Fu Viktor Orbán a mettere il veto al pacchetto di ristoro europeo, pur di impedire che il rispetto dello stato di diritto diventasse una condizione per l’erogazione dei soldi. E adesso è Bruxelles a dire all’Ungheria che, se non cambia qualcosa nel suo sistema, quei soldi può scordarseli
- La Commissione bacchetta Budapest e tratteggia una lista di riforme per evitare che con i nuovi fondi continuino «le irregolarità»: riguardano il 4 per cento dei fondi, su una media europea dello 0,36.
- Orbán utilizza il denaro europeo per foraggiare il suo cerchio magico. Già un anno fa Bruxelles strigliò l’Ungheria. Rimase inascoltata. Ora che bisogna negoziare le bozze di Recovery plan, ci riprova.
- Chissà se saprà farsi valere: il braccio di ferro sullo stato di diritto ha mostrato ancora una volta che Orbán con Bruxelles (e prima ancora, con Berlino) trova sempre un compromesso.
Ci risiamo. Budapest e Bruxelles, anche se alla fine paiono trovare sempre una soluzione di compromesso, non smettono di schermagliare. Fu Viktor Orbán a mettere il veto al pacchetto di ristoro europeo, pur di impedire che il rispetto dello stato di diritto diventasse una condizione per l’erogazione dei soldi europei. E adesso è Bruxelles a dire all’Ungheria che se non cambia qualcosa nel suo sistema, quei soldi può pure scordarseli. Proprio oggi è filtrato un documento della Commissione europea in cui tratteggia - e pretende - una lista di riforme richieste all’Ungheria per evitare che anche con i nuovi fondi in arrivo continuino «le irregolarità». Di che si tratta?
Pecora nera
Visto che con il bilancio comune l’Unione europea elargisce fondi ai vari stati membri, esiste un apposito ufficio incaricato di verificare l’uso corretto di quel denaro. L’ufficio europeo per la lotta anti frode (Olaf) l’anno scorso ha pubblicato un dossier in cui relazionava sull’uso dei soldi tra il 2015 e il 2019. Bene, le irregolarità riscontrate nell’uso del denaro da parte di Budapest riguarda il 4 per cento dei fondi europei da lei spesi, mentre la media per uno stato membro si assesta sullo 0,36 per cento.
I pregressi
In realtà l’uso discutibile dei soldi comuni da parte di Orbán è stato portato in luce da autorevoli inchieste, che hanno pure messo in luce quando poco abbia fatto davvero Bruxelles per esigere un cambio di rotta. Nel 2019 Matt Apuzzo del New York Times ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale una faccenda che agli ungheresi era ben chiara da tempo: «Un gruppo di oligarchi e di politici influenti hanno acquisito terreni grazie ad accordi opachi con il governo ungherese. Hanno creato poi una versione moderna di sistema feudale, in cui chi è compiacente ottiene una paga a fine mese, gli altri vengono fatti fuori dal gioco economico. Questi latifondisti, o baroni terrieri, sono finanziati dall’Ue».
Il cerchio magico
Ciò a cui Apuzzo fa riferimento è il legame, che Orbán sta stringendo sempre di più, tra il suo “cerchio magico” e i gangli dell’economia e della società ungherese: nel caso dell’agricoltura, pochi latifondisti vicini al premier gestiscono ampi terreni, e i fondi europei vengono utilizzati dal governo per foraggiarli. Bruxelles ne è al corrente: per rimanere in tema di fondi agricoli, già sei anni fa un dossier istituzionale allertava su questo meccanismo di “land grabbing” l’accaparramento dei terreni in corso nell’Europa orientale. Problemi seri con l’utilizzo dei fondi sussistono anche in Repubblica Ceca, dove il premier Andrej Babis dirotta i soldi europei sul proprio impero agroalimentare.
Avvertimenti
Il documento odierno chiede trasparenza e accessibilità dei dati, e in sostanza striglia Budapest per le «irregolarità sistemiche che nel 2019 hanno portato alla più elevata rettifica finanziaria nella storia dei fondi strutturali europei». Ma oltre a bacchettare il governo ungherese, la Commissione chiede che vengano cambiate le attuali leggi sulle commesse pubbliche. Si tratta in particolare della “kozbeszerzési torvény”, cioè la norma sugli appalti pubblici. Stando a Bruxelles, non viene garantita una leale competizione.
I veti fragili
Tuttavia, al momento non risulta che la notizia sia stata accolta con particolari timori in Ungheria. La rilanciano alcuni siti indipendenti. La giornalista ungherese Katalin Halmai, che è corrispondente da Bruxelles, dice che «la Commissione e il Consiglio europeo avevano avanzato le stesse richieste già nelle raccomandazioni inviate al paese lo scorso anno». Ora che gli stati devono negoziare con l’esecutivo europeo le loro bozze di Recovery plan, Bruxelles ci riprova. E chissà se stavolta saprà farsi valere: il braccio di ferro sullo stato di diritto ha dimostrato ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che alla fine Orbán con Bruxelles (e prima ancora, con Berlino) trova sempre un compromesso.
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