La discussione iniziata sulla cabina di regia per gestire i 209 miliardi è diventata una specie di negoziato a base di slogan per definire un programma minimo che tenga insieme la maggioranza, ma intanto il tempo passa e siamo già in ritardo
- Renzi vuole aprire la crisi di governo, i partiti ridiscutono le loro priorità politiche, ma intanto il problema dell’Italia è la capacità di spesa.
- Ieri Gualtieri e Amendola hanno accolto M5s e Pd e oggi attendono Italia Viva e Leu e nel Recovery plan sono finiti ius culturae e dopo mesi è arrivato il piano industriale sull’automotive
- Ma non si parla più della questione che preoccupava più il premier e più la commissione europea: come spendere meglio i fondi.
Il rito sembra quello della formazione di un governo, solo che a celebrarlo è il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, impegnato da ieri a ricevere le delegazioni dei partiti di maggioranza e cercare di far tornare i conti dei 209 miliardi di euro del piano Next Generation Eu da dividere per le sei missioni, i 52 progetti e i vari dicasteri.
L’obiettivo è dare finalmente il semaforo verde a un piano che il premier Giuseppe Conte aveva promesso per ottobre, poi per gennaio e che ieri in un’intervista a Repubblica il commissario agli affari economici Paolo Gentiloni ha detto di attendere almeno per febbraio, lasciando intendere al paese che aveva promesso di presentarlo per primo che è bene almeno di non farlo all’ultimo, e arrivare qualche mese prima della scadenza ultima prevista da Bruxelles che è aprile.
«Facciamo in fretta, facciamo bene», sintetizzava Gualtieri accogliendo la delegazione del partito con il maggior numero di parlamentari, il Movimento Cinque Stelle, seguita poi quella del Partito democratico, e che oggi lasceranno spazio a Italia Viva e di Leu.
Il partito di Matteo Renzi ha trasformato la discussione sulla cabina di regia e su come spendere al meglio i fondi in arrivo dall’Unione europea in un confronto sulla tenuta della maggioranza e il Recovery plan in un programma di governo, presentando proposte che vanno dalle infrastrutture, fondamentali per assicurare il ritorno degli investimenti, in cui però ha infilato di tutto anche il ponte sullo stretto, fino allo ius culturae.
Ora che si è riaperta la discussione arrivano anche proposte di riforma degli ammortizzatori sociali e piani industriali prima accantonati.
Spunta il piano per l'automotive
Il Movimento cinque stelle invece ha presentato un pacchetto che rispecchia le proposte dei suoi ministeri e in buona parte già inseriti nelle bozze.
Il Movimento insiste sulla pubblica amministrazione: digitalizzazione, più investimenti in capitale umano e innovazione dell’amministrazione della giustizia e ci aggiunge l’istituzione di un sistema integrato di formazione continua. E poi sul patto per l’export, sul sistema fieristico, chiede più fondi per poche voci sul fronte ambientale, la riforma degli istituti tecnico scientifici. Ma chiede anche per la prima volta un piano di riconversione del settore automotive, uno dei più in sofferenza, e della sua filiera.
Un piano che sarebbe da inserire nella linea strategica della transizione ecologica, la più ricca con una dotazione di oltre 74 miliardi di euro, di cui però 40,1 miliardi di euro sono dedicati alla riqualificazione energetica degli edifici e 18,5 al sostegno alla filiera dell’idrogeno, rinnovo del parco auto delle pubbliche amministrazioni e creazione delle reti di ricarica per le auto elettriche.
Tutte idee nate dalle consultazioni delle pubbliche amministrazioni che sono alla base de progetto del governo.
Sia M5s che Pd suggeriscono poi la riforma degli ammortizzatori sociali: nodo delicato, perché da una parte le raccomandazioni all’Italia approvate dal Consiglio europeo, che sono uno dei criteri per la spesa dei fondi europei, chiedono di rafforzarli per i non tutelati, ma dall’altra i fondi di Next generation sono temporanei. Pd, M5s e Leu mettono tra le priorità anche le politiche attive, la sempre incompiuta riforma dei centri per l’impiego, una delle tante riforme strutturali che l’Ue può contribuire a finanziare, ma per cui vale lo stesso principio di cautela.
Se Italia Viva propone di spostare tutti i soldi dalla salute alla cultura e fare ricorso al Mes, puntando sul dossier che può terremotare il governo, dal partito del ministro Roberto Speranza, l’unico ad aver già inviato il documento alla presidenza del consiglio due giorni fa, sottolineano che i fondi per la salute sono «largamente insufficienti». Il Partito democratico chiede di andare oltre ai finanziamenti alle aziende già esistenti e investire in nuove imprese, come Leu insiste su asili nido e infrastrutture sociali.
La sinistra vorrebbe lo stop ai progetti basati sull’idrogeno grigio, quello prodotto dal gas naturale con buona pace di Eni e Snam. E denuncia la scomparsa di quelli del Mezzogiorno (i documenti circolati finora calcolano nel conto del Sud anche i fondi di coesione).
Il nodo della spesa
La quadra deve essere trovata molto rapidamente. Da una parte si tratta di misurare gli equilibri politici, dall’altra il ministero dell’Economia ha il compito di considerare tutta la cornice del programma: una ripartizione chiara della spesa, con il 37 per cento destinata alla transizione ecologica e il 20 per cento alla digitalizzazione, ma anche investimenti con un alto moltiplicatore. Il tutto pure in una confusione tra breve e lungo periodo.
Nella legge di bilancio su cui oggi deve essere votata la fiducia è già previsto l’uso dei fondi europei nel prossimo triennio per pagare decontribuzione per giovani e donne e fondi alle università, ma già in primavera con la fine del blocco dei licenziamenti serviranno riforme più profonde del mercato del lavoro.
Il Pd insiste sul fatto che non si possono sostituire i ministeri e che i famosi manager di Conte devono essere un aiuto alle strutture ministeriali. Ma la verità è che la discussione sulle procedure è passata proprio adesso in secondo piano. Proprio ora che i tempi per definire i programmi si assottigliano.
Il commissario Gentiloni nella sua intervista sottolinea l’importanza proprio l’importanza delle procedure, continuando a ripetere che Italia e Spagna sono i Paesi che fanno più difficoltà a spendere. Già nel 2019, per rispondere al nostro difetto di capacità di spesa, è nata Investitalia,la struttura di missione sotto la presidenza del consiglio con a capo il manager in aspettativa della Bei, Lars Anwandter. Conte pensava di risolvere la questione con la struttura piramidale di manager sotto il suo controllo.
L’ultima relazione della Corte dei conti europea dice che l’Italia ha una capacità di spesa ferma al trenta per cento rispetto al quaranta per cento di media dell’Ue e che il problema si concentra soprattutto nell’«avvio dei programmi dei spesa», cioè esattamente dove ci troveremo tra pochi mesi, mentre stiamo ancora a discutere la spesa.
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