- La Lega potrebbe mai entrare nella famiglia dei popolari europei? A tre condizioni. Prima di farle, le cose, bisogna pensarle, ed è a questo che servono i think tank e gli ex premier.
- Mikuláš Dzurinda ha governato la Slovacchia dal 1998 al 2006. Con la sua guida Bratislava è entrata nella Nato e nell’Ue. «Ieri ho incontrato l’amico Romano Prodi; era in Commissione quando siamo entrati nell’Ue».
- Dzurinda ora presiede il Wilfried Martens centre, il think tank ufficiale del Ppe. In questa intervista racconta l’uscita di Viktor Orbán dal Ppe, la nuova fase che i popolari attraversano. E detta le sue condizioni per un ingresso della Lega nella famiglia politica.
La Lega potrebbe mai entrare nella famiglia dei popolari europei? A tre condizioni. Prima di farle, le cose, bisogna pensarle, ed è a questo che servono i think tank e gli ex premier. Mikuláš Dzurinda ha governato la Slovacchia dal 1998 al 2006, ma soprattutto è con la sua guida che Bratislava è entrata sia nella Nato sia nell’Unione europea. «Ieri qui a Roma ho incontrato l’amico Romano Prodi, che era nella Commissione europea quando siamo entrati nell’Ue», dice Dzurinda, che adesso non ha ruoli di governo nazionali ma in compenso tira le fila in Europa. Presiede il Wilfried Martens centre for European studies, e cioè il think tank ufficiale del Partito popolare europeo. «Ispiriamo le idee perché diventino azioni», è lo slogan del centro studi.
Per negoziare
«Non conosco Matteo Salvini di persona, l’ho solo incrociato in un paio di occasioni a Bruxelles. Per rispondere alla sua domanda, se cioè sarebbe compatibile con noi popolari, avrei anzitutto bisogno di fiutarlo, di capire se è un interlocutore attendibile», dice l’ex premier. «Ma lascerei da parte l’ideologia e gli chiederei tre cose». E quali? «La prima è se sarebbe disposto ad accettare un cambio delle dinamiche decisionali nell’Unione europea, passando dall’unanimità alla maggioranza qualificata». Fosse per Dzurinda, in Ue si dovrebbe procedere sempre a maggioranza, ma su esteri e difesa la svolta è d’obbligo. La difesa comune è tra le priorità, e infatti la seconda condizione è: «La Lega voterebbe a favore di un esercito europeo?». Terzo punto: «Riforme economiche sostanziali». Qui la determinazione sfuma, perché l’ex premier sa che «non sta a me indicare a Roma la ricetta», ma lui che nel suo paese adottò flat tax e una serie di misure neoliberiste sogna «riforma fiscale e pensionistica». Non è che Dzurinda sia arrivato al tavolo di questo ristorante nel centro di Roma per aprire le porte alla Lega, sia chiaro. Ma il suo presupposto è che quasi niente è impossibile da trasformare. «Prenda Alexis Tsipras, nel giro di poco è passato da contestatore dell’austerity a colui che ha praticato tagli di spesa». Dzurinda sa cosa voglia dire piegare una situazione sconveniente a proprio favore: «Quando divenni premier, tutti i paesi dell’Europa dell’Est vicino a noi erano nella Nato, mentre la Slovacchia rimaneva isolata. Al governo, l’ho portata dentro l’alleanza atlantica, dentro l’Ue, e ho fatto drastiche riforme economiche. All’epoca c’era chi mi diede del traditore».
Ricollocamento
Mikuláš Dzurinda nel tempo libero si allena per la maratona. «In Slovacchia abbiamo una delle maratone più antiche in assoluto», dice lui, che beve solo acqua minerale e si tiene leggero con un’orata. Rimanere agili è importante, soprattutto da quando il suo compagno di cene è diventato un «burden», un fardello. Il «problema» è il premier ungherese Viktor Orbán, che ormai è fuori dal Ppe e non solo lavora a una nuova iniziativa politica ultraconservatrice, ma fuori dalla famiglia popolare sta dando vita anche ai suoi think tank e fondazioni culturali a Budapest; le sue versioni del Martens, insomma. «Conosco molto bene Viktor, siamo stati eletti entrambi la prima volta nel 1998, eravamo vecchi amici, sa? Le cene con le reciproche mogli». Poi però «quella sua incredibile, determinata sete di potere» lo ha reso un problema per i popolari. «Ha capito che dopo averlo sospeso lo avrebbero anche espulso il giorno in cui Markus Söder, il leader della Csu, ha detto che Orbán non faceva parte dei popolari». E a quel punto ha preferito andarsene. Ora la sfida del presidente del think tank del Ppe è di non rincorrere il suo ex omologo ungherese nel campo degli scontri su diritti lgbt, religione e così via. «Io, politico cristianodemocratico, vado in chiesa, ma mia moglie no. Su questi temi ogni nazione deve decidere per sé». Per lui, la vera battaglia da fare su dimensione europea è quella per la difesa comune. Ed è anche su questo, infatti, che metterebbe alla prova la Lega.
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