Come insegnano i precedenti cicli di allargamento dell’Ue, le politiche di coesione sono state cruciali per l’integrazione europea. L’aggressione russa dell’Ucraina ha reso le nuove adesioni una «scelta strategica» per la Commissione europea, ma ha imposto anche una riflessione su come ripensare le politiche di coesione. Come cambierà la distribuzione dei fondi? Quali effetti per l’Italia? La lezione del 2004 e le riflessioni di Fitto
La politica di coesione europea è nata per ridurre i divari tra i paesi europei, oltre che al loro interno. La spinta all’allargamento dell’Unione europea impone un dibattito su come ripensare questa politica in vista di una rimodulazione dei fondi che avrà effetti anche per l’Italia.
Basti pensare che il ciclo di allargamento del 2004 ha portato all’ingresso della Polonia, la quale è diventata il principale beneficiario dei fondi di coesione: la lezione di vent’anni fa suggerisce sia che le politiche di coesione hanno svolto un ruolo cruciale a beneficio dell’integrazione dei paesi di nuovo ingresso e di tutta l’Unione, sia che il sistema può reggere un grande allargamento a patto che si aumentino i fondi previsti.
Con l’entrata in carica della nuova commissione guidata da Ursula von der Leyen, il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto – che ha la delega alla coesione – dovrà gestire proprio questa trasformazione; il tema è tra le priorità, come è emerso nella stessa audizione di Fitto.
La spinta all’allargamento
La prima Commissione von der Leyen ha rimesso al centro delle priorità europee i dieci paesi sulla via dell’adesione, facendo passi avanti verso l’inclusione dei Balcani occidentali (tra cui Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia del Nord) e dei paesi del versante est (Ucraina, Moldavia e Georgia). L’attacco russo all’Ucraina ha reso del resto l’allargamento del blocco Ue «una scelta strategica» – come la ha definita l’alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell – dando così nuovo slancio al processo di adesione.
A metà ottobre si sono aperti i negoziati con l’Albania, mentre Ucraina e Moldavia hanno tenuto a giugno la prima conferenza intergovernativa che dà il via ai negoziati. Una tappa raggiunta anche dalla Macedonia del Nord e sempre più vicina per la Bosnia-Erzegovina, con cui lo scorso marzo il Consiglio europeo ha deciso di aprire le trattative. Più avanti è invece il Montenegro, che ha già soddisfatto i parametri intermedi per i capitoli sullo stato di diritto.
Le dimensioni della torta
Se entrano nuovi stati socialmente ed economicamente fragili, la quota di fondi diminuirà per i paesi grandi beneficiari, come Polonia e Italia. A mettere in guardia su opportunità e sfide poste dall’ingresso di nuovi stati è il gruppo di alto livello voluto dalla Commissione per fornire indicazioni sul futuro della coesione.
«Questi paesi hanno un Pil pro capite inferiore a quello della Bulgaria, che è lo stato membro meno sviluppato dell’Ue a 27», evidenzia la relazione finale. Ad esempio il Montenegro, il più avanzato tra i candidati, ha un Pil pro capite pari solo al 50 per cento della media europea e anche la disuguaglianza territoriale interna è diffusa nei potenziali stati membri: prima dell’invasione russa della Crimea, nel 2014, le disparità interne in Ucraina superavano quelle dell’Ue nel suo complesso.
Uno studio interno dell’Ue (i cui esiti sono stati divulgati da Euractiv) ha stimato l’impatto che una potenziale adesione avrebbe sui fondi europei. Per quanto riguarda la politica agricola comune, già da sola l’Ucraina – per la sua dimensione e per la grandezza del suo settore agricolo – otterrebbe circa un quarto della Pac (la Politica agricola comune). E rispetto alla politica di coesione, all’Ucraina andrebbero fino a 61 miliardi di euro in sette anni, lasciando meno fondi per gli altri paesi.
Prima e dopo l’allargamento
Nel corso della sua storia, l’Unione europea ha avuto sette cicli di allargamento. Particolarmente importante è stato il quinto, nel 2004: ha portato all’ingresso di dieci paesi dell’Europa centrale, tra cui Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria.
Che effetti ha prodotto questa grande ondata di allargamento? Per scoprirlo e trarre informazioni utili per leggere il futuro va considerato il passaggio dal ciclo di programmazione 2000-2006 al periodo 2007-2013, segnato dall’ingresso pure di Bulgaria e Romania.
