L’attacco del governo Meloni alla libertà dei media è entrato in una nuova fase: la prima si è concretizzata nell’attacco alle testate indipendenti, ai giornalisti e al servizio pubblico. È già stata certificata da molteplici report, federazioni dei giornalisti, centri per il pluralismo, associazioni per la libertà di stampa.

La seconda fase è in corso d’opera: consiste nel presentare le vittime degli attacchi come aggressori. L’operazione si basa su false premesse e informazioni fuorvianti diffuse anche dalla stessa premier, e prosegue con un attacco multiplo a specifici giornalisti e testate, gli stessi che hanno già subìto attacchi dal governo. Una costruzione di nemici e di bersagli in puro stile orbaniano. 

Le «fake news» di Meloni

Dopo la pubblicazione da parte della Commissione europea del report annuale sullo stato di diritto, Meloni ha scritto a von der Leyen parlando di «attacchi maldestri e pretestuosi che possono avere presa solo nel desolante contesto di ricorrente utilizzo di fake news che sempre più inquina il dibattito in Europa». «Dispiace che neppure la relazione della Commissione sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione».

Dalla Cina la premier è tornata sul tema: in quella lettera a von der Leyen «ho condiviso una riflessione comune sulla strumentalizzazione che è stata fatta di un documento tecnico, nel quale gli accenti critici non sono della Commissione europea, che riporta accenti critici di portatori di interesse, e chi? Domani, il Fatto, Repubblica...».

Falso. La relazione sullo stato di diritto non riporta «accenti critici» di «Domani, il Fatto, Repubblica». E non è vero che gli appunti critici arrivano solo da «portatori di interesse» ovvero da operatori dell’informazione.

Anzitutto, la relazione sullo stato di diritto si basa su dossier che certificano lo stato del pluralismo nei vari paesi, e in particolare sul Monitor sul pluralismo prodotto ogni anno dal Centre for Media Pluralism and Media Freedom: il monitor informa la Commissione europea e fa da punto di riferimento fondamentale per stilare la sezione del “rule of law report” che riguarda la libertà dei media. Certifica lo stato del pluralismo della Rai, eventuali casi di concentrazione e conflitti di interesse, ma non è certo scritto basandosi su «Domani, il Fatto, Repubblica». 

A livello europeo per «stakeholder» – che Meloni traduce in italiano con «portatori di interesse» – si intendono gli attori coinvolti. Dunque in tema di libertà dei media si può trattare ad esempio delle federazioni dei giornalisti (Fnsi, Efj), che rappresentano i giornalisti e quindi riferiscono di eventuali attacchi.

La vicepresidente della Commissione europea Věra Jourová, che si occupa di stato di diritto, viaggia personalmente negli stati membri per lavorare alla relazione sulla rule of law. E dopo la pubblicazione del rapporto è stata Jourova stessa, il 24 luglio, a dire a chiare lettere che Bruxelles è «preoccupata» riguardo al tema dell’indipendenza del servizio pubblico.

«Abbiamo due raccomandazioni per l’Italia, e una nuova riguarda proprio l’indipendenza del servizio pubblico», ha detto Jourová. Inoltre c’è il tema dell’«aumento di intimidazioni per via legale, fatte anche dai politici stessi, nonostante l’Ue abbia pure adottato una legge anti querele bavaglio, e nonostante avessimo già raccomandato di prevenire l’uso abusivo delle querele contro i giornalisti».

La commissaria Ue, madrina dello European Media Freedom Act e della legge europea anti slapp (querele bavaglio), aveva già in precedenza avvertito sulla «tendenza negativa» per i media in Italia. 

Il doppio attacco ai media

Insomma che la libertà dei media in Italia sia sotto attacco non è «fake news» ma un dato di fatto riscontrabile su più versanti: c’è l’aumento delle allerte depositate sulla piattaforma del Consiglio d’Europa, ci sono i dati sull’impennata di attacchi per via legale contro i giornalisti, c’è il World Press Freedom Index 2024 di Reporters sans frontières che mostra che l’Italia è retrocessa di 5 posizioni finendo nelle «zone problematiche» assieme all’Ungheria, c’è il Monitor sul pluralismo che attesta come l’Italia sia passata dalla fascia a rischio basso a quella a rischio medio in un settore cruciale come quello della cosiddetta «protezione fondamentale», e così via.

Tutti questi documenti non sono prodotti da o con specifiche testate e giornalisti, ma certificano semmai attacchi contro di loro. Alcuni di questi report fanno riferimento a Rai, Agi e Domani. Il riferimento di Meloni – «accenti critici di portatori di interesse, e chi? Domani, il Fatto, Repubblica...» – fa parte della sua operazione di costruzione del nemico e di delegittimazione dell’operato giornalistico.

L’operazione trova un corollario nell’attacco condotto in queste ore da testate come Libero e il Giornale. Quest’ultimo titola «i giornalisti anti-Meloni dietro il report europeo», mettendo in pagina una foto del collega Nello Trocchia e pubblicando una lista di nomi, tra i quali la sottoscritta, Ilario Lombardo della Stampa, Matteo Pucciarelli di Repubblica, Martina Castigliani del Fatto. «Cronisti di Repubblica, Stampa, Fatto e Domani hanno dipinto l’Italia come un paese autoritario», recita il testo dell’articolo.

Che prosegue: «Alla stesura dell’atto di accusa di 26 pagine hanno collaborato, in qualità di stakeholders, alcuni giornalisti italiani. Tra i cronisti che hanno partecipato al lavoro che dipinge una svolta autoritaria del governo ci sono una serie di firme note per l’ostilità contro l’esecutivo». 

Una sorta di lista di proscrizione che viene ricavata dal rapporto di fine missione della Media Freedom Rapid Response, la quale non ha incontrato «firme note per l’ostilità all’esecutivo» ma giornalisti e testate che hanno subìto attacchi dall’esecutivo.

Si tratta di uno dei tanti incontri svolti durante la missione, che segue crismi istituzionali e trasparenti, e che proprio per questo in calce al suo rapporto ha notificato tutte le istituzioni, i parlamentari e i giornalisti incontrati. Non ci sono «le firme dietro al rapporto».

Peraltro il team avrebbe voluto incontrare anche il governo ed esponenti della maggioranza, come avviene sempre in questo genere di missioni; peccato che sia stata la maggioranza Meloni a essere indisponibile al dialogo.

Dopo essersi recata a metà maggio d’urgenza in Italia, la squadra speciale per il diritto di informare (composta da European Federation of Journalists, International Press Institute, European Centre for Press and Media Freedom, Article 19 Europe e Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa) ha pubblicato questo lunedì il suo rapporto ”Silencing the fourth estate: Italy’s democratic drift” (Silenziare il quarto stato: la democrazia in bilico in Italia) – da non confondersi col rapporto Ue sullo stato di diritto – rilevando una «intolleranza al dissenso» senza precedenti, citando gli attacchi contro Domani e seguendo criteri di professionalità e di indipendenza; è sulla base di questi criteri che la Commissione europea stessa finanzia il progetto per monitorare gli attacchi alla stampa. 

Eppure Libero dà una versione tutta sua: «Cronista di Repubblica fonte del dossier Ue anti Giorgia», titola riferendosi a Pucciarelli.

Così la libertà dei media viene attaccata due volte: prima con gli attacchi in sé, poi presentando le vittime come aggressori della patria. Resta valido il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: è l’attacco alla libera informazione a rappresentare una «eversione». 

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