piano. Era preoccupato del fatto che, nonostante l’iniziativa, solo in pochi riuscivano ad accedere all’università. Durante un soggiorno all’Università del Wisconsin-Madison negli Stati Uniti, ha avuto modo di conoscere un’iniziativa, chiamata “The Posse foundation”, che aiutava persone afroamericane e altre minoranze negli Stati Uniti a non rinunciare allo studio assicurando loro di poter contare su una rete di sostegno. Era l’ispirazione che stava cercando.
Tornato a Barcellona, Fernando ha creato, insieme a un gruppo di suoi studenti rom del Piano, CampusRom: la prima rete universitaria rom spagnola. «È stato abbastanza facile metterla in piedi perché noi, il popolo gitano, tendiamo ad organizzarci in gruppi», ricorda.
All’interno della sede di CampusRom, sul tavolo bianco dove siede Fernando, giacciono molti gadget dell’associazione. Tra questi, braccialetti – uno dei quali è annodato con orgoglio al suo polso – e volantini che descrivono i progetti. Su un grande schermo, dieci persone ripassano l’uso di “have got” durante una lezione di grammatica inglese su Zoom, per prepararsi a un esame di istruzione e formazione professionale.
Una rete di supporto
Ana Mari era al suo fianco quando sua figlia Andrea ha deciso di tentare l’esame per accedere all’università per studiare matematica, anche se la madre ammette di essersi sentita completamente persa: «Non avevo idea di cosa si trattasse e non avevo nessuno a cui chiedere. Ero davvero preoccupata per lei, sola in una grande città come Barcellona, dove solitamente andiamo solo per fare i nostri documenti». Ana Mari e Andrea ridono spesso con autoironia e si guardano con complicità mentre ricordano quei tempi. «Poi una mia cugina che lavora come mediatrice culturale nel quartiere mi ha detto che il Piano Integrato per i Rom poteva aiutare Andrea a preparare l’esame d’ingresso, mentre CampusRom poteva darle lezioni di rinforzo e orientamento, e che la persona giusta a cui rivolgersi per entrambe le cose era Fernando». Dopo il primo incontro telefonico con lui, entrambe le donne hanno tirato un sospiro di sollievo. Ana Mari ricorda: «Mi ha detto “cugina” (così si chiamano tra di loro le persone gitane), “la ragazza entrerà all’università e noi ti aiuteremo durante questo processo”. Questo mi ha dato la tranquillità necessaria per dire ‘non siamo sole'».
CampusRom ora è un’associazione senza scopo di lucro di un centinaio di volontari, frequentata in totale dallo stesso numero di persone. L’organizzazione fornisce un aiuto gratuito che va dalla consulenza sulle procedure d’iscrizione fino alle lezioni di rinforzo, sia quando si cerca di accedere che quando si frequentano gli studi post-maturità e la formazione professionale. Fernando è responsabile delle lezioni di spagnolo (castigliano), dell’elaborazione dei progetti e delle relazioni istituzionali.
Le persone che contattano l’ente per un supporto possono riceverlo da alcuni dei volontari. Se invece non c’è nessuno con le competenze necessarie, l’organizzazione, che riceve finanziamenti sia pubblici che privati, paga un esperto esterno. Anche se non c’è una regola esplicita sul dover restituire l’aiuto ricevuto, finisce che nella maggior parte dei casi questo capiti o quando i partecipanti iniziano a dare lezioni loro stessi o frequentando eventi delle associazioni.
«Azione affermativa»
L’esperienza di CampusRom è già stata replicata in altre regioni spagnole come l’Aragona, dove è stata creata una delegazione nel 2018 – lo stesso anno in cui Andrea ha iniziato a studiare matematica. Nonostante abbia fallito per pochi punti il suo esame di accesso all’università, è riuscita a iscriversi grazie a una misura di “azione affermativa” del governo catalano. Questa azione garantisce un posto riservato agli studenti gitani in ogni corso di laurea pubblico tenuto nella regione.
«All’inizio dell’università mi sentivo come una formica, avevo la sensazione che sarei scomparsa. Mi sentivo anche molto stigmatizzata per essere entrata con un aiuto (cioè l’azione affermativa). E avevo paura di relazionarmi con gli altri, che potessero scoprire che ero gitana, finché a poco a poco ho iniziato a fare amicizia», ricorda Andrea.
In quel periodo ha iniziato a ricevere lezioni di rinforzo in programmazione da CampusRom. Anche se alla fine ha superato l’esame, si è comunque resa conto che la matematica non era il sogno della sua vita ed è passata a psicologia, dove attualmente frequenta il terzo anno. Nella nuova specializzazione, non ha avuto bisogno dell’aiuto di CampusRom, così ha iniziato a dare lezioni lei stessa, proprio di matematica.
