Dopo aver messo fuori uso il gasdotto russo-tedesco a settembre 2022, il sabotaggio di Nord Stream 2 produce a due anni di distanza una ulteriore deflagrazione tutta interna all’Unione europea.

Il premier centrista polacco Donald Tusk aveva appena iniziato a riallacciare i rapporti con Olaf Scholz – raffreddati da anni di governo ultraconservatore Pis tutto spostato in direzione di Washington – quando le rivelazioni sul sabotaggio hanno minato pure quest’opera. Ora Tusk si ritrova a polemizzare pubblicamente con Berlino e a parare i colpi innescati dalle scelte dei suoi predecessori del Pis, tanto che il premier deve pattuire la strategia comune con Andrzej Duda in incontri riservatissimi a bordo nave.

All’indomani dell’attacco a Nord Stream 2, pure la presidente di Commissione Ue più filoamericana dei tempi recenti, Ursula von der Leyen, aveva definito «inaccettabile l’interruzione deliberata di infrastrutture energetiche europee». Il fatto che questa interruzione possa esser stata provocata non solo da alleati di Berlino, ma col coinvolgimento di uno stato membro Ue, è potenzialmente esplosivo, e anche per questo del tema si parla ancora così poco. Svezia e Danimarca hanno preferito chiudere le indagini.

Indagini e caso politico

A giugno 2023 il Washington Post ha scritto che l’intelligence Usa era a conoscenza dei piani ucraini per colpire il gasdotto, e in quel mese sono filtrate novità anche dalle indagini in corso in Germania: i sabotatori a bordo dello yacht Andromeda si sarebbero poi diretti in Polonia. All’epoca governava il Pis, e aveva liquidato come fake news l’ipotesi che la squadra subacquea autrice materiale del sabotaggio avesse base in Polonia.

Ma quest’estate la procura tedesca ha spiccato un mandato di arresto europeo per acciuffare il sommozzatore, e presunto esecutore, Volodymyr Zhuravlov, ucraino ma residente a Pruszków, Polonia. Nonostante il mandato risalisse al 21 giugno, il 6 luglio il ricercato era ormai fuori dal paese; Varsavia si è arroccata dietro presunti errori procedurali di Berlino, ma il casus belli ha riaperto le tensioni, con la stampa Usa a riferire che la Germania «si sente insultata», e quella polacca che rilanciava il parere di August Hanning; per l’ex capo dell’intelligence estera tedesca, il sabotaggio era avvenuto col sostegno polacco e l’ok di Zelensky e Duda.

Sabato scorso Tusk è intervenuto sulla faccenda via social: «Chi ha sostenuto Nord Stream dovrebbe solo chiedere scusa e starsene zitto». Come a dire: l’errore strategico era il gasdotto con la Russia, basta discussioni sul sabotaggio. Da notare la reazione di Mateusz Morawiecki, che era premier a settembre 2022, e che ha twittato un occhiolino dando a Tusk del «guerriero da tastiera»; un possibile livello di lettura è la rivendicazione che sia stato il Pis a seguire l’attacco vero. Fatto sta che l’attuale premier ha incontrato in via a dir poco riservata Duda (presidente sia ai tempi del sabotaggio che ora) a bordo di una nave a Tricity; i due ne sono usciti insolitamente affiatati, tanto che Duda poco dopo ha dato il via libera al nome scelto da Tusk per Bruxelles.

Tusk e la bussola di Varsavia

Mesi prima che la guerra in Ucraina deflagrasse, per le violazioni dello stato di diritto la Polonia era nei guai con l’Ue e rischiava un blocco dei fondi; così Duda aveva fatto leva sui rapporti con Washington (e su ingenti acquisti militari dagli Usa) per trovare nella Casa Bianca una sponda. L’operazione era riuscita, rafforzandosi dopo l’inizio della guerra, con Varsavia in assetto da falco filoatlantico.

Il nuovo governo continua a coltivare i rapporti con Washington (e l’attuale ministro degli Esteri Radosław Sikorski è lo stesso che dopo il sabotaggio twittò: «Grazie Usa»). Ma l’europeista Tusk – accusato dal Pis di svendere il paese alla Germania – intendeva riavvicinare Varsavia all’Ue e a Berlino, pur senza rompere con gli Usa. Non a caso è stato rispolverato il formato Weimar (Francia, Germania, Polonia) e a luglio i governi polacco e tedesco erano tornati a negoziare, dopo anni, a Varsavia. L’attacco all’«infrastruttura europea», come lo definì von der Leyen, non ha effetti solo energetici. Ci sono quelli politici, tuttora.

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