- Da tre anni Fridays for future ha portato nel dibattito pubblico tedesco il cambiamento climatico. L’effetto sulla società è stato di portata ampissima, ma il movimento non si sente ancora preso sul serio dalla politica.
- In occasione del voto il movimento riconosce che nonostante tutti gli sforzi nessun partito abbia incluso nel proprio programma misure efficaci nella limitazione del riscaldamento globale a un grado e mezzo.
- La speranza del movimento, di cui ormai fanno parte anche frange piuttosto radicali, è che dopo le elezioni la pressione della piazza contribuisca a far cambiare linea alla prossima coalizione di governo.
Quando stasera usciranno i risultati delle elezioni, Hannah Pirot sarà alla festa del comitato promotore del referendum per l’esproprio di Deutsche Wohnen, l’azienda immobiliare che possiede gran parte degli appartamenti di Berlino. La diciassettenne è un membro della prima ora di Fridays for Future della città, ha iniziato a frequentare le manifestazioni per l’ambiente a quattordici anni ed è un buon esempio dell’interazione tra i Fff e le realtà militanti aggregate al movimento ambientalista. «Guardiamo alle elezioni con angoscia. Nessuno dei partiti è in grado di rispettare il limite al riscaldamento globale di un grado e mezzo previsto dagli accordi di Parigi», dice. I Fff berlinesi sono reduci da una manifestazione che venerdì ha portato davanti al Reichstag 100mila persone secondo gli organizzatori, 35mila secondo la polizia. Ma l’intervento di Greta Thunberg, secondo Pirot, ha dato un segnale. «Io posso votare solo nel mio quartiere, e sicuramente andrò. È assurdo che i ragazzi non possano esprimersi, perché è evidente che abbiamo un’opinione e siamo ormai molto politicizzati».
I tempi sono cambiati, anche per Pirot che pure non conosce una Germania diversa da quella in cui al governo c’è Angela Merkel. Su di lei il giudizio è ambivalente: «Da un lato Merkel ha fatto molte cose buone per la Germania e mi è piaciuto molto che in un paese in cui al potere ci sono tanti uomini abbia finalmente governato una donna. Dall’altro, non è stata abbastanza radicale, in fondo appartiene a un partito che è stato responsabile per almeno trent’anni di politica retrograda».
Impegno di facciata
Oggi il cambiamento climatico è stato uno degli argomenti più discussi dai tre candidati alla cancelleria: dalle dichiarazioni problematiche di Armin Laschet, che ha spiegato di non aver condiviso la scelta di Merkel di abbandonare la produzione di energia nucleare qualche anno fa, a Olaf Scholz che insiste sulla necessità di fornire alle aziende impegnate nella transizione energetica tutto il sostegno di cui avranno bisogno, e poi Annalena Baerbock dei Verdi, che ovviamente ha fatto della lotta al riscaldamento globale la sua bandiera.
Ma non basta. Pirot spiega che di fronte a promesse insufficienti e ai complimenti per le manifestazioni che poi non hanno conseguenze pratiche, il movimento non ha ormai più fiducia nella politica, anche se tutti i partiti tranne AfD hanno interlocuzioni regolari con i Fridays for Future. «Quel che mi continua a dare fiducia sono i ragazzi e gli adulti che vengono alle nostre manifestazioni, molto più dei politici. Nel paese qualcosa si è mosso: quando abbiamo iniziato a parlare della lotta per il clima tre anni fa, nessuno sapeva quanto fossimo vicini al punto di non ritorno, oggi è diventato il punto centrale della campagna elettorale».
Insomma, il paese è più avanti della politica. Ma la speranza è che dopo le elezioni ci sia ancora margine perché il programma definitivo della coalizione che prenderà il timone sia più vicino alle richieste dei Fridays for Future. «La nostra speranza è che la pressione della piazza porti il prossimo governo a mettere in pratica iniziative più incisive». Di fronte a una domanda sulla coalizione che il movimento vedrebbe meglio alla guida del paese, Pirot non si espone: «Non diamo indicazioni di voto, raccomandiamo soltanto di studiare i programmi e scegliere secondo coscienza il partito che può dare il miglior contributo alla lotta al riscaldamento climatico».
C’è però chi ormai ha raggiunto tutt’altro livello di frustrazione: alla manifestazione di venerdì ha partecipato anche un piccolo gruppo di dimostranti in sciopero della fame, alcuni già da qualche decina di giorni. Li ha raggiunti Robert Habeck, cosegretario dei Verdi, per chiedere di interrompere la protesta, ma alcuni dimostranti hanno annunciato di voler iniziare anche lo sciopero della sete. La ragione era la sfida lanciata al candidato socialdemocratico: entro giovedì Scholz avrebbe dovuto annunciare la richiesta di stato d’emergenza sul clima, cosa che non ha fatto. Per il momento il gruppetto si muove in parallelo a Fridays for future, Pirot si limita a dire che ci sono molte componenti diverse del movimento che lottano tutte per lo stesso obiettivo, seppure con modalità diverse.
Ma c’è anche una dialettica interna ai Fridays. Grazie agli innesti da ambienti antifascisti, femministi e anticapitalisti è nato un movimento molto più radicale di quanto lo sia in altre parti del mondo: a Berlino, i Fridays sostengono attivamente la lotta per l’esproprio alle grandi aziende che dominano il mercato immobiliare. «La nostra lotta è intersezionale. Non combattiamo soltanto per il clima ma per la giustizia climatica, quindi appartengono a questo impegno anche antirazzismo, lotta di classe e contro il sessismo. Non potremo mai raggiungere la giustizia climatica con un sistema patriarcale o capitalistico».
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