Se Andrea è stata la prima nel suo quartiere a studiare all’università, sua madre Ana Mari è la prima adulta a tentarne l’accesso. Dopo aver lasciato la scuola quando aveva 15 anni, ha lavorato come collaboratrice domestica finché non ha visto il supporto che sua figlia Andrea e anche suo figlio Yuri, 17 anni, hanno trovato nel Piano governativo e in CampusRom. Ha così deciso che anche lei avrebbe potuto riprendere a studiare. Ed è proprio quello che è impegnata a fare in un caldo pomeriggio di metà aprile 2022, nello stesso spazio di studio che condivide con Andrea. Nella piccola stanza, due sedie girevoli nere e identiche si affacciano su una parete decorata con foto, disegni e appunti. In un angolo, un poster mostra la storia della giornata internazionale del popolo rom che si tiene ogni anno l’8 aprile. Dall’altra parte dello schermo, collegato tramite zoom, un insegnante volontario la sta aiutando a preparare la Guerra fredda per la parte di storia dell’esame di accesso. Ana Mari spera che questo le permetta di iscriversi a Pedagogia e di diventare un giorno la pedagogista scolastica che sogna di essere.
Alla domanda su cosa significhi CampusRom per lei, Andrea risponde senza esitazione: «Il supporto familiare che altrimenti non avremmo: poter chiamare qualcuno e dire “guarda, domani ho un esame”, oppure “sto facendo domanda per una borsa di studio e non ho idea di come si faccia, puoi aiutarmi?” ed essere sicura che ci saranno per te». Le cifre che l’organizzazione fornisce, estratte dai sondaggi fatti ai partecipanti, sembrano provare che il sistema funziona: nel 2021 su una cinquantina di studenti universitari frequentanti, il 75 per cento ha superato i corsi con più dell’80 per cento dei crediti completati.
Tuttavia l’iniziativa è lontana dalla perfezione: le sue risorse umane e finanziarie sono limitate e, come sottolinea Fernando Macías, non è in grado di fornire un aiuto adeguato a tutte le richieste che riceve. Dato che gli esami di accesso all’università variano da una regione all’altra, e avendo esperienza solo in Catalogna e Aragona, non sono in grado di aiutare gli studenti di altre regioni. «Avremmo bisogno di più competenze o di avere più persone da altre zone per fare una migliore consulenza», spiega Fernando.
Discriminazioni di genere
L’aria profuma di fiori d’arancio e di escrementi. Nel ranch familiare Hípica Herederos de Santiago, nella periferia di Cambrils, Tarragona, un cavallo muove le zampe su e giù in quella che sembra una danza, apparentemente ispirato dalla melodia del flamenco che suona. Ed è proprio così che i proprietari la chiamano, “danza”, spiegando che è tipica della comunità gitana, storicamente dedita al commercio dei cavalli. Loli Santiago, co-presidente di CampusRom, batte le mani al ritmo della musica. È una donna di 46 anni, minuta e dai capelli ricci, già nonna di una bambina di sette mesi. È l’unica donna di cinque figli di un commerciante di cavalli che hanno rivolto la propria attività al dressage equino.
«Fin da bambina ho sempre desiderato aiutare altre persone gitane a ricevere un’educazione, ed è quello che sto facendo ora», spiega Loli. Anche se il desiderio è sempre stato presente, solo quando ha compiuto 36 anni è stata finalmente in grado di ottenere un’istruzione. «Si può dire che sono una delle prime azioni di CampusRom», sottolinea sorridendo. Prima di scoprire l’organizzazione, Loli aveva già provato a riprendere gli studi, che aveva abbandonato a 14 anni, iscrivendosi a un corso in integrazione sociale. Tuttavia, spiega, si sentiva demotivata ed estremamente a disagio per i commenti anti-gitani che dice di aver sentito in classe. A volte anche dai professori, e per lo più legati al fatto che fossero tutti ladri o che non volessero lavorare.
Poi Loli ha incontrato Fernando, che nel 2016 l’ha spinta a proseguire e iscriversi all’università. Successivamente, ha beneficiato di CampusRom, nato quello stesso anno, per un aiuto nel corso dei suoi studi universitari. Con una laurea in lavoro sociale, Loli è oggi l’unica persona della sua famiglia allargata di 80 persone ad avere un’istruzione universitaria. Oltre ad essere la co-presidente dell’ente, è anche la coordinatrice dei corsi di inglese, e lavora come operatrice di comunità fornendo aiuto e mediazione tra gli studenti gitani, le loro famiglie e la scuola, in diversi centri primari e secondari della zona. Loli considera CampusRom un pilastro importante nella sua vita: «È come un sogno che si è realizzato».
Le donne sono solo un terzo del totale delle persone che partecipano a CampusRom. «Dalla mia esperienza è tre volte più difficile per le donne combinare studi, lavoro, casa e figli. Forse anche per questo è più complicato, per noi, partecipare a spazi come CampusRom», sottolinea Ana Mari. Ecco perché Loli ha creato un gruppo femminile per l’uguaglianza di genere. Tutte le 25 donne dell’ente fanno parte di questo gruppo non misto dove possono condividere dubbi e sfide che stanno affrontando, in modo che le loro esigenze siano poi prese in considerazione nelle azioni dell’organizzazione. L’organizzazione ha anche messo in atto un piano di uguaglianza che elenca le misure interne per raggiungere la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini.
