La premier porta in dote alla Casa Bianca l’allineamento totale alle priorità statunitensi. Ciò che la premier riceve, invece, è l’accreditamento e la protezione politica
Alle tre di pomeriggio americane – per noi le ventuno – Giorgia Meloni è entrata nella West Wing della Casa Bianca per incontrare il presidente americano Joe Biden. Il libro d’onore siglato nella Roosevelt Room e lo studio ovale – dotato di ben quattro porte – danno le coordinate dell’agenda della premier. L’accoglienza di Biden – l’onore appunto – è l’ultima tappa di un processo di riabilitazione dell’estrema destra europea. Le quattro porte dello studio ovale, dove il colloquio si è svolto, simboleggiano la via di fuga perfetta per la premier dopo la batosta elettorale dei suoi alleati spagnoli.
Meloni porta in dote a Biden l’allineamento totale alle priorità statunitensi. Le scelte sulla via della seta sono solo l’ultimo omaggio. Ciò che la premier riceve, invece, è l’accreditamento e la protezione politica. «Non sono un mostro», aveva detto ai giornali americani prima di andare al governo, e «non sono un alieno», ha detto a Bruxelles appena diventata premier. Se il cordone sanitario verso l’estrema destra è stato tagliato a più riprese, è per le sforbiciate di Manfred Weber e di Biden.
Battesimo parlamentare
Arrivata negli Usa mercoledì, il giorno seguente la premier è andata per prima cosa a Capitol Hill, dove ha incontrato i leader d’aula. Al Senato si è trattenuta poco meno di un’ora; quel che Chigi ha riferito subito dopo è fatto apposta per consolidare la versione di un attivismo meloniano «verso l’Africa e il sud globale»; il governo italiano ha fatto filtrare che Bob Menendez, il dem che presiede la commissione Esteri, è rimasto «colpito». Poi, l’incontro tra Meloni e Kevin McCarthy, il repubblicano che da quest’anno ha preso il posto di Nancy Pelosi come speaker of the House. «Il mio amico Kevin», come lo ha definito Meloni.
E che infatti da amico ha parlato: «Sia tra repubblicani che tra democratici ci siamo detti, “questa è forse la leader più ammirevole davanti alla quale ci siamo mai trovati», ha detto McCarthy nelle dichiarazioni alla stampa. «Lo dico perché Meloni guarda avanti, e non indietro. Perché mostra leadership sull’Ucraina ma ha anche strategia per il futuro». In questa frase c’è tutta l’opera di dediabolizzazione dell’estrema destra italiana: oltre a ciò che McCarthy dice, c’è quel che vuole lasciare intendere. Meloni «non guarda al passato» cioè a suo dire è libera dai retaggi postfascisti, e «ha strategia per il futuro» cioè è pronta a schierarsi con gli Usa contro la Cina oltre che contro la Russia.
«In questa congiuntura – ha detto infatti la premier subito dopo – le nostre relazioni sono essenziali e dobbiamo poter contare gli uni sugli altri. Dopo l’aggressione russa i nostri legami sono diventati più forti che mai».
Agenda americana
Il carattere bipartisan degli incontri messi in agenda da Chigi, e l’accreditamento trasversale con il quale Meloni è stata accolta sia dai politici che dai commentatori, possono far intendere che ci sia uno scarto tra questo viaggio – da premier – e quello di febbraio 2020, quando la leader di Fratelli d’Italia era andata a Washington per il National Prayer Breakfast. Erano i tempi di Donald Trump, delle trasferte di Meloni fra i repubblicani, e delle sue ripetute partecipazioni alla Conservative Political Action Conference.
In realtà senza quei pregressi non si potrebbe comprendere l’attualità: proprio il “Washington washing”, il dichiarato atlantismo e il percorso di ascesa nella famiglia conservatrice di ispirazione thatcheriana, sono la leva usata da Meloni per arrivare al potere. «Con questa premier, con la sua strategia, e con le sue connessioni, il legame con l’America sarà più forte», le parole di McCarthy questo giovedì. Il vero battesimo è arrivato ad ogni modo da un democratico, il più potente: il presidente Biden.
La via per la sala ovale
Prima la Roosevelt Room, una sorta di anticamera, e poi lo studio ovale: qui la ha accolta il presidente per il faccia a faccia. Un incontro ventilato e preparato da mesi: se ne trova traccia negli annunci da almeno mezzo anno. A fine febbraio, pochi giorni dopo le esternazioni filoputiniane di Silvio Berlusconi, il ministro degli Esteri forzitaliota Antonio Tajani si era recato a Washington come a Canossa, aveva incontrato il segretario di stato americano Antony Blinken, e aveva fatto sapere che Meloni sarebbe stata alla Casa Bianca «prima dell’estate».
Un’ulteriore trasferta preparatoria è coincisa proprio con la morte di Berlusconi, e Tajani in questo ulteriore incontro americano con Blinken ha continuato il lavorio per definire la partita dell’abbandono della via della seta. Già in campagna elettorale Giorgia Meloni aveva rassicurato la Casa Bianca individuando i due blocchi Usa Cina e schierandosi ostentatamente contro Pechino: a poche ore dal voto aveva ribadito che «l’adesione dell'Italia alla via della seta è stata un grande errore». Ma adesso la questione andava gestita. Sarà anche per questo che il giorno del viaggio americano della premier è slittato di mese in mese in agenda.
Il ruolo di Biden
Con il battesimo della sala ovale, Biden si è assunto la responsabilità ora anche formale di accreditare e di scudare Meloni. Non è un inedito: nell’estate 2021, prima ancora che la Russia aggredisse l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno svolto un’operazione simile con il governo polacco, all’epoca nella bufera in Ue per gli attacchi allo stato di diritto. Se già prima Biden invitava il premier ultraconservatore polacco al suo summit delle democrazie, a guerra iniziata ha parlato di democrazie in lotta dal palco di Varsavia.
Nel frattempo Morawiecki, al fianco di Meloni, ha continuato a ribadire la sua opposizione a una integrazione politica europea e la sua visione di una «Europa delle nazioni e dei legami transatlantici». Fino all’autunno, Biden ha mostrato prudenza verso l’estrema destra italiana almeno nei suoi interventi pubblici. Adesso anche la forma è saltata.
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