- L’Unione europea ha adottato una politica climatica sovranista che prevede il raggiungimento della neutralità climatica al 2050 tramite l’adozione di politiche pianificate centralmente.
- Tale approccio comporterà costi di riduzione delle emissioni più alti di quelli possibili e, in alcuni casi, superiori ai benefici attesi.
- È paradossale che venga imposta la vendita di sole auto a emissioni zero e si continui a investire ingenti risorse nel trasporto ferroviario: al ridursi delle emissioni dei veicoli, il costo del “cambio modale” tende a infinito.
L’Unione europea ha adottato una politica climatica sovranista che prevede il raggiungimento della neutralità climatica al 2050 tramite l’adozione di politiche pianificate centralmente.
Tale approccio comporterà costi di riduzione delle emissioni più alti di quelli possibili e, in alcuni casi, superiori ai benefici attesi.
È paradossale che venga imposta la vendita di sole auto a emissioni zero e si continui a investire ingenti risorse nel trasporto ferroviario: al ridursi delle emissioni dei veicoli, il costo del “cambio modale” tende a infinito.
Scegliere l’obiettivo
Vi sono due approcci alternativi ai problemi ambientali. È possibile definire a priori un obiettivo e attuare tutte le misure necessarie per conseguirlo quale che sia il loro costo. Oppure, si può tenere conto degli oneri da sostenere e applicare solo i provvedimenti che presentano un bilancio favorevole tra benefici e costi.
Quello prescelto dalla Unione europea per il clima è il primo. Si è fissato un traguardo, la neutralità climatica al 2050, e a ritroso sono state definite le politiche che consentono di raggiungerlo.
Nell’ambito di questo processo, mercoledì scorso è stato presentato il pacchetto di interventi da adottare per portare dal 40 per cento al 55 per cento la riduzione delle emissioni al 2030. Qual è il beneficio ottenuto rendendo più stringente l’obiettivo? La Commissione non lo specifica ma, sulla base della minor quantità di anidride carbonica immessa in atmosfera, esso è stimabile in pochi millesimi di grado nel 2100.
Non ci dice la Commissione neppure quale sarà l’aumento di costo rispetto al percorso delineato in precedenza.
Una strategia rischiosa
Ma, per come è stato delineato, si può affermare che per alcune sue componenti il bilancio dal piano sarà negativo.
Ci riferiamo in particolare al settore dei trasporti. Una strategia che tiene automaticamente in considerazione costi e benefici è quella della carbon tax o, più in generale l’applicazione del principio, sostenuto dalla stessa Ue, del polluter pays: chi inquina di fa carico dei costi arrecati alla collettività.
Se una determinata attività genera un beneficio che è inferiore al danno provocato, con l’introduzione della tassa essa non sarà più effettuata. Viceversa, se il beneficio è maggiore continuerà ad essere svolta.
Penalizzare i trasporti
Ora, in Italia e in Europa, nel settore del trasporto stradale, la elevata fiscalità che grava sui carburanti è tale per cui, tranne poche eccezioni, le esternalità ambientali sono più che compensate.
Il prelievo attuale equivale a una carbon tax nell’ordine dei 300 euro per tonnellata di anidride carbonica emessa dalle auto diesel e a 400 euro per quelle a benzina a fronte di un danno per il clima che la Ue stima pari a 100 euro.
Dunque, nella situazione attuale in Europa (diverso è il caso degli Stati Uniti), per ogni tonnellata di anidride carbonica risparmiata la collettività subisce una perdita netta e il bilancio rimane negativo anche qualora si considerino gli altri impatti (inquinamento dell’aria e rumore). A ciò si aggiunga che, senza imposizione di altri vincoli o standard, il trasporto su gomma potrebbe essere immediatamente reso climaticamente neutro destinando alla riduzione delle emissioni in altri ambiti una quota delle entrate fiscali del settore.
Le alternative
Nel caso dell’Italia le emissioni complessive ammontano a poco meno di cento milioni di tonnellate per anno.
Se l’Europa non adottasse un approccio sovranista per le politiche climatiche, sarebbe ad esempio possibile finanziare la sostituzione di centrali elettriche a carbone in Asia con altre a gas: il costo unitario di questo tipo di intervento si attesta intorno ai 50 euro per tonnellata di anidride carbonica.
Le emissioni di auto e camion potrebbero dunque essere compensate con un costo complessivo di 5 miliardi all’anno, un decimo di quanto lo stato riceve da automobilisti e imprese di autotrasporto al netto dell’Iva.
Il passaggio all’elettrico ha costi che sono di almeno un ordine di grandezza superiori. Si tratta di una terapia che ha effetti collaterali più gravi di quelli positivi per il paziente.
Gli standard pesano
Analoga condizione si registra nel caso degli standard introdotti dalla Ue per la qualità dell’aria che, come noto, oggi non sono interamente soddisfatti dall’Italia ma che per esserlo comporterebbero costi che sono sproporzionati ai benefici: nel nord Italia non sarebbe sufficiente neppure vietare qualunque spostamento di auto e camion. C’è infine da segnalare una forte contraddizione interna delle politiche proposte da Bruxelles. Da un lato, si prevede che al 2035 tutte le auto siano a emissioni zero.
Dall’altro, si afferma che il trasporto ferroviario rivestirà un ruolo chiave per la decarbonizzazione e si prevede di destinare al settore altre centinaia di miliardi di risorse pubbliche nonostante il fallimento della politica di cambio modale perseguita da almeno un quarto di secolo.
Ora, se un’auto ha emissioni zero, il beneficio per il clima dello spostamento su ferrovia è nullo e il costo infinito.
Esito paradossale di un approccio che ignora gli inevitabili trade-off di ogni politica.
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