«Fino a poco tempo fa era molto raro che un gruppo di donne rom si riunisse per parlare di studi universitari, e questo è molto stimolante», racconta Loli seduta al tavolo del salotto di famiglia. Qui, ha preparato tutti i suoi esami e siede circondata da un’impressionante collezione di trofei di corse e quadri di cavalli.
«Nel caso delle donne, oltre alla povertà e all’antigitanismo con cui si confrontano tutti i rom, c’è anche una discriminazione di genere sia all’esterno che all’interno della comunità, per cui si potrebbe essere indotte a capire che la sfera a noi riservata è quella domestica», nota María del Carmen Filigrana, psicologa rom e coordinatrice della federazione di associazioni di donne rom Fakali.
María del Carmen Filigrana ha anche co-fondato l’associazione Amuradi nel 2001 (appartenente alla federazione Fakali), la prima associazione di studentesse universitarie solo rom del paese. Filigrana sottolinea: «Il popolo gitano ha la preziosa abitudine di vivere in modo comunitario. Come donne siamo abituate a mischiarci con le nostre cugine, sorelle, zie e questo ci dà un sentimento di collettività che ci potenzia e ci rende più forti. Abbiamo persino una parola per questo, phenjalipe, la sorellanza rom, che pratichiamo da secoli per sopravvivere. Anche questi movimenti universitari si basano e hanno molto a che fare con la forza del fare insieme e per il nostro popolo».
Nonostante le sfide, la tendenza generale spagnola di un numero maggiore di donne rispetto agli uomini che si iscrivono all’università sarà probabilmente vera in futuro anche per le donne rom, almeno secondo le ricerche effettuate in progetti come “I rom nelle università spagnole, sfide e azioni per superarle” (UNIROMA, del Ministero dell’Economia spagnolo). Ainhoa Flecha, la principale ricercatrice del progetto, sottolinea la rilevanza di iniziative come CampusRom: “Soprattutto per gli studenti con meno mentori e modelli è fondamentale condividere esperienze, dubbi, sentimenti in una rete che possa sostenerti, incoraggiarti, orientarti, e questa è una necessità che abbiamo riscontrato spesso nel nostro studio”.
Per persone come Andrea, la formazione e la conoscenza hanno avuto un valore simbolico aggiunto: «Avendo studiato mi sento più gitana di prima perché ora se le persone mi dicono “non sei abbastanza brava, questo non fa per te”, posso rispondere loro», dice. «C’è la necessità di dimostrare il doppio degli altri e forse, per le donne che ce la fanno, il fatto di studiare e avere una carriera professionale è visto come una forma di giustizia sociale per tutta la loro famiglia e comunità», sottolinea María del Carmen Filigrana.
Cambiare tutto il sistema
Tutte le fonti consultate per questa storia assicurano che garantire agli studenti gitani pari opportunità in Spagna e altrove è una sfida che richiede il coinvolgimento di tutto il sistema educativo. Sono fondamentali una serie di elementi che vanno da maggiori risorse e formazione per tutte le istituzioni legate all’istruzione fino alla necessità di includere le persone rom e le loro organizzazioni nell’elaborazione e attuazione delle politiche. Tra i cambiamenti necessari, Fernando sottolinea la necessità di una legislazione specifica sull’antigitanismo. Una legge completa sulla parità di trattamento e la non discriminazione è arrivata questa primavera in discussione alla Camera dei Deputati, per includere per la prima volta nel codice penale spagnolo, la discriminazione razziale verso i rom come una forma specifica di crimine d’odio e come circostanza aggravante per qualsiasi reato.
La sera di primavera a Gavà volge al termine. Sedute una a fianco all’altra, Andrea e sua mamma Ana Mari spiegano che questi sono tempi molto impegnativi per loro. Da quando hanno deciso di studiare, sono apparse interessanti opportunità di lavoro per entrambe, e si stanno destreggiando per combinarle con i loro studi: Andrea lavora come tecnico del lavoro sociale all’interno del Piano Integrato per i rom del governo catalano e Ana Mari come operatrice di comunità (come Loli), in una scuola superiore di Sant Cosme, uno dei quartieri gitani più segregati della zona di Barcellona. Entrambe amano il loro lavoro e hanno sogni chiari sul loro futuro. Andrea spera di fare un dottorato in psicologia dell’educazione per aiutare il successo accademico di chi fa parte di un gruppo minoritario: «Mi piacerebbe un giorno andare a fare un discorso nelle scuole e trovarci insegnanti gitani. Siamo in tanti in Spagna, perché non possiamo essere anche lì?».
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