I maggiori timori interessavano le regioni appartenenti all’Obiettivo 1 dell’Ue a quindici (che riguarda l’adeguamento strutturale delle aree con ritardi nello sviluppo): si temeva la perdita di grossi contributi, dato che l’ingresso dei nuovi membri avrebbe implicato una riduzione del Pil pro capite dell’Ue, il parametro soglia per la ripartizione delle risorse. E così in effetti, in buona parte, è stato.
Nel ciclo 2007-2013 ingenti fondi sono finiti ai nuovi entrati, soprattutto a Polonia (67 miliardi) e Repubblica Ceca (26,5 miliardi).
A rimetterci sono stati i grandi beneficiari precedenti: l’Italia è passata da 28,4 a 27,9 miliardi (dal 15,5 all’8 per cento dei fondi) e la Spagna da 43,9 a 34,6 miliardi. Le percentuali sono calate di molto e i soldi di poco, ma solo perché sono cresciute le risorse disponibili (passate da 213 a 348 miliardi di euro). Come si intuisce, il sistema può reggere un grande allargamento a patto che si aumentino i fondi previsti.
Coesione = integrazione
I dati mostrano poi che questi fondi, uniti agli investimenti pre adesione, sono stati fondamentali per preparare gli stati dell’Europa centrale e orientale al balzo economico sperimentato dopo l’allargamento. Vent’anni dopo, il Pil medio pro capite di quei paesi è passato dal 52 per cento della media Ue nel 2004 all’80 per cento nel 2023. E i tassi di disoccupazione sono calati da una media del 13 al 4 per cento.
Polonia, Slovacchia e Lettonia sono cresciute di oltre il 7 per cento.
Significativo è soprattutto il caso della Polonia – paese molto popoloso ma ancora sottosviluppato nelle aree interne – che è il primo beneficiario dei fondi di coesione (il bilancio 2021-2027 le assegna oltre 75 miliardi) e tra gli stati più veloci a usare i fondi. Si calcola che il contributo dei fondi europei al Pil polacco, negli ultimi dieci anni, sia stato circa dell’1 per cento, senza contare le ricadute sull’intera economia.
Ma il report del gruppo di alto livello dice anche che l’integrazione ha portato benefici a tutta l’Unione. Perché se è vero che è calata la percentuale di fondi per ciascun paese, vantaggi sono arrivati per altre vie e anche l’Ue dei quindici ha goduto di un forte impulso interno. Per fare un esempio, le esportazioni spagnole verso i nuovi paesi sono raddoppiate, mentre gli scambi commerciali dell’Italia sono aumentati del 77 per cento.
Le prospettive future
Quali sono le prospettive per il futuro e quale la via da seguire? Nel pacchetto annuale sull’allargamento, la Commissione ricorda che l’Ue sta fornendo assistenza finanziaria per consentire ai paesi partner di radicarsi gradualmente nell’Unione e invita a proseguire su questa strada. Un percorso che comprende il piano di crescita per i Balcani occidentali – con 6 miliardi destinati alla crescita economica – e lo strumento per l’Ucraina, che mette sul tavolo 50 miliardi per favorire le riforme, con focus su giustizia e stato di diritto.
Nella sua audizione di conferma anche Raffaele Fitto, prossimo vicepresidente esecutivo con delega a coesione e riforme, ha fatto presente che i divari vanno subito ridotti rafforzando l’intervento Ue nelle aree al confine est, con fondi per la cooperazione tra le istituzioni europee e i nuovi aspiranti membri.
La sua attenzione va anzitutto a iniziative di carattere transfrontaliero per dare sostegno alle regioni frontaliere orientali più colpite dalla guerra in Ucraina. Fitto ha ricordato che dopo l’invasione russa le risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale assegnate ai programmi Interreg con Russia e Bielorussia sono state dirottate ai piani interni di cooperazione transfrontaliera, per un importo di 150 milioni. E altri 135 sono stati riassegnati a programmi analoghi con Ucraina e Moldavia.
«Ma la risposta dell’Europa deve essere più forte – ha detto l’ex ministro italiano – Per le regioni confinanti con l’Ucraina gli sforzi devono concentrarsi a tutti i livelli, dai trasporti alle comunicazioni digitali».
Negli ultimi mesi si sono fatte sentire anche altre voci, per cui serve una riforma complessiva del sistema che permetta di aumentare i finanziamenti. È quanto si legge nel report sullo stato delle regioni e delle città, presentato a ottobre. Sulla stessa linea è il parere del gruppo di esperti, per cui «i fondi aggiuntivi vanno investiti soprattutto al confine con i paesi candidati». Se così sarà, gli stati membri saranno chiamati a maggiori contributi per il bilancio comune. «Un aspetto che sarà oggetto delle revisioni strategiche pre-allargamento che la Commissione farà nel 2025», ha detto Fitto.
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