- Meloni ha scelto il presidenzialismo come cavallo di battaglia della sua campagna elettorale. Cosa intenda non è chiaro, ma non è nemmeno così importante: è sufficiente utilizzarlo come etichetta di propaganda, a prescindere sulla sua concreta realizzabilità.
- Il “presidenzialismo” è un’etichetta che Meloni ribadisce ad ogni occasione utile ma non una riforma già fatta e finita. Anzi non è neppure abbozzata e anche l’accordo con gli alleati per la sua approvazione è tutt’altro che certo.
- Il concetto funziona con gli elettori di centrodestra perchè viene da lontano: era uno dei punti chiave del programma berlusconiano. Il vero sinonimo di presidenzialismo è “semplificazione”: all’elettore arriva il concetto di snellimento dei passaggi formali, creando un sistema in cui esiste un presidente forte che si relaziona direttamente al «popolo», senza intermediari politici.
La parola chiave di Giorgia Meloni in questa campagna elettorale è presidenzialismo. Fa parte del programma di coalizione del centrodestra ed è uno degli obiettivi istituzionali della leader di Fratelli d’Italia, che ha iniziato a proporla otto mesi fa, durante le giornate convulse per l’elezione del presidente della Repubblica e la riconferma di Sergio Mattarella.
Cosa intenda per “presidenzialismo”, non è assolutamente chiaro nè è deciso. Lo ha detto anche il grande saggio arruolato da FdI per le riforme, Marcello Pera, in una intervista al Fatto Quotidiano: «Una forma di presidenzialismo all’americana, il semi-presidenzialismo alla francese o il modello del sindaco d’Italia di cui parla Matteo Renzi. Sono tutte e tre proposte valide e ne discuteremo».
Nei giorni scorsi, Meloni ha proposto una «bicamerale» per approvare una riforma che riscriva in senso presidenziale la seconda parte della Costituzione, ma l’idea è stata accolta con freddezza dall’alleato Matteo Salvini che ha parlato di riforma non impellente e addirittura rifiutata dall’avversario Enrico Letta.
Un dato, però, è certo: “presidenzialismo” è un’etichetta che Meloni ribadisce ad ogni occasione utile ma non una riforma già fatta e finita. Anzi non è neppure abbozzata e anche l’accordo con gli alleati per la sua approvazione è tutt’altro che certo. Tradotto: è lo strumento che Meloni ha scelto come arma di propaganda, ma per ora nulla di più concreto.
Gli elettori
Il presidenzialismo parla a un elettorato tipicamente di centrodestra ma non necessariamente sovrapponibile a quello di Meloni. Il presidenzialismo, infatti, è stato uno dei cavalli di battaglia di Silvio Berlusconi a partire dal 1994. Anche in quel caso l’idea di fondo non era chiara, mentre è più nitido l’obiettivo finale: aumentare il potere dell’esecutivo e il suo legame con l’elettorato in ottica di stabilità, sacrificando la democrazia parlamentare voluta dai padri costituenti. La linea teorica: il parlamentarismo funziona solo con partiti molto forti, mentre il presidenzialismo ha come principio quello del leader forte ed è più rispondente all’attuale situazione politica. Parlare di presidenzialismo, dunque, tocca corde profonde nel centrodestra.
L’idea è uno dei concetti fondativi di Fratelli d’Italia, che ha presentato in tutto almeno tre proposte di riforma costituzionale, nel 2013, 2018 e 2019. Meloni è tornata a proporla con forza nella fase politica che di recente ha messo in luce le difficoltà dell’alleanza di centrodestra: l’elezione del presidente della Repubblica. La settimana di camere riunite ha messo in scena il massimo del machiavellismo politico ed è servita a farle chiedere «un presidente eletto dal popolo», per ovviare ad una liturgia politica descritta come incomprensibile per i cittadini.
A sostenere questa strategia politica, Meloni deve aver tenuto presenti i sondaggi. Proprio prima dei giorni dell’elezione, infatti, un sondaggio Swg ha approfondito il gradimento della riforma: il 50 per cento degli elettori è d’accordo o del tutto d’accordo, con un picco del 72 per cento tra gli elettori di centrodestra e del 62 per cento tra quelli di centro. Il disaccordo, invece, è fermo al 24 per cento e il resto degli interpellati si è collocato tra gli indecisi. Un trend, questo, che è stabile negli anni: nel 2019 il 72 per cento degli interpellati si diceva favorevole.
Semplificazione
Il concetto di presidenzialismo, per come viene utilizzato da Meloni, è sinonimo di “semplificazione”. Questo è il messaggio di FdI agli elettori come cifra della sua proposta politica: rendere più semplici le istituzioni, snellendone i passaggi formali ed eliminando alcuni blocchi parlamentari, creando un sistema in cui esiste un presidente forte che si relaziona direttamente al «popolo», senza intermediari politici. Alla lentezza del parlamento si oppone la chiarezza di un leader con le mani libere che possa decidere, forte della sua maggioranza elettorale.
Alla presenza di una figura di garanzia al Quirinale apparentemente senza poteri pratici, l’alternativa è quella di un presidente attivo che accentri in sé poteri che attualmente sono sminuzzati tra diversi organi istituzionali. L’idea va di pari passo con la crescita del consenso individuale di Meloni come leader, che proprio in questa rappresentazione trova il suo punto di forza.
In una campagna elettorale vuota di contenuti, sta prevalendo la netta contrapposizione con il Partito democratico, che ha scelto come arma quella di mettere in guardia contro il pericolo fascista. FdI ha trovato nel presidenzialismo una risposta apparentemente istituzionale a questa critica, che viene bollata come solamente ideologica. Secondo i sondaggi, l’idea ha poca presa sull’elettorato di centrosinistra, ma i numeri mostrano che potrebbe invece convincere qualche indeciso.
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