- La incapacità europea di ricondurre prima Budapest e poi Varsavia al rispetto dello stato di diritto dipende dal fattore Germania. E quel fattore sta cambiando.
- Finora, con Merkel, la Germania ha optato per l’acquiescenza, e Bruxelles di conseguenza. «Così il problema non ha fatto che allargarsi», spiega l’eurodeputato verde tedesco Daniel Freund.
- Ora la presenza al governo, con l’Spd, di liberali e verdi, sostenitori della rule of law in sede Ue, crea una finestra di opportunità. L’accordo di coalizione contiene una sezione dedicata allo stato di diritto: alla Commissione si chiede efficacia, e niente soldi a Varsavia senza certezze sull’indipendenza dei giudici.
Persino i polacchi pensano che l’Ue sia troppo morbida col loro governo: quando si tratta di farsi rispettare, e di far rispettare lo stato di diritto, le istituzioni europee arrivano troppo tardi e sono troppo deboli. Secondo un sondaggio dell’istituto Isp è così che la pensa mezza Polonia, e anche una fetta di sostenitori del Pis, il partito di governo. Ma ora si apre un nuovo scenario. La incapacità europea di ricondurre prima Budapest e poi Varsavia al rispetto dei valori democratici e dell’equilibrio di poteri dipende dal fattore Germania. E quel fattore sta cambiando.
La svolta tedesca
L’opportunità è il nuovo patto di governo tedesco: assieme ai socialdemocratici, alla guida del paese entrano liberali e verdi, due forze che in sede Ue sono nette sostenitrici della rule of law. L’accordo di coalizione contiene non a caso una sezione dedicata allo stato di diritto in Europa. Finora, con la guida Merkel, la Germania, che ha a est imponenti interessi economici oltre che le sedi delle sue manifatture, ha optato per l’acquiescenza. «Così il problema non ha fatto che allargarsi», dice l’eurodeputato verde Daniel Freund. Questo 37enne nato ad Aquisgrana è uno dei più attivi fustigatori delle derive autocratiche. Federalista europeo convinto, e da questo mese anche presidente del gruppo Spinelli, pensa a una Europa unita e anche per questo sui diritti non transige. Non ha mai risparmiato critiche alla cancelliera uscente del suo paese: con la linea conciliante «ha consentito che il problema si allargasse: non abbiamo reagito adeguatamente con Orbán e ora vediamo cosa succede in Polonia, in Slovenia...».
L’Europa sul crinale
Ormai Varsavia, dopo aver proclamato il suo “sovranismo giuridico” e aver rinnegato alcune parti dei trattati europei, disconosce i diritti umani tout court. A ottobre la Corte costituzionale polacca aveva proclamato il primato del proprio ordinamento su quello dell’Unione europea, ora fa la stessa cosa con la Corte europea dei diritti dell’uomo; che non è una istituzione della Ue, ma sempre il rispetto dei diritti chiede. L’alta corte di Varsavia manda a dirle di non metter becco su questioni come l’indipendenza dei suoi giudici. In tale contesto Bruxelles ha alcune leve in mano, e nell’era Merkel non le ha usate appieno. Non a caso il nuovo accordo di coalizione tedesco chiede esplicitamente alla Commissione «di usare e far rispettare tutti gli strumenti a sua disposizione» per lo stato di diritto, compreso «il meccanismo di condizionalità». Approvato un anno fa, condiziona l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto. Ma c’è Merkel dietro l’accordo con Varsavia e Budapest per non innescare lo strumento almeno fino alle elezioni ungheresi di aprile. Stando a fonti riservate dell’Europarlamento, pare sia stata proprio Merkel, durante il suo ultimo consiglio europeo a ottobre, in piena crisi Polexit, a bloccare von der Leyen, tentata di attivarlo. Una settimana fa, di fronte alle pressioni e all’Europarlamento che vuol sfidarla presso la Corte di giustizia per inazione, la Commissione un’iniziativa l’ha presa, ma con l’effetto di un ennesimo rinvio. «Solo ora, 323 giorni dopo che il meccanismo è in vigore», nota la eurodeputata liberale ungherese Katalin Cseh, Bruxelles «ha spedito a Budapest e Varsavia lettere; non notifiche formali, ma richieste informali». Una presa in giro sia per Cseh, che per Freund, che parla di «tattiche dilatorie»: ora i due paesi avranno altri due mesi per rispondere. «Invece di agire in modo efficace la Commissione prende altro tempo».
Una scelta che cambia tutto
L’altro strumento di pressione politica in mano a Bruxelles è non concedere a Varsavia e Budapest neppure il primo via libera ai piani di Recovery nazionali, col rischio sempre più imminente che i due paesi rimangano tagliati fuori dall’anticipo del 13 per cento dei soldi del Recovery. Il gabinetto von der Leyen è tentato di dare il suo assenso, accontentandosi delle promesse, non dei fatti, sul ripristino dell’indipendenza della magistratura.
«Nell’accordo diciamo chiaramente che la Germania non approverà il piano di Recovery senza certezze, non promesse, sull’indipendenza dei giudici», dice Freund. Lui stesso sa che «per fermare in sede di Consiglio europeo un piano di Recovery serve una maggioranza qualificata, non bastano i frugali intransigenti, ci vogliono anche Italia, Spagna, Francia...». Ma per Luiza Bialasiewicz, che insegna governance europea all’università di Amsterdam, «la speranza in geopolitica conta: se Berlino cambia gli equilibri, questo può dar coraggio anche ad altri». Anche Roma quindi è avvisata.
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