Alla base della Ue vi è l’ambizione di coniugare «alti livelli di integrazione economica e di sviluppo umano con bassi livelli di disuguaglianza». Questa è la premessa valoriale dalla quale procede il Draghi Report
Un anno fa, la Commissione europea ha chiesto a Mario Draghi di redigere un rapporto su come l’Unione dovrebbe mantenere la sua economia ecologica e digitale competitiva in un tempo, come il nostro, di tensioni globali.
Il documento presentato al parlamento europeo merita un’attenta lettura, libera da pregiudizi. Si tratta di uno sforzo notevole verso l’integrazione socio-economica e normativa del continente. E anche di una risposta forte ai sovranismi, incalzati e messi alle strette. Come rispondono i governi di destra alle sfide globali di fronte alle quali si trovano i paesi europei? Che cosa propone il governo italiano quando promette di considerare gli interessi nazionali prima di tutto?
Dando notizia del “Draghi Report” su “The Future of European Competitiveness”, l’agenzia Reuters ne chiarisce l’obiettivo: l’Unione europea ha bisogno di una politica industriale molto più coordinata, di decisioni più rapide e di investimenti massicci, se vuole tenere il passo economico con i rivali Stati Uniti e Cina. L’Europa ha le basi per essere un’economia altamente competitiva anche se non le ha ancora sfruttate in pieno.
Queste basi sono il combinato di un’economia aperta (una vocazione alla concorrenza di mercato), un quadro giuridico regolatore forte, e politiche attive per combattere la povertà e ridistribuire la ricchezza. Un modello liberale ma non liberista, anche se fino a ora abbiamo visto più la dimensione concorrenziale che quella sociale e cooperativa (con l’eccezione della risposta al Covid con il Recovery Fund).
Alla base della Ue vi è l’ambizione di coniugare «alti livelli di integrazione economica e di sviluppo umano con bassi livelli di disuguaglianza». Questa è la premessa valoriale dalla quale procede il Draghi Report.
La sfida che ha davanti a sé l’Europa è stretta tra innovazione e contenimento della disuguaglianza, con l’ambizione di tenere insieme questi due obiettivi. Contrariamente alla recente storia degli Stati Uniti (se si esclude la parentesi del governo Biden) e a quella dei paesi dell’America latina. E diversamente dai paesi autoritari, per i quali questi obiettivi non passano attraverso la libertà politica.
La Ue si propone come modello alternativo alla Cina ma diverso dagli Stati Uniti. Rispetto a questi ultimi, anzi, può fungere da apripista, poiché negli Stati Uniti la lunga stagione del neoliberalismo sta volgendo al termine (che la nuova fase sia guidata da un governo progressista o da uno protezionista farà una grande differenza per gli stessi destini europei).
Il rapporto Draghi individua tre condizioni esterne – commercio, energia e difesa – che hanno sostenuto la crescita in Europa dopo la fine della Guerra fredda e che sono venute meno nell’era del globalismo selvaggio. Le questioni climatiche e di sicurezza richiedono quel che la Ue ha nel suo dna: protagonismo nel commercio mondiale e nella definizione delle regole multilaterali.
Anu Bradford ha definito «l’effetto Bruxelles» come un «enorme potere unilaterale di regolare i mercati globali». Senza ricorrere alle istituzioni internazionali o appellarsi alla volontà di cooperazione di altri popoli, «la Ue ha dimostrato di poter plasmare l’ambiente del mercato globale per guidare una forte europeizzazione in molti importanti settori».
Con queste potenzialità l’Europa si trova ora ad affrontare tre grandi trasformazioni: la necessità di accelerare l’innovazione e di trovare nuovi motori di crescita; la riduzione dei prezzi elevati dell’energia continuando a decarbonizzare e a passare a un’economia circolare; la reazione a un mondo meno stabile con un sistema autonomo di sicurezza. Il rapporto Draghi mostra quanto centrale sia l’interconnessione e quanto anacronistiche e povere di futuro siano le ideologie sovraniste e protezioniste che rifiutano la responsabilità dei singoli Stati di fronte a un fatto che, come ha dimostrato il Covid, chiama responsabilmente in causa tutti.
Il clima e la salute sono «sfide condivise» dalle singole sovranità e, quindi, «binarie», per cui o tutti i Paesi raggiungono obiettivi comuni o nessuno. La sovranità e la democrazia hanno qui la loro frontiera.
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